• Non ci sono risultati.

Sperimentazione musicale »

Senza profonderci in analitiche ricostruzioni di esperimenti descritti e, in alcuni casi, realizzati da Galilei613, e discutere l’originalità della sua ricerca614, ci soffermeremo solo sulle trattazioni galileiane coinvolgenti l’elemento sonoro al fine di verificare il complesso equilibrio tra ragione ed esperienza615, comprendere il ruolo

610 Sulla distinzione tra prova de facto e legittimazione de jure (principii geometrici)

nella fisica galileiana si legga GIORGIO STABILE, Il concetto di esperienza in Galilei e nella

scuola galileiana, in Experientia. X Colloquio Internazionale. Roma, 4-6 gennaio 2001, a

cura di M. Veneziani, Firenze, Olschki, 2002, pp. 225 e ss. De facto si contrappone anche, come riportano le Considerazioni circa l’opinione copernicana (OG V, p. 351), a ex

suppositione: il sistema copernicano descrive la vera struttura dell’universo (come è de facto),

non si limita a fornire una plausibile giustificazione delle apparenze celesti.

611 Galilei torna più volte sull’idea dell’abbellimento del concetto platonico: Dialogo,

I, p. 53; Discorsi, IV, p. 284.

612 G. G

ALILEI, Postille alle Esercitazioni filosofiche di Antonio Rocci, cit., p. 744.

613 Per questi rinviamo a T.SETTLE, La rete degli esperimenti galileiani, cit.

614 Cfr. supra nota 542. Cohen (op. cit., pp. 92 e ss.) vede un’alternanza di Benedetti,

che applica le vibrazioni naturali dei suoni musicali alla questione delle consonanze, e di Vincenzo, che mostra un altro genere di rapporti naturali per le consonanze. Galileo sembra non conoscere Benedetti, nonostante nelle opere di questi siano presenti numerosi temi sul movimento e la musica affrontati in seguito dallo scienziato toscano.

615 Due posizioni estreme sono rappresentate da Koyré (Études Galiléennes) e Drake

(Galileo at Work). Per una rassegna del dibattito si veda MICHAEL SEGRE, The Role of

Experiment in Galileo’s Physics, «Archive of History of Exact Science», XXIII, 1980, 3, pp.

rivestito dal fenomeno sonoro nella sua ricerca e delineare i differenti ruoli assunti dall’ordine nella fisica e nella cosmologia.

Lo studio sulla forza della percossa, che passa da Aristotele a Leonardo da Vinci, a Cardano, a Borelli, a Mersenne, viene discusso ne Le Mecaniche616 e nella sesta giornata dei Discorsi617. Ai fini della nostra ricerca riveste un maggior interesse la testimonianza di Evangelista Torricelli che descrive un esperimento compiuto da Galileo con i vasi sonori. Secondo la Terza Lezione tenuta all’Accademia della Crusca, l’esperimento seguente di Galileo confermerebbe l’infinità della forza della percossa. Egli avrebbe fatto costruire alcuni archi dotati di gradi di resistenza differenti e disposto al centro della corda dell’arco con minor resistenza un filo lungo un braccio con appeso una sfera di piombo di circa due once. Sollevando la sfera e fissando l’arco orizzontalmente in una morsa, il piombo sarebbe caduto andando a percuotere un vaso sonoro posto perfettamente sotto il centro dell’arco. Sarebbe stato il suono del bicchiere a fungere da termine di paragone per determinare l’altezza alla quale era stato percosso dal piombo e, dunque, l’impeto e l’aumento della forza di percussione.

Nella descrizione delle Lezioni Accademiche, l’esperimento assume valenza di verifica empirica: «L’esperienze che la favoriscono [i.e. l’ipotesi dell’infinità della forza della percossa] e le invenzioni di quel famosissimo Vecchio [i.e. Galilei] erano queste»618. Del tutto differente è l’illustrazione fornita nella lettera inviata a Mersenne nel 1644 e avente ad oggetto anche il tema della percossa, ove Torricelli presenta la dimensione sperimentale come punto di partenza della riflessione galileiana. «Exceptis tamen duobus experimentis mechanicis, quorum utrumque inferre videtur percussionis vim infinitam esse debere»619. È probabile che questo cambiamento di accento sia dovuto al desiderio di non dare adito ad ulteriori critiche da parte del Minimo circa la scarsità di esperimenti condotti da Galilei.

Galileo non solo impiega il suono per determinare la forza della percossa ma cerca di mostrare acusticamente l’accelerazione di un grave sul piano inclinato620. Il parallelismo tra vista e udito è centrale nella questione dell’isocronismo del pendolo621, da cui prende le mosse per discutere della ‘materia nobilissima’ della musica: partendo da ‘facili e sensate esperienze’ intende spiegare le cause della piacevolezza delle consonanze.

616 Le Meccaniche, pp. 188-191. 617 Discorsi, VI, pp. 323-325. 618 E

VANGELISTA TORRICELLI, Lezioni accademiche d’Evangelista Torricelli,

Firenze, Guiducci e Franchi, 1715, Lezione terza, p. 20.

619 Lettera 1269, CM XIII, p. 113. 620 S. D

RAKE, The Role of Music in Galileo’s Experiments, cit., pp. 78-104.

621 Lettera 88, OG X, pp. 98-99. Vincenzo Viviani narra che Galilei compì i primi

esperimenti sul pendolo nel 1583, durante i suoi anni di studio a Pisa, osservando l’oscillazione del lampadario del Duomo, i cui tempi rimanevano invariati pur mutando l’ampiezza.

La trattazione dei Discorsi ruota attorno alle due questioni poste da Sagredo: la piacevolezza delle consonanze e il fenomeno fisico della risonanza622. A differenza delle esposizioni tradizionali di questo tema, Galilei analizza prima la risonanza, per impiegare poi i risultati ai fini della spiegazione delle consonanze. Come nella corda del liuto, anche nel pendolo se il tempo di una vibrazione è doppio rispetto a quello di un altro pendolo, mantenendo costanti tutti gli altri parametri, la lunghezza della corda dovrà essere quadrupla. Inoltre, sempre come una corda, ogni pendolo possiede un periodo di vibrazione ‘naturale’, ossia proprio di una determinata struttura (del rapporto tra lunghezza della corda e peso applicato) che rende impossibile modificarne l’ampiezza di oscillazione. La tendenza a recuperare l’oscillazione naturale, anche in seguito ad una variazione apportata da una causa esterna, palesa la «ricchezza e la somma liberalità della natura»623. La predisposizione naturale di una corda a vibrare (o ad oscillare) con un determinato periodo – stabilito sulla base di precisi parametri quantitativi e non derivante dall’essenza del corpo – introduce la questione della risonanza per simpatia: questa si verifica nel caso in cui le corde vibranti facciano tremare l’aria circostante sollecitando altre corde o corpi sonori disposti ‘per natura’ a vibrare «sotto il medesimo tempo», ossia siano poste all’unisono. Lo stesso fenomeno può essere visualizzato mediante il ‘regolatissimo ordine’ delle onde d’acqua che si originano in un bicchiere posto in vibrazione con lo sfregamento di un dito624.

Il diffondersi poi amplamente l’increspamento del mezzo intorno al corpo risonante, apertamente si vede nel far sonare il bicchiere, dentro il quale sia dell’acqua, fregando il polpastrello del dito sopra l’orlo; imperò che l’acqua contenuta con regolatissimo ordine si vede andar ondeggiando: e meglio ancora si vedrà l’istesso effetto fermando il piede del bicchiere nel fondo di qualche vaso assai largo, nel quale sia dell’acqua sin presso all’orlo del bicchiere; chè parimente, facendolo risonare con la confricazione del dito, si vedranno gl’increspamenti nell’acqua regolatissimi, e con gran velocità spargersi in gran distanza intorno al

622 Walker discute con accurate analisi ritmiche la parte finale della Prima Giornata

dei Discorsi: D.P.WALKER, Studies in Musical Science in the late Renaissance, cit., pp. 27- 33.

623 Questa espressione ricorre anche in Vincenzo Galilei. V. G

ALILEI, Discorso

intorno a diversi pareri che hebbono le tre sette più famose degl’antichi musici, intorno alla cosa de suoni, et degl’acchordi, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Ms. Gal. 3, Anteriori,

fol. 38r: «Dal qual necessità è mostrata derivò che i sonatori di Tasti et i sonatori di liuto per haverne in essi strumenti le terze et le seste consonanti fecero le quinte scarse et le quarte tese più o meno secondo che comporta la natura, et la diversa distributione et ordine delle corde loro. nel qualsia temperamento si può conoscere la liberalità della cortese Natura; che non creando nel massimo Sistema tre quinte sesquialtere et una minor terza consonante per carestia di panno per cosi dire; ne meno quattro quarte sesquiterze insieme con una Terza maggiore consonante, mercie della superfluità del vano; fece dico la cortese Natura che le Quinte si tollerassero scarse […]».

bicchiere; ed io più volte mi sono incontrato, nel far al modo detto sonare un bicchiere assai grande e quasi pieno d’acqua, a veder prima le onde nell’acqua con

estrema egualità formate, ed accadendo tal volta che ‘l tuono di bicchiere salti

un’ottava più alto, nell’istesso momento ho visto ciascheduna delle dette onde dividersi in due; accidente che molto chiaramente conclude, la forma dell’ottava esser la dupla.

Il tema dei bicchieri sonori, evocato anche nel mito del Saggiatore, e la descrizione fornita nei Discorsi recuperano la trattazione condotta dal padre Vincenzo nel Dialogo625, insistendo però maggiormente sulla regolarità e l’ordine del movimento ondulatorio.

A differenza di una parte della tradizione musicale sperimentale, rappresentata qui da Sagredo, Galilei abbandona la visione geometrica della suddivisione delle corde, definendo la consonanza in termini di frequenza. Egli pone al centro della sua analisi la dimensione temporale e l’ordine delle pulsazioni, basando così l’analisi fisica del suono su due fondamenti costanti della sua ricerca, ossia l’ordine e la proporzionalità. La dissonanza, infatti, è data dalla sproporzione con cui le pulsazioni colpiscono il nostro timpano e dalla loro incommensurabilità; nel caso della consonanza, invece, l’ordine è rinvenibile nella sollecitazione regolare del timpano: «Consonanti, e con diletto ricevute, saranno quelle coppie di suoni che verranno a percuotere con qualche ordine sopra ’l timpano; il qual ordine ricerca, prima, che le percosse fatte dentro all’istesso siano commensurabili di numero, acciò che la cartilagine del timpano non abbia a star in perpetuo tormento»626. Nella teoria

625 V. G

ALILEI, Dialogo sopra la musica antica et moderna, cit., p. 133: «imperoche

il corpo concavo nel quale fusse maggiore quantità d’acqua, farebbe il suono più grave di quello dove ne fusse meno, non altramente di quello che tutto il giorno occorre a tutti: i quali mettendo un poco d’acqua in un bicchiere di vetro, di debita et accomodata proporzione, et ancora senz’acqua; et bagnandosi la sommità del dito di mezzo della destra, la vanno dolcemente in giro movendo sopra l’orlo della bocca, mentre che con la sinistra mano tengano di esso bicchiere il piede, acciò stia diritto; dal quale stropicciamento esce un suavissimo et sonoro suono, simile à quello d’una corda di Viola secata da l’arco: et quanto maggiormente va augmentando la quantità dell’acqua, et la forza nel dito che sopra la superficie dell’orlo della bocca del bicchiere va in giro caminando; tanto più si fa il suono grave et maggiore. col mezzo de quali strumenti, ò simile, si potrebbe appresso le fondane accomodare senz’alcuna spesa et poca diffucultà, da udirsi un perpetuo concento».

626 Discorsi, I, p. 147. La risonanza non è più un fenomeno simpatetico ma diviene

coincidenza di vibrazioni, ossia un fenomeno fisico quantitativo. Una descrizione anatomica dell’apparato uditivo confacente alla concezione meccanica della diffusione del suono compare per la prima volta nel De l’organe du sens de l’ouie di Duverney, (JOSEPH- GUICHARD DUVERNEY, Traité de l’organe de l’ouie, contenant la structure, les usages et les

maladies de toutes les parties de l’oreille, Paris, Estienne Michallet, 1683). È invece assente

in due importanti trattati seicenteschi conosciuti da Galilei, i quali continuano a richiamarsi al

De anima aristotelico: il De auditu di Fabrizi da Acquapendente e il De voce atque auditu di

Giulio Casseri: FABRIZI DA ACQUAPENDENTE, De visione, voce, auditu, Venezia, per Franciscum Bolzettam, 1600; GIULIO CASSERI, De vocis auditusque organis historia

galileiana non vi è alcun elemento soggettivo, come sarà invece con Descartes: la piacevolezza di determinanti intervalli musicali ha ancora come causa la perfezione e l’ordine, pur essendo stati trasposti dalla dimensione spaziale a quella temporale, dal senso della vista a quello dell’udito. L’ordine o la sregolatezza delle vibrazioni sono analizzate mediante la suddivisione della continuità del suono in momenti, ossia in «minime particole eguali».

Assumendo che due corde siano poste in vibrazione nel medesimo istante e dividendo il loro periodo in sei momenti, giungeranno alla fine del loro periodo nel medesimo momento (o istante), dopo un determinato tempo (uguale per tutte) ma con numeri di vibrazioni differenti (a seconda delle lunghezze delle corde). Così Galilei presenta la coesistenza di una definizione di intervalli consonanti per quantità discrete e una per quantità continue, sviluppando quanto già rilevato dal padre Vincenzo627:

[…] et quantunque il dito in tastando la corda sopra il manico della viola quando ancora non siano i tasti, procede per quelli intervalli minimi da imaginarsi, et adagio. quanto singoli, non percio si fanno cotali minime differenze di suoni continui ma discreti, et ciò avviene al nostro senso la imperfettione; atteso che quelle picciolissime differenze che realmente cagiona il dito nell’andare adagissimo caminando sopra il manico della viola fregando e scortando la corda che venga dal continuo moto de l’arco segato; non conosce la differenza che è di suono in suono, se non per una quantita di spatio et di suono che contien molte di queste minime differenze. ne voglio io che qualsia purgato udito conosca nello spatio d’un suono più di otto, ò sia venti nove differenze al piu, ciascheduna delle quali contiene molte di quelle minime particelle quasi come Atomi; et però dissero bene gl’antichi nel domandare il minore semituono (et non la Diesis) il minimo intervallo cantabile, et il comma il minimo sensibile.

Galileo prima esplicita il rapporto tra corde del pendolo e consonanze musicali di un ipotetico monocordo, poi illustra l’ordine e il disordine con la percezione visiva628:

variis iconibus aere excusis illustrata, 2 voll., Ferrara, Victorius Baldinus, 1600-1601. Cfr.

GUIDO MAMBELLA, L’orecchio come organo risonatore nei trattati De anima e in medicina, in La musica nel pensiero medievale, a cura di L. Mauro, Ravenna, Longo, 2001, pp. 123- 136.

627 V. G

ALILEI, Discorso particolare intorno alla diversità delle forme del diapason,

Ms. Gal. 3, Anteriori, pp. 54r-v: «Concudesi adunque esser gl’intervalli musici compresi dalla quantita discreta et non dalla continua in modo veruno; per quanto pero cene dava il senso dell’udito, del quale non habbiamo giudice di lui piu veritiero; dal fine che de suoni musici dal grave all’acuto, et dall’acuto al grave, non cela puo dare altro messo che il tirare et l’allantare della corda senza tastarla; o dal vaso di vetro con l’accrescergli et con lo scemargli l’acqua girando attorno col dito sopra la superficie dell’orlo di esso vaso o bicchiere che dire lo vogliamo. nelle quali maniere ancora ne fa l’udito per la sua imperfettione il giudizio medesimo che del tastare la corda nel manico della viola si è detto».

la qual mistione di vibrazioni è quella che, fatta dalle corde, rende all’udito l’ottava con la quinta in mezzo. E se con simile disposizione si andranno temperando le lunghezze di altri fili, sì che le vibrazioni loro rispondano a quelle di altri intervalli musici, ma consonanti, si vedranno altri ed altri intreciamenti […] che in determinati tempi e dopo determinati numeri di vibrazioni tutti i fili (siano tre o siano quattro) si accordano a giugner nell’istesso momento al termine di loro vibrazioni. […] quando le vibrazioni di due o più fili siano o incommensurabili, sì che mai non ritornino a terminar concordemente determinati numeri di vibrazioni, o se pur, non essendo incommensurabili, vi ritornano dopo lungo tempo e dopo gran numero di vibrazioni, allora la vista si confonde nell’ordine disordinato di sregolata

intrecciatura, e l’udito con noia riceve gli appulsi intemperati de i temori dell’aria,

che senza ordine o regola vanno a ferire su ’l timpano.

Oltre al necessario rispetto dell’ordine vi è anche, implicito, l’elemento della semplicità, indispensabile per la comprensione e la piacevolezza dell’evento sonoro629: l’intreccio sregolato delle corde (sonore e del pendolo) non permette la comprensione del movimento degli elementi (le corde), che non vengono così percepiti in modo distinto ma fusi in un groviglio confuso.

Mersenne, nella sua parafrasi francese dei Discorsi, commenta questa parte negli articoli che vanno dal XXI al XXIV. La nostra analisi di questi Articles non si sofferma sul confronto con il testo di Galileo630 ma intende rileggerli riferendosi ai precedenti studi sulla musica del Minimo, al Livre manoscritto e all’influenza esercitata su entrambi da Vincenzo Galilei che aveva lasciato manoscritto un Discorso particolare intorno all’unisono nel quale affrontava la questione della vibrazione per simpatia.

L’Article XXI verte sul fenomeno acustico della vibrazione per simpatia, argomento al quale il Livre dedica numerosi fogli. Mersenne ne discute a partire dal secondo teorema del quinto capitolo, esaminando prima l’unisono, poi l’ottava e la quinta: cap. V, Th. 2, fol. 27v, L’air qui est poussé par la chorde raisonnante vers les chordes avec lesquelles elle est en unisson, ou avec lesquelles elle fait l’octave, la quinziesme, ou la quinte, est cause de ce que ces chordes tremblent; cap. VI, Th. 2, fol. 39v, La quinte fait trembler les chordes, mais plus faiblement que l’octave. Girolamo Fracastoro631, fonte alla quale rinvia Mersenne nel teorema sull’unisono, non aveva discusso della vibrazione per simpatia dell’ottava e della quinta, come avviene invece in Galilei e Mersenne. Non sarebbe però esatto ritenere che Mersenne

629 Il legame tra comprensione e semplicità è presente anche nel Compendium Musicae cartesiano: cfr. supra cap. II, pp. 110 e ss.

630 Per un confronto testuale della traduzione mersenniana e dell’originale di Galileo

si veda l’analitico studio condotto in PIERRE COSTABEL e MICHEL-PIERRE LERNER, Notes et

index, in Les Nouvelles Pensées de Galilée, cit., vol. II, pp. 202-213. Cfr. anche F. DE BUZON,

L’horizon des problèmes musicaux aux débuts de l’âge classique. Mersenne lecteur de Galilée, «Kairos», XXI, 2003, pp. 42-52.

segua qui Galileo visto che aveva esposto il caso dell’ottava e della quinta già nel Livre e afferma di essere pervenuto a tale conclusione attraverso l’esperienza sulle corde di viole e liuti632. Non è da escludersi che il Minimo sia giunto a tale esito anche grazie alle osservazioni di Beeckman che nel Journal discute di esperimenti condotti sul liuto per verificare la vibrazione per simpatia di unisono, ottava e quinta633.

L’Article XXII è il frutto degli studi compiuti da Vincenzo Galilei sul rapporto tra tensione a cui è sottoposta la corda, altezza del suono, peso applicato. Mersenne condivide la definizione galileiana delle consonanze, che peraltro aveva già esposto nel Livre e nell’Harmonie Universelle, e che differenzia la sua impostazione da quella di Kepler: «Il faut donc demeurer d’accord que la vraye raison des consonances, et des autres intervalles de Musique, se doivent prendre du nombre des batemens d’air, qui vont battre le tambour de l’oreille, pour se porter jusques à l’esprit»634.

L’Article XXIII riguarda la piacevolezza delle consonanze, tema discusso nel Livre, nell’epistolario con Descartes, nella prima lettera a Galilei e, soprattutto, nell’Harmonie Universelle, come ammette anche Mersenne: «Mais j’ai traité si amplement de la raison de toutes ces consonances, qu’il est malaisé d’y adjouster»635.

L’Article XXIV è incentrato sulla rappresentazione visiva delle consonanze e si conclude con la critica all’assenza di esperimenti in Galileo, così come era avvenuto in precedenza per il pendolo: «Si Galilée eust esperimenté les unions de ces retours des chordes, comme i’ay fait, il eût aperçeu que la chose n’est pas guere agreable: car le coup de la moindre qui s’unit avec le coup de la plus grande, est si prompt et l’autre si tardif, que l’on a de la peine d’en remarquer l’union»636. Il Minimo, che confronta meticolosamente le proprie osservazioni – che conseguono

632 La trattazione mersenniana della risonanza non dipende neppure da Bacon:

l’Experiments in consort touching the sympathy or antipathy of sounds one with another (§§278-282) della II Century della Sylva Sylvarum, letta da Mersenne (cfr. supra cap. I, p. 14), non parla della vibrazione per simpatia della quinta, e con difficoltà la estende all’intervallo di ottava. Non condividiamo l’affermazione in base alla quale la posizione assunta da Mersenne riguardo alla vibrazione per simpatia dell’unisono «est en parfaite cohérence avec une esthétique de l’unisson qui est développée dans l’Harmonie Universelle et qui se fonde, à partire d’une donne physique, sur des considérations essentiellement théologiques et métaphysiques» (F. DE BUZON, op. loc. cit., p. 51) poiché lo studio dell’unisono non deriva dalle speculazioni metafisiche ma queste gli vengono applicate solo