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L’immagine della ricerca scientifica: il mito musicale del

SAGGIATORE

Nel Saggiatore Galilei delinea il ruolo dello scienziato attraverso un mito musicale speculare alla favola del ritrovamento pitagorico delle consonanze. Il ruolo rivestito da questo mito è efficacemente riassunto da Victor Coelho con «sine musica scientia nihil est»595.

Il mito si apre con una critica implicita al principio di autorità: il protagonista non possiede alcuna nozione scientifica o musicale, ma sopperisce a tale manchevolezza con un «ingegno perspicacissimo» e una «curiosità straordinaria». La chiarezza della visione intellettuale e la sollecitudine e cura nell’investigazione della natura – che corrispondono, rispettivamente, alla certezza con la quale l’intelletto conoscere alcune proposizioni matematiche e alla dimensione dell’esperienza – lo inducono ad indagare differenti fonti sonore: il suo percorso conoscitivo va dal canto degli uccelli allo zufolo di legno, dal violino allo sfregamento delle dita sopra l’orlo di un bicchiere, dall’osservazione del suono emesso dal movimento delle ali degli insetti a quello di numerosi strumenti musicali.

Gli esempi proposti da Galilei non sono casuali ma afferiscono a differenti ambiti d’indagine: i bicchieri rinviano all’esperimento attribuito dalla tradizione a Pitagora e a quelli compiuti dal padre Vincenzo e da Galileo medesimo; il battito delle ali degli insetti alla trasmissione del suono come movimento d’aria596; il violino e lo zufolo all’organologia, ai dibattiti sulla musica strumentale e agli studi condotti sul monocordo e le canne dell’organo. Inoltre, sono proposti una serie di dualismi tra musica della natura e degli strumenti, strumenti musicali e oggetti sonori (bicchieri) che procedono verso una sempre più definita dimensione sperimentale (il laboratorio organizzato con bicchieri, canne d’organo, ecc.) e una ricerca delle cause fisiche condotta su ‘corpi sonori’ (battito d’ali, sezionamento della cicala), lasciando in secondo piano l’arte musicale come imitazione della natura (lo zufolo e il violino attraggono l’uditore per la loro somiglianza al canto degli uccelli).

Nonostante l’accumulo di esperienza, il protagonista del mito si trova «più che mai rinvolto nell’ignoranza» perché non conosce le cause del canto di una cicala in quanto essa non muove le ali né emette un suono con la voce. «Onde si ridusse a tanta diffidenza del suo sapere, che domandato come si generavano i suoni,

595 V

ICTOR COELHO, Musical Myth and Galilean Science in Giovanni Serodine’s

Allegoria della Scienza, in Music and science in the age of Galileo, cit., p. 91. Sul mito musicale del Saggiatore, cfr. ivi, pp. 101-102.

596 Cfr. Il Saggiatore, p. 349-350: «i suoni allora son fatti, e sentiti in noi, quando

[…] un frequente tremor dell’aria, in minutissime onde increspata, muove certa cartilagine di un certo timpano ch’è nel nostro orecchio. Le maniere poi esterne, potenti a far questo increspamento nell’aria, sono moltissime; le quali forse si riducono in gran parte al tremore di qualche corpo che urtando nell’aria l’increspa, e per essa con gran velocità si distendono l’onde, dalla frequenza delle quali nasce l’acutezza del suono, e la gravità dalla rarità».

generosamente rispondeva di sapere alcuni modi, ma che teneva per fermo potervene essere cento altri incogniti e inopinabili»597. Così come, secondo l’insegnamento paterno, la scienza musicale si colloca sull’incerto terreno dell’esperienza, lo studio dei fenomeni naturali deve prescindere dal finalismo e dalla ricerca di una qualche conformità a modelli metafisici.

L’immagine della cicala allude ad un altro mito posto dalla tradizione a fondamento della musica e rievocato anche da Cesare Ripa nella sua Iconografia ove raffigura una donna nell’atto di suonare una cetra nella quale la corda rotta è sostituita da una cicala. Il mito in questione è quello del musico Eunomio al quale, durante la gara musicale dei giochi Pitici disputata con Aristone, si ruppe una corda della cetra che venne sostituita da una cicala volata sullo strumento, permettendo così al favorito degli dei di vincere: «Onde per beneficio della cicala, in memoria di tal fatto li Greci drizzorno una statua al detto Eunomio con una cetera con la cicala sopra et la posero per hieroglifico della Musica»598. Galilei, pur evocando implicitamente il mito greco – anche al protagonista del mito del Saggiatore la cicala vola improvvisamente sulla mano –, trasforma la musica, personificata nella cicala, in un oggetto d’indagine, analizzando una per volta le componenti della cassa armonica dell’insetto mediante la frattura delle piccole cartilagini e sezionandola con l’ago.

Il mito introduce due generi di considerazioni: la musica non è arte esecutiva ma oggetto della ricerca scientifica; la scienza dei suoni è l’ambito in cui si delinea il nuovo metodo d’indagine, si sancisce il primato delle ‘sensate esperienze’ pur riconoscendo che il compito dello scienziato è circoscritto ad un numero finito di esperienze a causa delle sue limitate capacità conoscitive.

L’uomo non è in grado di conoscere tutta la ricchezza della natura ma solo ciò che l’esperienza gli mostra: «Altrettanto grande quanto frequente mi pare l’errore di molti, i quali vogliono far il loro sapere et intendere misura dell’intendere et sapere di Dio, sì che solo perfetto sia quello che loro intendono esser perfetto». La natura non rispetta sempre i nostri caratteri di perfezione

talché quando ad un huomo fusse toccato a dovere a sua elezione stabilire et ordinare con perfette proporzioni le differenze de i prestantissimi movimenti delle celesti sfere, credo che senza dubbio gl’avesse moderati secondo le prime et più rationali proporzioni; ma all’incontro Iddio, senza riguardo alcuno delle nostre intese simmetrie, gli ha ordinati con proporzioni non solamente incommensurabili et irrazionali, ma totalmente impercettibili dal nostro intelletto. […] Uno de i nostri più celebri architetti, se havesse hauto a compartire nella gran volta del cielo la moltitudine di tante stelle fisse, credo io che distribuite le haverebbe con bei partimenti di quadrati, esagoni et ottagoni, interzando le maggiori tra le mezzane et

597 Ivi, p. 281.

598 CESARE RIPA, Iconologia overo Descrittione d’Imagini delle Virtù, Vitii, Affetti, Passioni humane, Corpi celesti, Mondo e sue parti, Padova, Pietro Paolo Tozzi, 1611, voce Musica.. STRABONE, Geografia VI, 9.

le piccole, con sue intese corrispondenze, parendogli in questo modo di valersi di belle proporzioni; ma all’incontro Iddio, quasi che con la mano del caso le habbia disseminate, pare a noi che senza regola, simmetria o eleganza alcuna le habbia sparpagliate599.

Questa lettera a Gallinzoni mostra i limiti conoscitivi dell’uomo per quanto concerne quello che verrà definito l’‘intendere intensivo’ e il necessario ricorso a ‘sensate esperienze’ e ‘necessarie dimostrazioni’. Il riferimento implicito è a Johannes Kepler che nel Mysterium Cosmographicum del 1596600 aveva descritto la struttura geometrica dell’universo («quadrati, esagoni et ottagoni, interzando le maggiori tra le mezzane et le piccole, con sue intese corrispondenze, parendogli in questo modo di valersi di belle proporzioni»). Galilei, che legge l’opera in questione di Kepler e intraprende con lui uno scambio epistolare a partire dall’anno seguente – che porta alla stesura della Dissertatio cum Nuncio Sidereo – è critico nei confronti dell’impostazione metafisica dell’astronomo tedesco. L’uomo, infatti, conosce con un grado di certezza pari a quello divino solo un numero ristretto di proposizioni matematiche. Galilei non sostiene mai esplicitamente, come avviene invece in Kepler, che le verità matematiche sono coeterne e coessenziali a Dio. Inoltre, il Creatore non è un architetto umano: l’irrazionalità apparente («pare a noi», «impercettibili dal nostro intelletto») è dovuta alla differenza tra mente umana e divina. La consapevolezza di tale divario ontologico ed epistemologico deve assolvere la funzione di contenere l’ambizione degli uomini a voler misurare la creazione sulla base della propria capacità conoscitiva o, keplerianamente, delle verità possedute ab aeterno dalla mente umana. Questo comporta un’accentuazione dell’importanza dell’esperienza, dell’osservazione telescopica, grazie alle quali, ad esempio, respingere la concezione di una superficie lunare «pulita, tersa e assolutissimamente sferica» o la perfezione dei ‘numeri sonori’:

la natura non ha obbligo o convenzione alcuna con gl’huomini, et massime con me, di fare che l’opere et effetti suoi non siano se non quando gl’intendo et posso diffendergli da quelli che volessero negargli o destruggergli; et il mio ignorare la causa per la quale noi non veggiamo le asprezze nella circonferenza della Luna, non inferisce che tal causa non ci sia, potendo esserne molte incognite a noi601.

599 Lettera 555, OG XI, pp. 149-150 (il corsivo è nostro). Diversa è l’interpretazione

di Marion, il quale ritiene che «Ce texte étonnant n’indiquent pas tant l’irréductible spécificité de l’ordre physique, que l’imperfection de la mathématique divine» (Sur la théologie blanche

de Descartes, Paris, Presses Universitaires de France, 1981, p. 217). Se si può parlare di limiti

dell’onnipotenza divina per quanto concerne l’ordine della creazione, è però difficile sostenere una duplice imperfezione della potenza e della sapienza di Dio.

600 J.K

EPLER, Prodromus Dissertationum Cosmographicarum, continens Mysterium

Cosmographicum de admirabili proportione orbium coelestium…, in Gesammelte Werke, vol.

I, a cura di M. Caspar, München, C.H. Beck, 1938, pp. 23 e ss.

La centralità della dimensione sperimentale e l’imperscrutabilità del disegno divino sono particolarmente acute in questi anni, come si evince soprattutto dall’epistolario, ma tende a dissolversi, senza mai scomparire, nelle sue due grandi opere.

Ignorare la causa del canto della cicala – osservabile da vicino e percepibile con più sensi (vista, udito e tatto) – rende ragione dell’estrema difficoltà di conoscere le cause della cometa, che possiamo osservare solo a grandi distanze e con la mediazione di uno strumento artificiale. L’uomo conosce solo una parte di come il mondo è de facto, non le speculazioni sulle cause finali.

[…] assai son quelli che sanno pochissimo di filosofia; pochi son quelli che ne sanno qualche piccola cosetta; pochissimi quelli che ne sanno qualche particella; un solo Dio è quello che la sa tutta. Sì che, per dir quel che voglio inferire, trattando della scienza che per via di dimostrazione e di discorso umano si può da gli uomini conseguire, io tengo per fermo che quanto più essa participerà di perfezzione, tanto minor numero di conclusioni prometterà d’insegnare, tanto minor numero ne dimostrerà, ed in conseguenza tanto meno alletterà, e tanto minore sarà il numero de’ seguaci602.

Questa posizione di Galilei diviene ancor più chiara se confrontata alle parole di Kepler e alla distinzione da questi posta tra ‘matematico’ e ‘metafisico’. Il quarto libro degli Harmonices Mundi Libri V è definito dall’Autore «Metaphysicus, Psychologicus et Astrologicus», alludendo alla differenza tra il proprio stile di argomentazione, «fisico, o anche metafisico», e quello matematico e a posteriori di Copernico stabilito attraverso le osservazioni. Pur essendo condivisa da entrambi la ricerca della vera costituzione dell’universo, espressa dalle rationes mathematicae, e non solo la descrizione dei fenomeni apparenti, Copernico deve essere considerato come un prosecutore di Tolomeo ma non di Pitagora e Platone: nel caso dell’astronomo polacco, infatti, i modelli impiegati per selezionare le ipotesi non sono metafisici e l’armonia del suo sistema è interna al movimento orbitale. Anche se le motivazioni sono del tutto differenti, tale giudizio rievoca inequivocabilmente quello espresso da Bruno che, nella Cena delle Ceneri, contrappone il Copernico «più studioso della matematica che della natura», che non ha potuto, con il suo «matematico discorso» e la «raggione calculatoria», «profondar e penetrar sin tanto che potesse a fatto toglier via le radici de inconvenienti e vani principii», divenendo così solo l’aurora che precede il «sole de l’antica vera filosofia», la quale propone non una nuova astronomia ma una nuova filosofia603. Ancora più esplicita è la

602 Il Saggiatore, p. 237.

603 GIORDANO BRUNO, La cena de le ceneri, in Dialoghi filosofici italiani, cit.,

dialogo I, pp. 24-25. Copernico e Tolomeo sono, rispetto al Nolano, «simili a que’ rustici che rapportano gli affetti e la forma d’un conflitto a un capitano absente; et essi non intendono il negocio, le raggioni e l’arte, co la quale questi son stati vittoriosi: ma colui che ha esperienza e meglior giudicio ne l’arte militare» (ivi, p. 23).

distinzione che viene tracciata nella Dissertatio cum Nuncio Sidereo, la quale definisce in maniera univoca Copernico e Galileo. Il dualismo oppositivo è nuovamente tra Copernico da un lato e Pitagora, Platone, Euclide e implicitamente (anche se con le dovute differenze) Kepler dall’altro lato, ma a tali figure si aggiungono altri nomi: alla prima coppia Galilei e Brahe, alla seconda Bruno ed Edmund Bruce. Nell’Autore degli Harmonices Mundi Libri V la distinzione non poggia, come per Bruno, sul richiamo all’antica sapienza e all’ermetismo, sull’impiego di geroglifici, come emerge dal confronto con l’opera del medico paracelsiano Robert Fludd. Egli però, a differenza di Galilei, non si limita a descrivere ciò che viene percepito dai sensi, anche se potenziati dal telescopio – allo sviluppo del quale Kepler contribuisce in modo decisivo – bensì, anteponendo la ragione alla conoscenza sensibile, non solo vuole risalire alle causae rerum604 ma partire dalle divinae rationes per delineare la struttura del cosmo che è infatti, sulla base degli archetipi musicali divini, armonica. Kepler non si accontenta di far passare l’astronomia da matematica a philosophia naturalis e la estende sino al punto di tangenza con la philosophia prima.

Pitagora, Platone ed Euclide guidano le loro ricerche con la superiorità della ragione e i cinque solidi regolari; Copernico, con la sola intelligenza (anche se non comune) ha portato alla luce la struttura dell’universo senza però risalire, come Platone, al ‘perché’605:

Scilicet in mea etiam materia erunt miraculo PYTHAGORAS, PLATO,

EUCLIDES; quod Rationis praestantia subvecti concluserunt, aliter factum esse non

posse, quam ut Deus Mundum ad exemplar quinque regularium corporum exornaret; licet in modo erraverint: vulgaris contra laus erit COPERNICI, qui ingenio quidem usus non vulgari, descriptionem tamen mundi quasi ocularem fecit, solum to hoti in lucem efferens; cedet longe Veteribus KEPLERUS, qui ex oculari intuitu Systematis Copernicani, quasi ek tou hoti ascendit ad causas easdem adque to dioti, quod PLATO

a priori desuper tot ante saeculis prodiderat; ostenditque in Systemate Mundi Copernicano expressam esse rationem quinque corporum Platonicorum.

L’astronomo tedesco aveva già criticato questo aspetto di Galilei: «quae ubi in tuo systemate mundi in considerationem adduxeris, spero te hac in parte tanto

604 Si veda, in particolare, J.K

EPLER, Harmonices Mundi Libri V, cit., libro V, cap.

IX, p. 330. Kepler riprende qui la lezione platonica della Repubblica relativa all’atteggiamento di astronomi e musici. PLATONE, Repubblica, 531 B-C: «Costoro [i.e. i

Pitagorici], in fondo, non si comportano diversamente da chi si cimenta nell’astronomia, in quanto anch’essi nelle armonie che si colgono per via dei sensi cercano, certamente, la formula aritmetica, però non risalgono ai veri problemi, e cioè non vanno a vedere quali siano i numeri armonici e quali no, e le ragioni per cui gli uni siano tali e gli altri no»; «[…] misurando i rapporti fra gli accordi e i suoni ad orecchio, si fa quel che fanno gli astronomi: un lavoro del tutto inutile» (ivi, 531 A).

605 KEPLER, Dissertatio cum Nuncio Sidereo, in Gesammelte Werke, vol. IV, a cura di

foelicius de rerum causis disputaturum»606. Il proprio metodo è superiore in quanto più prossimo al modo di procedere del Creatore: «certe qui rerum causas, antequam res patent sensibus, concipiunt ingenio, ii Architecti similiores sunt caeteris, qui post rem visam cogitant de causis»607.

Il riconoscimento di ‘filosofo’ è contestato a Galilei anche da coloro che, al pari degli aristotelici, ritengono l’approccio matematico inadeguato ad indagare la natura608.

Già parmi di sentire intonar negli orecchi che altro è il trattar le cose fisicamente ed altro matematicamente, e che i geometri doveriano restar tra le lor girandole, e non affratellarsi con le materie filosofiche, le cui verità sono diverse dalle verità matematiche; quasi che il vero possa esser più di uno; quasi che la geometria ai nostri tempi pregiudichi all’acquisto della vera filosofia, quasi che sia impossibile esser geometra e filosofo, sì che per necessaria conseguenza si inferisca che chi sa geometria non possa saper fisica, né possa discorrere e trattar delle materie fisiche fisicamente. Conseguenze non meno sciocche di quella di un tal medico fisico, che, spinto da un poco di livore, diceva che il medico Acquapendente, essendo grande anatomista e chirurgo, doveva contentarsi di star tra i suoi ferri ed unguenti, senza volersi ingerire nelle cure fisiche, come se la cognizione di chirurgia distruggesse e fosse contraria alla fisica609.

La geometria non è distinta e inconciliabile con la filosofia perché quest’ultima non deve rivolgersi ad una ricerca delle essenze: la comprensione degli enti naturali può avvenire solo con un metodo matematico e mediante la scoperta dei rapporti quantitativi tra gli elementi della realtà. La matematica, inoltre, rappresenta l’elemento divino dell’uomo, vista la possibilità di intendere intensivamente parimenti a Dio, e rimane il principio metafisico su cui far poggiare la struttura cosmologica: Dio è un geometra che ha creato e ordinato matematicamente l’universo. Galileo, dunque, non è solo un matematico ma un filosofo naturale in

606 Ivi, p. 301. Per un confronto dettagliato della concezione della scienza di Kepler e

di Galilei si veda, in particolare, MASSIMO BUCCIANTINI, Galileo e Keplero. Filosofia,

cosmologie e teologia nell’Età della Controriforma, Torino, Einaudi, 2003, pp. 163-205. 607 J. KEPLER, Dissertatio, cit., p. 305.

608 Considerazioni di Accademico Incognito, OG IV, p. 165: «le proposizioni e prove

matematiche non arrivano a dimostrare la forza e le vere cagioni dell’operazioni della natura». Si veda al riguardo il famoso giudizio espresso da Descartes nella lettera a Mersenne dell’11 ottobre 1638. Neppure nei titoli delle traduzioni eseguite da Mersenne Galileo è definito filosofo ma «mathématicien et ingénieur».

609 G. GALILEO, Diversi frammenti attenenti al trattato delle cose che stanno su l’acqua, OG IV, pp. 49-50. ‘Girandole’ è impiegato ironicamente per i discorsi geometrici,

ipotizzando che a parlare siano gli avversari di Galileo. Il significato di ‘girandola’ come vano girare attorno alle questioni ricorre nel Saggiatore: cfr. ANDREA BATTISTINI, Girandole

verbali e severità di geometriche dimostrazioni: battaglie linguistiche nel Saggiatore,

quanto mira a fornire la vera descrizione della struttura dell’universo, come è de facto e non solo come potrebbe essere de jure610.

Il mito platonico contribuisce a conferire alla cosmologia galileiana un fondamento filosofico: avendo «adornato un concetto Platonico»611, è possibile uscire dalla contrapposizione messa in luce anche da Kepler. Tale scelta non è espressione del bisogno di richiamarsi ad un’autorità – esigenza estranea a Galilei – ma del desiderio di mostrare l’accordo con la filosofia platonica, la quale sancisce l’indissolubile legame tra matematica e filosofia612:

giudicate con giusta lance qual de’ dua modi di filosofare commini più a segno, o il vostro [i.e. di Rocco], fisico puro e semplice bene, o il mio, condito con qualche spruzzo di matematica; e nell’istesso tempo considerate chi più giustamente discorreva, o Platone, nel dire che senza la matematica non si poteva apprendere la filosofia, o Aristotele, nel tassare il medesimo Platone per troppo studio nella geometria.