La centralità che lo strumento artificiale svolge nella riflessione scientifico- musicale di Vincenzo Galilei, Girolamo Mei e Fabio Colonna – anche se con differenze non trascurabili – e all’interno della sperimentazione musicale trova corrispondenza in una peculiare descrizione del telescopio galileiano.
Alla fine del mese di luglio 1609 Galileo si reca a Venezia – ove si discuteva già da quasi un anno del telescopio587 – e probabilmente in questa occasione viene a conoscenza dell’esistenza del cannocchiale588. Questo strumento, come confessa nel
584 Ivi, p. 16 (il corsivo è nostro). 585 Cfr. infra pp. 187-188.
586 F. COLONNA, Sambuca lincea, cit., libro III, p. 87.
587 Fra’ Paolo Sarpi ha notizia della nuova invenzione già nel novembre del 1608.
Nella primavera del 1609 scrive a Jacques Badouère (allievo e amico di Galilei) residente a Parigi per ricevere conferma delle notizie che continuavano a provenire d’Oltralpe.
588 Il Saggiatore, pp. 257-258. Cfr. EDWARD ROSEN, When Did Galileo Make his First Telescope?, «Centaurus», II, 1951, pp. 44-51; S. DRAKE, Galileo gleanings VI:
Sidereus Nuncius, «me totum convertere»589 e lo induce ad intraprenderne la ricostruzione.
Galilei non descrive il percorso compiuto per giungere alla determinazione delle singole componenti del suo telescopio, ma si limita a rinviare ad un successivo studio – mai redatto – dedicato a tale strumento. Gran parte della storiografia concorda nel ritenere che il procedimento di Galilei sia stato empirico, senza passare per le leggi prospettiche e di rifrazione evocate genericamente dallo stesso scienziato590. Sulla base delle notizie raccolte, procedendo per tentativi, applicando le conoscenze relative alla fabbricazione delle lenti e unendo intuizione591, sperimentazione e deduzione, egli costruisce uno strumento più preciso e potente di quelli diffusi al tempo.
Nel Saggiatore Galilei presenta un’immagine inusuale del telescopio, paragonandolo ad uno strumento a fiato o all’incastro di due canne d’organo. L’analogia è stabilita all’interno del dibattito sorto tra Guiducci e Grassi: in accordo con il primo, Galilei ritiene che un telescopio di lunghezza variabile debba essere considerato come differenti strumenti, e non uno solo. In tale definizione svolge un ruolo centrale la dimensione del tubo di piombo, proprio come avviene nel caso di un altro strumento composto da tubi di piombo ma che soggiace alle leggi dell’acustica, non dell’ottica: le canne dell’organo, infatti, emettono suoni differenti in base alla lunghezza e al diametro. Allungando o accorciando un’ipotetica canna d’organo composta da due tubi di piombo (come avviene nel trombone) non si ottiene più una
Galileo’s First Telescope at Padua and Venice, «Isis», L, 1959, pp. 245-254; ALBERT VAN
HELDEN, Galileo and the telescope, in Novità celesti e crisi del sapere: atti del Convegno
internazionale di studi galileiani, a cura di P. Galluzzi, Firenze, Giunti Barbèra, 1984, pp.
149-158.
589 G. GALILEI, Sidereus Nuncius, OG III, p. 60. Come ha efficacemente espresso
Vasco Ronchi (Il cannocchiale di Galileo e la scienza del Seicento, Torino, Einaudi, 1958, p. 92) tale conversione è «la conversione del primo uomo di scienza a quella fede a cui ancora affluivano così scarsi e modesti adepti», ossia alla fede nelle osservazioni di fenomeni che apparivano chiari solo attraverso la mediazione di uno strumento artificiale.
590 A. F
AVARO, Galileo Galilei e lo Studio di Padova, 2 voll., Firenze, Le Monnier,
1883, vol. I, p. 354: «ci è forza riconoscere che quando Galileo affermava speculazioni di prospettiva averlo condotto alla costruzione del cannocchiale, egli non sapeva che cosa dicesse: anzi, questa sola affermazione basterebbe a sostenere che egli non vi adoperò maggior studio di quello che abbia fatto quel primo occhialaio di Middleburg, e darebbe buono in mano che Galileo a quel tempo non conosceva neppure i primi elementi della teoria del cannocchiale». Cfr. W.R. SHEA, Galileo’s Copernicanism: the science and the rethoric, in
The Cambridge companion to Galileo, a cura di P. Machamer, Cambridge, Cambridge
university press, 1998, p. 214: «Galileo’s construction of the telescope was the result of ingenuity and inventiveness father than theoretical know-how». PHILIPPE HAMOU, La
mutations du visible. Essais sur la portée épistémologique des instruments d’optique au XVIIème siècle, Villeneuve d’Ascq, Presses Universitaires du Septentrion, 1999, pp. 81 e ss.
591 Nel confronto condotto da Blumenberg tra Galilei e Kepler, l’Autore accentua il
ruolo svolto dall’intuizione nella ricerca dello scienziato toscano: HANS BLUMENBERG, The
sola canna, ma tante quanti sono i suoni di differenti altezze emessi. «Il modo sarà col farla di due pezzi e ch’uno entri nell’altro, perché così si potrà allungare e scorciare, e in somma farla all’arbitrio nostro divenir canne diverse, per quello che si ricerca al formar diverse note; e tale è la struttura del trombone»592.
La differente distanza tra lente oculare e lente obiettiva ingenera strumenti diversi. L’ingrandimento maggiore o minore della figura è direttamente proporzionale alla lunghezza del telescopio, così come avviene nel trombone e, in modo più approssimativo, nelle corde sonore ove la proporzionalità è però inversa: più lungo è il tubo sonoro o la corda e più grave è il suono.
L’analogia telescopio-canne d’organo poggia su due presupposti estremamente significativi ai fini della nostra ricerca. Innanzitutto, entrambi sono considerati come strumenti scientifici, le cui peculiarità sono strettamente connesse alle leggi dell’ottica e dell’acustica, recuperando in tal modo le ricerche condotte dal padre e, soprattutto, da Fabio Colonna che aveva tentato di perfezionare il telescopio, così come la sambuca e l’organo idraulico di Erone.
Inoltre, trapela da queste pagine la lezione di Vincenzo Galileo che, sin dal Dialogo del 1581 e ancora nel Discorso intorno all’opere di Messer Zarlino da Chioggia, aveva studiato il rapporto tra l’area di apertura della canna e la lunghezza, stabilendo che l’altezza del suono è inversamente proporzionale alla lunghezza e al quadrato del raggio. I rapporti così definiti non scaturiscono dalla numerologia pitagorica (riportata nella famosa immagine della Theorica musice di Gaffurio593) ma dall’esperimento e da un’indagine che isola progressivamente singoli parametri. Nel Dialogo Vincenzo Galilei propone un’analisi geometrica della relazione tra diametro e lunghezza delle canne594.
592 Il Saggiatore, p. 269. 593 F
RANCHINO GAFFURIO, Theorica Musice, Milano, Filippo Mantegazza, 1492.
594 V. GALILEI, Dialogo della Musica Antica et Moderna, cit., p. 134. Un’analisi di
questo passo è condotta in C.V. PALISCA, Vincenzo Galilei, scienziato sperimentale, mentore
Mediante l’uso delle figure geometriche di cerchio, triangolo, quadrato e richiamandosi alla Misura del cerchio di Archimede, Galilei paragona le superfici di canne aventi tra loro un rapporto corrispondente all’ottava musicale e una lunghezza doppia, ma essendo l’una quadrupla dell’altra dal punto di vista della superficie geometrica. I primi tre schemi rappresentano due canne che emettono l’ottava (1/2) ma le cui aree sono in rapporto 1:4; le altre quattro immagini raffigurano i rapporti di quadrati corrispondenti alle consonanze di quinta (4/9, ossia 2/3), quarta (9/16, ossia 3/4), terza maggiore (16/25, ossia 4/5) e terza minore (25/36, ossia 5/6). Tale osservazione è impiegata da Galilei per confutare la numerologia pitagorico-platonica usata dai suoi contemporanei e dal suo interlocutore Zarlino: gli intervalli consonanti non sono determinati aprioristicamente da proporzioni numeriche fisse, sovraparticolari o incluse entro il senarius, ma variano in relazione alle differenti caratteristiche dei corpi sonori: 1/2 per la lunghezza della corda; 1/4 per il rapporto tra pesi applicati ad una medesima corda; 1/8 per i volumi dei corpi concavi.