Vincenzo Galilei è un teorico e un liutista molto affermato, membro della Camerata fiorentina de’ Bardi, allievo prima e oppositore poi di Gioseffo Zarlino. La maggior parte dei suoi lavori è di natura teorica, oltre ad alcune traduzioni del De Musica di Plutarco e degli Elementa Harmonica di Aristosseno. Tra le sue opere più
536 VINCENZO GALILEI, Discorso intorno all’opere di messer Gioseffo Zarlino, et altri importanti particolari attenenti alla musica, Firenze, Marescotti, 1589, ed. facsimile, Milano,
Bollettino bibliografico musicale, 1933, p. 26.
537 Ivi, p. 20.
importanti si segnalano le Intavolature de lauto, madrigali e ricercate (1563)539, il Dialogo della musica antica et moderna (1581), il Fronimo, dialogo sopra l’arte del bene intavolare et rettamente sonare la Musica (1584) e il Discorso intorno all’opere di messer Gioseffo Zarlino da Chioggia (1589). L’influenza esercitata da Vincenzo Galilei su Galileo è stata discussa da alcuni storici della musica e della scienza540 e ruota attorno all’importante ruolo svolto dall’esperimento nelle ricerche musicali del padre, alla confutazione del principio di autorità e della numerologia.
Il rifiuto del principio di autorità a favore dell’esperienza è espresso da Vincenzo Galilei sin dalla sua prima importante opera a stampa:
Prima che V.S. cominci à sciorre il nodo del dubbio proposto, desidero che in quelle cose dove arriva il senso, si lasci (come dice Arist. nell’ottavo della Fisica) sempre da parte non solo l’autorità; ma la colorata ragione che ci fusse contrario con qual si voglia apparenza di verità. perche mi pare che faccino cosa ridicola (per non dire insieme col Filosofo, da stolti) quelle che per prova di qual si voglia conclusione loro, vogliono, che si creda senz’altro, alla semplice autorità; senza addurre di esse ragioni che valide siano541.
Il fondamento della ricerca non è tanto l’evidenza dei sensi, dei quali Galilei riconosce la fallacia, ma la reiterazione dell’esperienza: «com’io per il mio udito dopo molte et molte sperienze (poiche con altro mezzo migliore non so potersene haver certezza) ho giudicato»542. In Vincenzo Galilei è già prensente in nuce la
539 Cfr. H
OWARD MAYER BROWN, Vincenzo Galilei in Rome: his First Book of Lute
Music (1563) and its Cultural Context, in Music and science in the age of Galileo, a cura di
V. Coelho, Dordrecht, Kluwer, 1992, pp. 153-184.
540 STILLMAN DRAKE, The role of music in Galileo's experiments, Scientific
American, CCXXXII, 1975, pp. 78-104. CLAUDE V. PALISCA, Was Galileo’s Father an
Experimental Scientist?, in Music and science in the age of Galileo, cit., pp. 143-151.
THOMAS SETTLE, La rete degli esperimenti galileiani, in Galileo e la scienza sperimentale, a cura di M. Baldo Ceolin, Padova, Dipartimento di Fisica ‘Galileo Galilei’, 1995, pp. 11-62. C.V. PALISCA, Vincenzo Galilei, scienziato sperimentale, mentore del figlio Galileo, «Nuncius», XV, 2000, pp. 497-514.
541 V. G
ALILEI, Dialogo della musica antica e della moderna, Firenze, 1581, rist.
anastatica, a cura di F. Fano, Roma, Reale Accademia d’Italia, 1934, p. 2.
542 ID., Discorso intorno all’opere di messer Gioseffo Zarlino da Chioggia, cit., p.
117. Palisca discute criticamente l’affermazione di Walker secondo cui Vincenzo Galilei non avrebbe compiuto alcun esperimento per determinare il rapporto tra altezza del suono, diametro e lunghezza delle canne d’organo: D.P. WALKER, Studies in Musical Science in the
Late Renaissance, cit., p. 24; C.V. PALISCA, Vincenzo galilei, scienziato sperimentale,
mentore del figlio Galileo, cit., p. 509. Cohen ritiene che Galilei sia uno sperimentatore,
sebbene incompiuto (H.F. COHEN, op. cit., pp. 83-85). La lettura di Palisca di un Vincenzo Galilei scienziato sperimentale ruota principalmente attorno agli esperimenti compiuti sulle corde nel suo studio sul monocordo (Discorso sull’unisono) e a quello sulle canne d’organo del Discorso intorno all’opere di messer Gioseffo Zarlino da Chioggia e del Discorso sul
distinzione, esposta da Galileo nel Saggiatore, tra percezione sensibile e conoscenza ottenuta mediante l’esperimento intesto come analisi delle sensazioni543.
Il confronto tra Vincenzo Galilei e Zarlino avviene attorno a due grandi questioni. La prima – sulla quale si è concentrata la storiografia – riguarda la confutazione della numerologia, del senarius e il riconoscimento del primato dell’esperienza544. La seconda – oggetto del presente studio – affronta l’argomento del rapporto arte-natura.
Quest’ultimo tema, che viene affrontato analiticamente nel Discorso, e solo accennato nel precedente Dialogo, poggia sulla lettura aristotelica del rapporto tra techne e natura, recuperata negli stessi anni da studiosi delle questioni meccaniche pseudo-aristoteliche.
Nel secondo libro della Physica aristotelica si stabiliscono l’omogeneità dell’attività dell’arte e della natura e il conseguente superamento della loro contrapposizione. Tale impostazione viene ripresa nel Cinquecento, impiegata da Vincenzo Galilei e, in meccanica, da Piccolomini e Guidobaldo del Monte. Secondo Aristotele, l’operare della natura si produce come l’operare tecnico: l’arte non solo imita la natura ma esegue ciò che questa è impossibilitata a compiere.
E se le cose che sono da natura, fossero fatte non solo da natura, ma anche fossero prodotte con la tecnica, sarebbero prodotte in quello stesso modo nel quale esse sono prodotte per natura. Dunque l’uno è in vista dell’altro. In generale, talvolta l’arte porta a compimento quanto la natura è impossibilitata a fare, talaltra imita la natura545.
L’uguaglianza poggia sul riconoscimento che arte e natura sono cause ed entrambe agiscono in vista di un fine. Vincenzo ridefinisce il contesto delle obiezioni di Zarlino: l’arte non è intesa come forma artistica, di cui la tradizione riconosce la sua attività di imitazione (Galilei con qualche riserva), ma come agire tecnico, costruzione di strumenti materiali e concettuali. Il fine dello strumento musicale è infatti l’esecuzione della musica che ha per scopo la piacevolezza.
Vincenzo Galilei confuta il presupposto zarliniano secondo il quale il canto è più naturale della musica strumentale, poiché anche l’arte del ben cantare si apprende con una lunga pratica e l’intonazione adottata è frutto «dell’artifizio del suo autore». Le voci naturali e gli ‘artifiziali’ strumenti impiegano un sistema d’intonazione che è
543 V. GALILEI, Discorso intorno all’uso delle dissonanze, Firenze, Biblioteca
Nazionale Centrale, Ms. Gal. 1, Anteriori, fol. 120v. G. GALILEI, Il Saggiatore, OG VI, pp. 347-348.
544 C.V. P
ALISCA, Scientific empiricism in musical thought, in Seventeenth century
science and the arts, a cura di S. Toulmin, H.H. Rhys, Princeton, Princeton university press,
1961, pp. 119-137; STILLMAN DRAKE, Renaissance music and experimental science, «Journal
of the history of ideas», XXXI, 1970, pp. 483-500.
artificiale tanto quanto un altro546. La polemica è rivolta contro l’assunto zarliniano della naturalità del sistema d’intonazione del sintono di Tolomeo; al contrario, sostiene Galilei, il sintono è frutto dell’artifizio di Tolomeo quanto il temperamento proposto da Galilei: «Quando Tolomeo ordinò il sintono non si fece distinzione d’intervalli naturali et d’intervalli artifiziali. Il Sintono tutto insieme, et in ciascheduna parte della sua divisione, è artifiziale. Naturale è la qualità del suono che contiene in se qual sia intervallo in essa»547.
Zarlino ritiene che con il temperamento degli strumenti non si possa udire «ogni consonanza, et ogni harmonia nella sua vera forma», «nella sua perfezione» poiché «la Natura, nel fare le cose, è molto superiore all’Arte: et questa nello imitare fa ogni cosa imperfetta, et quella (rimossi gli impedimenti) ogni cosa riduce a perfezione»548. La scala naturale zarliniana corrisponderebbe invece esattamente alle intonazioni assunte istintivamente dai cantanti ma non potrebbe essere impiegata nella musica strumentale, e soprattutto in quella cembalistica e organistica (strumenti nei quali l’altezza dei suoni non viene modificata dalla posizione delle dita o dalla pressione delle labbra), senza dar luogo a notevoli inconvenienti: sarebbe infatti necessario modificare l’accordatura dello strumento ad ogni nuova tonalità, oppure mantenersi in uno stile strettamente diatonico, evitando i cromatismi e le modulazioni che invece Vincenzo Galilei ricerca e ai quali fa riferimento anche Galileo nella lettera a Cigoli. Questo induce gli strumentisti ad adottare uno dei vari temperamenti proposti nel Cinquecento – tra i quali vi è anche quello di Vincenzo Galilei –, che sono arbitrari e artificiali ma anche utili.
La posizione assunta da Vincenzo Galilei riguardo alla questione posta da Zarlino del rapporto arte-natura lo porta a conclusioni che sono presenti in Galileo e che compaiono anche in altri contemporanei, in particolare nella In duos Archimedis […] paraphrasis di Guidobaldo del Monte.
Se il fondamento del ragionamento di Vincenzo Galilei è il medesimo di quello espresso nelle Questioni Meccaniche («Come infatti scrisse il poeta Antifonte, così appunto stanno le cose: “Per arte noi otteniamo la padronanza su quelle cose dalle quali per natura siamo vinti”»)549, diversa è l’idea che l’arte produca, per il beneficio degli uomini, cose contro natura: «Suscitano meraviglia, tra gli eventi che accadono in armonia con la natura, quelli dei quali la causa è ignota; tra gli eventi
546 V. G
ALILEI, Discorso intorno all’opere di messer Gioseffo Zarlino, cit., pp. 25,
32, 97 e ss..
547 Ivi, p. 35. 548 G. Z
ARLINO, Le Istitutioni harmoniche, cit., parte II, cap. 42, p. 127. Zarlino
rimane fedele alla sua convinzione concernente la superiorità della natura sull’arte: il quarto capitolo dei suoi Sopplimenti musicali s’intitola Della differentia che si trova tra la Natura et
l’Arte; tra il Naturale et l’Artificiale; et che l’Artefice è solamente imitator della Natura (G.
ZARLINO, Sopplimenti musicali, cit., libro I, cap. IV, pp. 18-21).
549 PSEUDO-ARISTOTELE, Mechanica, trad. it. a cura di M.E. Bottecchia Dehò,
che accadono invece contro natura, destano stupore tutti quelli che sono realizzati con arte per utilità dell’uomo»550. In Galilei, come anche in Fabio Colonna, la contrapposizione arte-natura si dissolve.
Particolarmente significativa al riguardo è l’opera di Guidobaldo del Monte (1545-1607) che pubblica il Mechanicorum liber nel 1577 e il commentario all’opera di Archimede sui centri di gravità nel 1588. Guidobaldo invia il suo In duos Archimedis aequeponderantium libros paraphrasis scholijs illustrata a Galileo che si trova a Firenze, come testimonia la lettera di ringraziamento di Guidobaldo del 28 maggio 1588: «Ho ricevuto due sue lettere, che mi hanno data grandissima satisfattione. Credo che per la sua modestia dica che gli piace il mio libro che gli ho mandato»551. La stampa del libro era stata terminata il 24 marzo: «volevo mandargli il libro, il quale è appunto finito di stampare adesso. Io conosco benissimo che V.S. non ha punto bisogno di questo commento, ma il libro è fatto per i principianti»552. Non è da escludersi che anche Vincenzo avesse letto e discusso la parafrasi in question: dal 1585 al 1588 Galileo risiede assieme ai genitori a Firenze; il Discorso di Vincenzo è pubblicato un anno dopo, nel 1589, e le opere precedenti non affrontano in modo organico questo tema.
Come Guidobaldo, Vincenzo ritiene che vi siano arti che imitano in qualche misura la natura, come la pittura o la scultura, e altre che si dedicano a ciò che la natura non esegue, come la medicina. Guidobaldo aggiunge alcune arti che apparentemente compiono cose contro natura, come la meccanica, ma che di fatto la seguono perché l’effetto a cui pervengono potrebbe essere stato prodotto dalla natura stessa, se questa si fosse prefissa una tale finalità553:
Ars quippe ex Aristotele phisicorum secondo, et ex proaemio quaestionum mechanicarum triplici modo in suis opificijs sese habere videtur. Nam vel immitatur natura; vel ea perficit, quae natura perficere non potest; vel denique ea, quae praeter naturam fiunt, operatur; in quibus tamen omnibus operandi rationibus, si diligenter eas consideremus, artem sempre immitari naturam perspiciemus. Primum quidem multas artes naturam immitari aperte videmus, ut sculpturam, et huiusmodi alias. Quando autem ars ea perficit, quae sola natura perficere non potest, ut in arte medica evenire solet; naturam ipsam pariter emulatur, et naturae associata, velut instrumentum eius, naturalem effectum perficere dicitur: tuncque eodem modo
550 Ibid.
551 Lettera 17, OG X, p. 33. Cfr. A. FAVARO, La libreria di Galileo Galilei, cit., p.
54.
552 Lettera 15, OG X, p. 31. Sull’influenza esercitata da Guidobaldo su Galileo, cfr.
G. MICHELI, op. loc. cit., pp. 148-151.
553 GUIDOBALDO DEL MONTE, In duos Archimedis aequeponderantium libros paraphrasis scholijs illustrata, Pisauri, apud Hieronymum Concordiam, 1588, Praefatio, pp.
2-3. Cfr. GIANNI MICHELI, Guidobaldo del Monte e la meccanica, in La matematizzazione
dell’universo: momenti della cultura matematica tra ‘500 e ‘600, a cura di L. Conti, Assisi,
operatur, ac si natura rem ipsam absque artis ope perfice reposset, quod plane artis praestantiam manifestat: quippe cum nisi ars ipsi naturae manum porrigat, natura ipsa proprios effectus perficere ex sese minime possit.
Anche Vincenzo Galilei distingue tra vari generi di arte: quelle che «usano e abbusano in qualunque modo che serva per l’opera», come calzolai, legnaioli; altre che «hanno per fine il beneficare e far perfetto quanto più possano il lor subbietto» come l’agricoltura, la veterinaria, la medicina. Quest’ultime correggono gli errori fatti dalla natura: «di qui appare che quello che è fatto dalla natura, quando sia fatto con qualche difetto, può correggersi con l’arte»554. L’errore o il difetto della natura è un concetto del tutto estraneo alle questioni pseudo-aristoteliche e ai suoi commentatori, ma è invece presente nella Physica di Aristotele ove sono definiti come mancanze in vista del conseguimento di un fine: «i mostri sono un errore nel conseguimento del fine»555.
Vincenzo Galilei prosegue la sua polemica ritenendo che nessuno strumento sia mai stato fatto ad imitazione della natura, come sostiene Zarlino556:
Mai strumento fu fatto dall’arte, per altro fine che per l’uso che si doveva apportare […] gli strumenti artifiziali non si fanno mai ad imitatione di quelli che usa la natura; percioche all’artefice non importa questa similitudine; ma gl’importa bene il poter conseguire con il suo strumento il fine propostosi. Quando poi i fabricatori di questi strumenti vogliono correggere o migliorare alcuna cosa la qual manchi in essi, non possano altramente correggerla con l’essemplare o modello fatto dalla natura come il Zarlino dice; ma si bene col riguardare al fine, è vero che s’aspetta da quello. Et se ultimamente voglion renderne ragione, non la pigliano d’altrove che dal medesimo uso et fine di esso: dicendo di haver fatto tale quello strumento, perché così haveva da essere a fare quella tal opera. Non è vero adunque, che gli strumenti artifiziali, si faccino ad imitatione di quelli che usa la natura, ne che si corregghino con messo di lei, so come ne anco è vero che se ne renda ragione con i suoi principij.
Lungo il Discorso Galilei ribadisce aristotelicamente che arte e natura sono entrambe cause, parti complementari e, in molte occasioni, la prima supera la
554 V. GALILEI, op. loc. cit., p. 70. Cfr. G. DEL MONTE, In duos Archimedis…paraphrasis, cit.: «immitando naturam (paradoxum id forte videbitur, cum
tamen verissimum sit) praeter naturae ordinem operari dicatur. Ars enim mirabili artificio naturam ipsa natura superat; ita nimirum res disponendo, ut ipsa efficeret natura, si ejusmodi sibi producendos statueret effectus. […] Quid igitur efficit ars ipsa? nil sane aliud, quam quod res ita disponit et accomodat; ut similes effectus inde prodeant atque si naturales omnino existant».
555 A
RISTOTELE, Physica, II, 199b.
556 V. GALILEI, op. loc. cit., pp. 73-74. La definizione e classificazione delle arti
avviene sulla base dell’uso e dei bisogni che si propongono di soddisfare, così come era stata delineata da Vitruvio nel De Architectura: VITR. 10, 1, 3.
seconda: «la natura et l’arte sono due cause efficienti, ciascuna delle quali è perfetta nel suo genere».
Come per Galileo, l’astuzia che si estrinseca negli strumenti meccanici non opera più contro natura ma ricerca l’utilità e i benefici, così per Vincenzo «l’artefice poi nel fare i suoi strumenti, mai per tempo alcuno si prese cura d’imitare la natura, ma solo cercò con il mezzo di esso d’ottenere il fine propostosi»557, e il temperamento assolve con astuzia il proprio compito di consentire una più agevole esecuzione su strumenti ad accordatura fissa.
Riguardo alla musica d’insieme strumentale e vocale, Vincenzo Galilei pone un importante discrimine, frutto delle discussioni sorte nell’Accademia de’ Bardi e all’origine del successivo sviluppo della monodia accompagnata. Egli respinge la polifonia tra le voci perché impedisce la comprensione dei testi che, nella musica vocale, sono la parte più importante. Il contrappunto può dunque essere eseguito solo nella musica strumentale, ma non in quella vocale: «Non fu mai di quelli intentione, che tali regole [i.e. contrappuntistiche] havessero à seguire per l’uso dell’harmonie insieme con le quali si havesse da esprimere il concetto dell’animo con il mezzo delle parole, et con quello affetto che si conviene; ma si bene per il semplice suono degli artifitiali strumenti, et di fiato et di corde»558. Inoltre, lo stile contrappuntistico è stato adottato solo da poco più di un secolo e, anche volendo ammetterne l’uso, occorrerebbe distinguere, seguendo la lezione degli antichi, tra un genere di musica adatto al teatro e fatto per soddisfare la plebe e un altro frutto dell’erudizione e della disciplina, indispensabile per la formazione dei giovani559.
Con Girolamo Mei, Vincenzo Galilei e, in seguito, Fabio Colonna la musica non è più scienza matematica ma scienza sperimentale e lo strumento musicale diviene strumento scientifico sul quale compiere esperimenti560:
Hoggi vengo appresso, che mettendo nel liuto una corda di minurgia et una di acciaio, le quali si tirino dapoi Unisone a modo loro quando per essempio io le tasterò a sette tasti, dico che toccandole di poi a vuoto, o a 12 tasti non sendo parimente unisone, ne seguirà necessariamente ch’elle non fussero unisono neanco quando io le udii à sette tasti.
Tale uso era già stato suggerito da Mei in una lettera del 17 gennaio 1578561:
557 V. G
ALILEI, op. loc. cit., p. 35.
558 Ivi, p. 85. 559 Ivi, p. 80.
560 V. GALILEI, Discorso particolare intorno all’Unisono, Firenze, Biblioteca
Nazionale, Ms. Gal. 3, Anteriori, foll. 59r-v. Riguardo allo scambio intellettuale di Mei e Galilei e, in generale, alle discussioni musicali della camerata fiorentina si vedano gli approfonditi studi di C.V.PALISCA, Girolamo Mei. Letters on Ancient and Modern Music, Roma, American Institute of Musicology, 1960; ID., «The ‘Camerata fiorentina’: a reappraisal», Studi musicali, anno I, n. 2, 1972, pp. 203-236; ID., The Florentine Camerata, New Haven-London, Yale University Press, 1989.
Tendi su un liuto (più grande è, più chiaramente risulterà quanto desideriamo mostrare all’orecchio) due corde di ugual lunghezza e sezione, e regola con cura i tasti sottostanti in sintonia con la distribuzione degli intervalli in ciascuna delle due specie di intonazione – il sintonico (giusta intonazione) e il diatonico (pitagorica) – quindi prendendo una alla volta le note del tetracordo tramite i tasti di ciascuna corda, osserva quale delle due corde dia note corrispondenti a quanto si suona oggi.
Tutto ciò considerato, rimane da definire in quale misura Vincenzo Galilei abbia effettivamente influenzato il figlio. Se, come è stato rilevato562, la forma espositiva del dialogo adottata da Galileo sembra emulare quella del padre, vi è però una significativa differenza, o meglio uno sviluppo. Nel Dialogo Vincenzo Galilei afferma di essersi ispirato a Platone poiché tale genere letterario ha «forza et vigore nel conchiudere le sententie et gli argumenti»563. In Galileo sono presenti una tagliente ironia e una pungente derisione degli interlocutori – sulle quali si soffermerà anche l’Inquisizione – che sono estranee al padre e più vicine, ad esempio, all’uso del dialogo fatto da Giordano Bruno564.
Claude Palisca ritiene molto probabile che sia stato il padre a segnare con importanti stimoli culturali il percorso di Galileo, considerando che questi è ancora nell’età della formazione quanto Vincenzo enuncia alcuni dei suoi principii, sviluppati successivamente565. La medesima domanda viene posta da Thomas Settle riguardo al nuovo metodo sperimentale di ricerca566. Nonostante le indubbie affinità e le palesi riprese delle teorie di Vincenzo Galilei nei Discorsi e dimostrationi matematiche, non è possibile stabilire con certezza quale sia stato dei due ad influenzare l’altro, o se abbiano tratto reciproco beneficio dagli stimoli dell’ambiente culturale e scientifico dell’altro, come conferma la discussione sugli strumenti artificiali e il superamento della contrapposizione arte/natura.
561 Riportata in I
D., Girolamo Mei. Letters on Ancient and Modern Music, cit., p. 67.
Lo stesso esperimento è stato riproposto trecento anni dopo da Albert Marloye nel suo sonometro differenziale (1850 circa): tre corde sono tese su un monocordo, due delle quali suddivise secondo l’intonazione naturale e il sistema temperato.
562 C.V. PALISCA, Vincenzo Galilei, scienziato sperimentale, mentore del figlio