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Il tempo come ‘modo’ e la geometrizzazione della fisica »

Lo studio dei testi cartesiani permette di individuare tre differenti dimensioni temporali, ognuna delle quali diversamente caratterizzata riguardo al continuo e al discreto. Nelle Responsiones a Gassendi Descartes riconosce la continuità del tempo considerato astrattamente, ossia prescindendo dall’esistenza delle res; nei Principia distingue poi tra l’attributo della durata, essenziale all’esistenza della res e la cui discontinuità ontologica si traduce in momenta contigui, e il tempo, ossia il modo con cui il cogito che dura considera le altre res. Quest’ultima dimensione temporale può essere continua o discontinua a seconda che il cogito numeri o pensi la durata di se stesso o delle altre res: «[…] cum percipio me nunc esse, et prius etiam aliquamdiu fuisse recordor, cumque varias habeo cogitationes quarum numerum intelligo, acquiro ideas durationis et numeri, quas deinde ad quascunque alias res possum transferre»499. Le due differenti modalità con cui può essere pensata la durata della mente o di un corpo si coniuga con l’opera di geometrizzazione della fisica e di spazializzazione del tempo operata da Descartes sin dai primi scritti Non intendiamo qui misconoscere l’evoluzione del pensiero cartesiano né prescindere dalla considerazione cronologica della sua produzione attribuendo a citazioni del 1618 significati che presuppongono l’elaborazione della sua metafisica e che poggiano su definizioni presentate solo nel 1644. Il nostro intento è piuttosto quello di mostrare come la spazializzazione del tempo, che lo porta a concepire i momenta come unità di misura dotate di grandezza e assunte arbitrariamente come indivisibili, si accordi con la definizione di tempo dei Principia come ‘modo’ di pensare – in questo caso modo discontinuo – la durata.

In una lettera a Mersenne del 1631, Descartes discute del moto delle corde musicali in proporzione consonante, suddividendo le loro vibrazioni in un numero definito di momenta, la durata dei quali è assunta arbitrariamente («la durée desquels [i.e. momens] est prise ad arbitrium»)500:

Et pour ce que j’avois pris la durée de chaque tremblement de la corde C pour un moment, il est vray que les tremblemens des cordes A et B qui font la quinte, ne s’unissent que de six momens en six momens. Mais on pourroit dire tout de mesme, qu’ils ne s’unissent que de douze momens en douze momens, si on prenoit la durée d’un moment deux fois plus courte.

Il momentum, pur essendo dotato di una grandezza, è assunto convenzionalmente come unità base di misura per descrivere – non definire – il moto di corde consonanti. Questo metodo di scomposizione è presente sin dalla fine degli

499 Meditatio III, pp. 44-45. 500 Lettera XXXVIII, AT I, p. 227.

anni ’10. Esaminando un noto passo dei Physico-mathematica501 – discusso, tra gli altri, anche da Koyré502 – è possibile rilevare come Descartes parli di «minimo vel puncto motus», ma non di indivisibile né di atomo inesteso. Più precisamente, nella dimostrazione della caduta di un grave, Descartes scompone il moto del corpo assumendo convenzionalmente una determinata grandezza come minimo di movimento. Tale scelta è arbitraria poiché, come esplicita l’Autore, è possibile prendere un minimo ancora minore di quello già considerato e, inoltre, le parti eccedenti che escono dalla figura del triangolo sono una conseguenza dell’impiego di minimi estesi. Assumendo invece il minimo come punto indivisibile, le parti eccedenti saranno nulle (dato che ogni ulteriore suddivisione sarebbe nulla)503.

Nella lettera a Mersenne del 13 novembre 1629 Descartes torna a descrivere il moto di caduta di un grave nel vuoto impiegando momentum come intervallo dotato di una certa grandezza504; così come nella lettera seguente del 18 dicembre, ove il

501 D

ESCARTES, Physico-Mathematica, AT X, pp. 75-77. Un’accurata ricostruzione

dello scambio epistolare di questi anni tra Descartes e Beeckmann è condotta in Š.A. KOYRÉ,

Studi galileiani, cit., pp. 105-122; W.R. SHEA, La magia dei numeri e del moto, cit., pp. 25-

37.

502 Koyré ritiene che in Descartes ‘momento’ sia coestensivo ad ‘istante’ e rinvia allo

studio di Jean Wahl, denotando così l’affinità di impostazione (Š.A. KOYRÉ, op. loc. cit., p. 117).

503 D

ESCARTES, Physico-Mathematica, pp. 75-77: «In proposita quaestione, ubi

imaginatur singulis temporibus novam addi vim qua corpus grave tendat deorsum, dico vim illam eodem pacto augeri, quo augentur lineae transversae de, fg, hi, et aliae infinitae transversae, quae inter illas possunt imaginari. Quod ut demonstrem, assumam pro primo minimo vel puncto motus, quod causatur a prima quae imaginari potest attractiva vi terrae, quadratum alde. […] Immo, inquies, sunt partes protuberantes ale, emg, goi, etc., quae extra trianguli figuram exeunt. Ergo figura triangulari illa progressio non debet explicari. Sed respondeo illas partes protuberantes oriri ex eo quod latitudinem dederimus minimis, quae indivisibilia debent imaginari et nullis partibus constantia. […] Rursum, si pro minimo assumam minorem, ut aα, partes protuberantes erunt adhuc minores, ut aβγ, etc. Quod si denique pro illo minimo assumam verum minimum, nempe punctum, tum illae partes protuberantes nullae erunt, quia non possunt esse totum punctum, ut patet, sed tantum media pars minimi alde; atqui puncti media pars nulla est».

504 Lettera XIV, AT I, pp. 72-73: «Quia vero non ita sit, sed adest illi gravitas quae

premit illum deorsum et addit singulis momentis novas vires ad descendendum, hinc sit ut multo celerius absoluat spatium BC quam AB, quia in eo percurrendo retinet omnem impetum quo movebatur per spatium AB et insuper novus ei accrescit propter gravitatem quae de novo urget singulis momentis. Qua autem proportione augeatur ista celeritas, demonstratur in triangulo ABCDE: nempe prima linea donotat vim celeritatis impressam I° momento, 2a linea vim impressam 2° momento, […] id est si tribus momentis descendit ab A ad B, unico momento descendet a B ad C; id est quattuor momentis duplo plus itineris conficiet quam tribus, et per consequens 12 momentis duplo plus quam 9, et 16 momentis quadruplo plus quam 9, et sic consequenter». Anche nella lettera di dieci anni dopo (25 dicembre 1639),

moment è un’unità di tempo, ma non è coestensiva ad instant. Nel caso dell’urto tra due corpi,

dei quali il secondo possiede una massa doppia del primo, questi gli trasmette i 2/3 della quantità del suo movimento: «et ansy ils ne feront tous deux ensemble pas plus de chemin en trois momentz, que le premier faisoit en un moment» (Lettera 797, CM VIII, p. 696).

termine impiegato è sempre momentum temporis, mai instans. Nella trattazione svolta in lingua francese, l’Autore adotta sempre moment e ne precisa la dimensione che, pur essendo sempre spazializzata, non corrisponde al punto: «Prenant un fort petit espace pour un moment»505. Occorre precisare che prima del 1630 vi sono due fattori che permettono a Descartes di avvicinare mediante l’astrazione matematica il momentum all’instans: la teoria medievale dell’impetus e l’assunzione ipotetica del vuoto. L’aumento della velocità di caduta dei gravi nel vuoto (ipotizzato, ad esempio, nella corrispondenza con Beeckman) è dovuto al sommarsi di impetus in ogni momento del moto, teoria che si fonde con la metafisica del tempo della conservazione divina. Successivamente, la gravità non è più una proprietà intrinseca dei corpi né frutto dell’attrazione della Terra ma consegue dalla pressione esercitata dalla materia sottile nel plenum. Ci si allontana in tal modo sempre più dall’approssimazione asintotica del momentum all’instans.

La riflessione sul momentum si affianca ad un progressivo abbandono della geometrizzazione della fisica riscontrabile, ad esempio, ne Le Monde506. La definizione di movimento data nei Principia presenta la medesima assenza della dimensione temporale riscontrabile ne Le Monde: il movimento è il trasporto della materia o di un corpo dalla vicinanza di corpi che gli sono contigui alla vicinanza di altri507. Questa definizione è priva della precisazione che tale trasporto avviene in un intervallo di tempo, come accade invece nella definizione galileiana e come rileva Mersenne508. Ma a differenza dell’opera del ’30, la trattazione del movimento, esposta nella seconda parte dei Principia, è preceduta da una parte che affronta questioni metafisiche e, tra queste, la definizione di tempo e durata. Il trasporto di un corpo avviene nel tempo: il presupposto, formulato nel §56, implica infatti che il corpo, per potersi muovere o essere mosso, continui ad esistere, ossia a durare. La geometrizzazione della fisica non conduce, soprattutto nell’elaborazione ultima della

505 Lettera XVI, AT I, p. 94.

506 La gravità, ad esempio, non è più concepita geometricamente come accumularsi di impetus ‘puntiformi’ ma come risultato dell’azione del moto delle particelle di materia che

spingono il corpo verso il basso. Cfr. Š.A. KOYRÉ, Studi galileiani, cit., p. 127: «La fisica di Descartes, così come ce la presentano i Principia, non contiene più leggi matematicamente esprimibili. […] E per quanto concerne il problema della caduta dei gravi, i Principia lo passano sotto silenzio».

507 Principia II, §25, p. 53: il moto è «translationem unius partis materiae, sive unius

corporis, ex vicinia eorum corporum, quae illud immediate contingunt et tanquam quiescentia spectantur, in viciniam aliorum».

508 Nouvelles Pensées de Galilée, p. 167: «il [i.e. Galilée] adjouste, en toutes sortes de temps esgaux, à l’ancienne definition, parce qu’il peut arriver que les espaces parcourus en de

moindres parcelles des parties de temps, quoy qu’esgales, ne soient pas esgaux». L’enfasi che Mersenne attribuisce alla dimensione temporale nella definizione galileiana del moto lascia trapelare la poca convenzionalità di una lettura implicante la velocità del corpo in movimento.

teoria cartesiana, all’atemporale509. Movimento e quiete sono due ‘modi’, al pari del tempo, con cui consideriamo la res che esiste e, dunque, che possiede una durata. Al contempo, sarebbe inesatto parlare di cinematica in Descartes, che solo con grande difficoltà e in modo incompleto si allontana da un concezione diagrammatica del moto. La piena e completa matematizzazione della fisica si ottiene solo nell’ottica poiché solamente la luce non ha trasporto, è priva di movimento e atemporale come lo sono i punti geometrici: «Ac praeterea notandum est vim luminis, non in aliqua motus duratione consistere, sed tantummodo in pressione sive in prima praeparatione ad motum, etsi forte ex ea motus ipse non sequatur»510. Inoltre, al movimento non appartiene la dimensione dell’istantaneità, come Descartes esplicita nell’ambito della formulazione della seconda legge di natura («ac quamvis nullus motus fiat in instanti»511).

Nell’urto tra corpi discusso nei Principia512 Descartes non impiega né momentum temporis né instans. Nonostante la presenza di un presupposto metafisico, la dimensione temporale in cui avviene la comunicazione della quantità di moto tra due corpi solidi non viene ricondotta dall’Autore – né ne Le Monde, né nei Principia e né nell’epistolario – all’azione divina di conservazione. Il presupposto su cui si fonda è invece quello dell’immutabilità di Dio: malgrado i cambiamenti che i corpi subiscono nei loro vari incontri, la quantità di movimento generale rimane immutata.

Demonstratur etiam pars altera ex immutabilitate operationis Dei, mundum eadem actione, qua olim creavit, continuo jam conservantis. Cum enim omnia corporibus sint plena, et nihilominus uniuscujusque corporis motus tendat in lineam rectam, perspicuum est Deum ab initio, mundum creando, non modo diversas ejus partes diversimode movisse, sed simul etiam effecisse, ut unae alias impellerent motusque suos in illas transferrent513.

La comunicazione della velocità è istantanea: innanzitutto, è affine alla comunicazione di una potenza, la cui dimensione temporale è quella dell’istantaneità poiché non è trasportata (come testimonia la Regula IX); inoltre, i corpi sono rigidi, le collisioni anelastiche e, anche sulla base della lettera a Mersenne del 1642, si verifica

509 Diversamente in Š.A. KOYRÉ, Studi galileiani, cit., p. 131. «Ma questi movimenti

[i.e. geometrici], al contrario di quelli fisici, non hanno velocità, non avvengono nel tempo. La geometrizzazione ad oltranza – questo peccato originale del pensiero cartesiano – conduce all’atemporale: conserva lo spazio, elimina il tempo. Esso dissolve l’essere reale nel geometrico».

510 Principia III §63, p. 115. 511 Principia II, §39, p. 64.

512 Le sette regole del moto sono discusse tra gli altri analiticamente in W.R. S

HEA,

La magia dei numeri e le leggi del moto, cit., pp. 302-303. L’urto tra corpi solidi descritto da

Descartes risulta inconciliabile con la sua concezione anelastica poiché in tale caso i corpi non rimbalzerebbero dopo la collisione ma si fermerebbero.

un trasferimento istantaneo della quantità di moto; infine, nel caso di due corpi A e B, in cui A sia il maggiore e dotato di moto e B il più piccolo e immobile, nel contatto a B viene impressa la stessa velocità di A senza dover passare dagli infiniti gradi di velocità compresi tra 0 e la velocità di A.

[B] se meut, dès le 1er moment qu’il est poussé, de mesme vitesse que fait A, et ainsy qu’il ne passe point par plusieurs degrez de vitesse. Car s’ils disent qu’il se doit mouvoir fort lentement au 1er moment qu’il est poussé, il faudra que A, qui luy sera joint, se meuve aussi lentement que luy; car estant tous deux fort durs, et se touchant, celuy qui suit ne peut aller plus viste que celuy qui precede. Mais si celuy qui suit va fort lentement pendant un seul moment, il n’y aura point de raison qui luy face par après reprendre sa 1ere vitesse, à cause que la poudre à cannon, qui l’avoit poussé, n’agit plus.

La spiegazione di ciò si fonda sulla combinazione della fisica dell’impetus impressus e della metafisica: una volta separato dal motore A, B non è in grado di aumentare autonomamente la propria velocità e, visto il principio generale della conservazione della quantità di moto, è necessario che la possieda sin dall’inizio, ossia dal contatto con A514.

Inoltre, questo fenomeno, come anche quelli assunti per illustrare le sette regole del moto, è collocato entro un sistema artificiale e assume astrattamente due corpi perfettamente rigidi, ossia le cui parti sono in quiete.

Diversamente avviene nella formulazione della seconda legge di natura che presenta un momentum sinonimo di instans. Dio conserva il moto com’è nel momento in cui lo conserva, non come era prima: isolando un punto della traiettoria di una pietra in una fionda, questa avrà una tendenza a muoversi di moto rettilineo. «Si enim lapis e funda egrederetur, eo temporis momento, quo veniendo ex L pervenit ad punctum A»515. Il tempo è in questo caso spazializzato e costituisce un retaggio della geometrizzazione operata ne Le Monde. Inoltre, il suo movimento rettilineo non è effettivo ma solo un’inclinazione al moto.

Nell’epistolario, la risposta fornita da Descartes sulla maggior velocità di trasmissione del suono in un solido piuttosto che nell’aria è utile per chiarire alcuni luoghi dei Principia e de Le Monde e verificare l’opportunità di una riduzione della fisica cartesiana al movimento della bilancia. La velocità del suono è superiore nel solido poiché la continuità di questo è maggiore di quella tra le parti di aria516. L’istantaneità è dunque negata anche nel moto delle particelle d’aria:

514 Lettera CCLXXXVIII, AT III, pp. 592-593. Il termine impiegato è qui moment

perché Descartes non parla di tendenza al moto ma di brevi momenti nei quali il corpo B si muove con una certa velocità («celuy qui suit va fort lentement pendant un seul moment»).

515 Principia III, §57, p. 109. Principia II, §39, p. 63: «Neque enim illum conservat,

nisi praecise qualis est eo ipso temporis momento quo conservat, nulla habita ratione jus qui forte fuit paulo ante ac quamvis nullus motus fiat in instanti».

si vous faites mouvoir le bout de la poutre A, il est évident que vous faites mouvoir au mesme instant l’autre bout B; mais si vous poussez l’air en l’endroit C il faut qu’il s’avance au moins jusque à D, avant que de faire mouvoir E, à cause que ses parties obeïssent, ainsi que celles d’une éponge. Or il employe du temps en passant depuis C jusque à D.

In base alla distinzione fra i tre elementi proposta ne Le Monde e nei Principia, esistono sottilissime e velocissime parti dell’elemento del fuoco, piccole e rapide parti di aria e più grandi e lenti particelle dell’elemento della terra517. Il primo elemento penetra in ogni interstizio, anche negli intervalli che rimangono tra due particelle del secondo elemento: è infatti il fuoco che, riempiendo perfettamente tutto lo spazio, impedisce il vuoto: «il n’y a jamais de passage si étroit ni d’angle si petit entre les parties des autres corps où celles de cet élément ne pénétrent sans aucune difficulté et qu’elles ne remplissent exactement». Nelle pagine dei Principia518 dedicate allo spostamento delle parti di aria o di materia celeste, il termine impiegato è ancora momentum, non instans: l’ultima particella di materia entrerà nel posto lasciato dalla prima nello stesso momentum in cui la prima comincerà a muoversi. In questo movimento il vuoto è negato non perché il moto delle particelle di aria sia istantaneo, come Descartes dichiara esplicitamente nella citazione precedente tratta dall’epistolario, ma perché altre parti del primo elemento riempiono l’interstizio sino a quando un’altra particella di aria non si collocherà in quella posizione. Ridurre la fisica cartesiana al movimento istantaneo della bilancia519 significherebbe misconoscere la distinzione che Descartes pone fra i tre elementi. Inoltre, distinguendo il momento dall’istante si differenziano anche i moti delle particelle della materia da quello della luce che, infatti, non è un vero e proprio moto né coinvolge un vero e proprio corpo.

517 Le Monde, cap. V, pp. 24-25; Principia III, §52, p. 105.

518 Principia II, §33, p. 58; III, §§ 62 e 77, pp. 114 e 132; IV §26, p. 216.

519 Questo è ciò che Gueroult aveva difinito come la ‘bilancia’ della fisica cartesiana,

riducendo tutto all’istantaneità per evitare il vuoto. M. GUEROULT, op. cit., pp. 177-178: «La réalité du mouvement est tout entière uniquement dans l’action instantanée, et son image la plus parfaite est le mouvement des plateaux d’une balance en équilibre, c’est-à-dire non- mouvement».

C

APITOLO

III

L’

HARMONIA NELLA SCIENZA SPERIMENTALE E NELLA COSMOLOGIA DI

G

ALILEI

III.1.GALILEO E LA SCIENZA DEI SUONI

Per Galilei, più che per altri filosofi, il contesto familiare e culturale svolge un ruolo decisivo nell’elaborazione dei suoi studi sulla scienza dei suoni. Rispetto ad altri suoi contemporanei, egli non solo proviene da una famiglia di musicisti ma è figlio di uno dei maggiori teorici del XVI secolo, stimato e citato da Mersenne, Descartes, Kepler, ecc., e decisivo per la definizione del metodo sperimentale e del sistema temperato. Formatosi in tale ambiente, anche Galilei è un liutista di eccezionale bravura, come testimonia il biografo Viviani: «Fu Vincenzio Galilei uomo singolare in detto strumento [i.e. liuto], come anco in gioventù il Galileo, e non solo nel liuto, ma nello strumento di tasti ancora»520.

Erano tra tanto i suoi più grati trattenimenti nella musica pratica e nel toccar li tasti e il liuto, nel quale, con l’esempio et insegnamento del padre suo, pervenne a tanta eccellenza, che più volte trovossi a gareggiare co’ primi professori di que’ tempi in Firenze et in Pisa, essendo in tale strumento ricchissimo d’invenzione, e superando nella gentilezza e grazia del toccarlo il medesimo padre; qual soavità di maniera conservò sempre sino alli ultimi giorni521.

L’altro polo di riferimento è l’Accademia dei Lincei e, in particolare, la figura di Fabio Colonna che, in linea con l’impostazione di Vincenzo Galilei, propone un impiego scientifico dello strumento musicale, concezione che sarà sviluppata e fatta propria da Galilei a partire dal Saggiatore.

L’interesse per gli aspetti scientifici del suono inducono Galileo a scrivere un piccolo opuscolo, oggi perduto o forse confluito nei Discorsi, sul suono e la voce, come testimonia la lettera del 1610 inviata a Belisario Vinta: «Ho anco diversi opuscoli di soggetti naturali, come De sono et voce, De visu et coloribus, De maris estu, De compositione continui, De animalium motibus, et altri ancora»522.

520 VINCENZO VIVIANI, Notizie raccolte da Vincenzio Galilei, figliuolo et erede del Galileo, OG XIX, p. 594.

521 I

D., Racconto istorico, OG XIX, p. 602.

La nostra analisi sull’utilité de l’harmonie in Galilei si propone di mostrare come agiscano nel suo sistema cosmologico e, più in generale, nella sua indagine scientifica i concetti di ordine, armonia, semplicità, quale ruolo assumano gli studi condotti dal padre Vincenzo Galilei nella definizione delle ‘sensate esperienze’ e nella sua concezione della scienza e della strumentazione scientifica.

I Galilei sono una famiglia di musicisti: il padre Vincenzo, noto teorico,