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Estetica musicale e ricerca scientifica »

La nostra analisi non intende soffermarsi sulle affinità tra giudizio estetico e pensiero scientifico – già discusse nello studio di Erwin Panofsky532 – se non per fare riferimento alla forma d’arte che per eccellenza ha svolto un ruolo decisivo nella formazione galileiana: la musica. Il caso della musica permette di evitare di incorrere nel rischio di impoverire la riflessione di Galilei riducendola a parametri estetici, come sarà mostrato nella parte dedicata all’ordine cosmologico. Innanzitutto, essa non viene concepita da Galilei né solamente e né principalmente come arte, bensì in quanto scienza (in tal senso si spiega la sua assenza nello studio di Panofsky); inoltre, i principii estetici che sono assunti nella musica non scaturiscono dal ‘gusto’ né da una generale opposizione al manierismo, bensì dalle riflessioni filosofiche formulate all’interno della Camerata fiorentina de’ Bardi e trasmessegli dall’ambiente familiare e culturale.

530 Lettera 1194, CM XII, p. 222: «9° Soni chordarum aurearum non sunt graviores

ob auri majus pondus, sed ob majorem mollitiem. […] 11° Dialogus tertius factus videtur, ut demonstretur omnes vibrationes ejusdem appensae, duratione aequales esse, quod tamen minime probat».

531 Lettera 700, CM VIII, p. 104.

532 ERWIN PANOFSKY, Galileo as a Critic of the arts. Aesthetic Attitude and Scientific Thought, «Isis», XLVII, 1956, pp. 3-15. Lo studio, che si concentra sulla pittura e la

letteratura – trascurando la musica –, mostra come il contemporaneo Lodovico Cigoli riproduca la luna del Sidereus Nuncius nel suo affresco Assunta in Santa Maria Maggiore a Roma e come il giudizio estetico di Galileo respinga il manierismo a favore dei principii classici di semplicità e ordine. Sul giudizio galileiano riguardo a Tasso e Ariosto espresso nelle Considerazioni al Tasso e nelle Postille all’Ariosto si veda anche GIULIA DELL’AQUILA,

Galileo tra Ariosto e Tasso, in La prosa di Galileo. La lingua, la retorica, la storia, a cura di

Esemplifica questo intreccio di componenti la lettera inviata da Galileo nel 1612 a Lodovico Cardi da Cigoli, ove non vi è tanto l’opposizione della semplicità al manierismo quanto la fine della concezione che vedeva nella copia della natura il principale compito dell’arte. Inoltre, più che al manierismo Galilei si oppone, seguendo la via tracciata dal padre, allo stile vocale cinquecentesco basato sul contrappunto, al quale è preferibile la musica strumentale.

Non ammireremmo noi un musico, il quale cantando e rappresentandoci le querele e le passioni d’un amante ci muovesse a compassionarlo, molto più che se piangendo ciò facesse? e questo, per essere il canto un mezzo non solo diverso, ma contrario ad esprimere i dolori, e le lagrime et il pianto similissimo. E molto più l’ammireremmo, se tacendo, col solo strumento, con crudezze et accenti patetici musicali, ciò facesse, per esser le inanimate corde meno atte a risvegliare gli affetti occulti dell’anima nostra, che la voce raccontandole533.

In questa testimonianza vengono affrontati tre ordini di questioni riconducibili al rapporto tra naturale e artificiale.

La prima questione riguarda l’uso e il perfezionamento degli strumenti scientifici e musicali. Nella meccanica galileiana viene meno il concetto di astuzia, l’idea di produrre con la techne cose contro natura a beneficio degli uomini, e di padroneggiare la natura stessa ingannandola. Le macchine non sono più contro natura e la loro astuzia consiste nell’utilità e nella comodità di strumenti che si conformano alla funzione da svolgere534. La medesima impostazione si ritrova nell’ideale di musica strumentale di Vincenzo Galilei. L’intonazione non ricerca la tanto pretesa ‘naturalità’ evocata da predecessori e contemporanei: l’astuzia dell’artificio che si richiede di applicare nel temperamento galileiano – e anche nella costruzione di strumenti a tastiera atti a suonare sulla base di tali regole compositive –, è finalizzata all’utilità e alla comodità dell’esecuzione. Gli strumentisti, infatti, ricorrono al temperamento che è tanto artificiale quanto utile e semplice perché evita continui cambi d’intonazione, di registro e innumerevoli tasti535. Vincenzo Galilei ritiene, al contrario della scuola zarliniana, che l’arte – intesa come techne – perfezioni e corregga la natura: il rigore e la razionalità prescritti per l’intonazione galileiana – che recupera il sistema di Aristosseno contro il sintono di Tolomeo – evita di ‘depravare’

533 Lettera 713, OG XI, p. 342. 534 G

ALILEI, La Meccanica, OG II, pp. 155 e ss. Cfr. GIANNI MICHELI, L’origine del

concetto di macchina, Firenze, Olschki, 1995, pp. 147 e ss.; REMO BODEI, Galileo e la

meccanica, in Principio di Secol Novo. Saggi su Galileo, a cura di L.A. Radicati di Brozolo,

Pisa, Cassa di Risparmio di Pisa, 1999, pp. 205-227.

535 Al riguardo, si veda la ricca testimonianza iconografica fornita da Mersenne negli Harmonicorum Libri, nell’Harmonie Universelle e nei Cogitata Physico-Mathematica (libro

l’ordine e le leggi musicali passando da un sistema ad un altro536. L’imperfezione dell’intonazione di Tolomeo e di Zarlino scompare con la suddivisione razionale dell’ottava in diciotto intervalli perfettamente identici.

La seconda questione che soggiace implicitamente a questa lettera verte sul tema dell’imitazione, inserendosi nel dibattito – molto acceso tra i membri della Camerata fiorentina – tra platonismo e aristotelismo: «La natura poi, per non havere né mani né bocca non gli è conceduto ch’ella suoni, ne ch’ella canti, et il sonare et il cantar nostro è tutt’arte»537. Il confronto condotto da Galilei in questa lettera tra scultura e pittura e il primato attribuito alla seconda ripercorre alcuni punti discussi dal padre nel Discorso intorno all’opere di messer Gioseffo Zarlino da Chioggia: l’artificiosità di ogni espressione artistica («artificiosissima imitazione sarà quella che rappresenta il rilevo nel suo contrario, che è il piano»), sia essa pittura, scultura, musica vocale o strumentale; la superiorità dell’arte che non pretende di copiare, ossia di imitare con il massimo grado di fedeltà la realtà naturale («gli scultori copiano sempre, et i pittori no; et quelli imitano le cose com’elle sono, e questi com’elle appariscono: ma perchè le cose sono in un modo solo, et appariscono in infiniti, e’ vien perciò sommamente accresciuta la difficultà per giugnere all’eccelenza della sua arte»)538.

Questi due primi aspetti fungono da presupposto per la terza questione: a condizionare il giudizio espresso qui da Galileo non è un pretesto ‘gusto’ – variabile soggettiva che farà la sua comparsa solo con Descartes e sarà ammessa con riserva da Mersenne – bensì le discussioni sorte all’interno della Camerata de’ Bardi. Vincenzo Galilei e Girolamo Mei propongono il ritorno alla monodia accompagnata: secondo i membri dell’Accademia, alla polifonia vocale sarebbe preferibile la sola esecuzione strumentale – che impiega il temperamento proposto da Vincenzo Galilei –, caratterizzata proprio dall’uso di dissonanze di seconde, settime, quarte aumentate e quinte diminuite per motivi espressivi, proprio come riporta Galileo con la frase «col solo strumento, con crudezze et accenti patetici musicali».