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I contrasti tra il legislatore e Corte costituzionale nel tentativo di recupero delle garanzie: la l.267/1997 e la successiva

L’inserzione nella carta costituzionale delle garanzie del giusto processo e le sue ricadute nel sistema processuale

4.1. I contrasti tra il legislatore e Corte costituzionale nel tentativo di recupero delle garanzie: la l.267/1997 e la successiva

sentenza 361/1998

Il 1992 segnò la fine della prima repubblica, caratterizzata nel suo ultimo anno di vita dall’entusiasmo popolare verso le inchieste giudiziarie rispondenti al nome di

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mani pulite e dal conseguente disprezzo per la politica che ingenerò nei parlamentari una certa soggezione.

La stagione successiva portò ad un radicale cambiamento di rotta: all’entusiasmo verso le operazioni della magistratura, si andò sostituendo l’idea che la stessa indirizzasse le sue azioni a fini politici, cosa che determinò un ulteriore inasprimento dei rapporti tra il “potere legislativo” ed il “potere giudiziario”. Il clima descritto si ripercosse, in parte positivamente, nel tentativo di recupero delle garanzie: nel 1997, infatti, si registrarono due iniziative legislative volte a ristabilire il primato del contraddittorio nel processo penale.

La prima iniziativa portò all’approvazione di una legge ordinaria, l.267 del 1997, sulla base di un progetto presentato dal senatore Cirami ed altri, che riformulò l’art.513, stravolto dalla sentenza 254/1992 della Corte costituzionale139

e, in generale, ripensò il regime delle letture di dichiarazioni rese in un procedimento connesso, facendo più affidamento sul metodo dialettico140.

Si stabilì che le dichiarazioni rese nel corso dell’indagine preliminare da imputato o coimputato in processi separati, quando si fossero avvalsi del diritto al silenzio in dibattimento, non potessero essere utilizzate nei confronti di altri senza il consenso o l’accordo tra le parti e contemporaneamente, per evitare che il silenzio influisse negativamente sul contributo probatorio, vennero liberalizzati “i portali di accesso all’incidente probatorio”141

(ex art.392) sempre con riguardo

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V. supra § 3.3.

140 G. DI CHIARA, Dichiarazioni erga alios e letture acquisitive: i meccanismi di recupero del

sapere preacquisito dall’imputato in procedimento connesso, in R.E. KOSTORIS (a cura di), Il giusto processo tra contraddittorio e diritto al silenzio, Torino, 2002, p.34

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Così ancora G. DI CHIARA in Dichiarazioni erga alios e letture acquisitive, in R.E. KOSTORIS (a cura di), Il giusto processo tra contraddittorio e diritto al silenzio, cit., p.34

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all’assunzione delle dichiarazioni erga alios provenienti dall’indagato e dai coimputati in un procedimento connesso.

Il rinnovato testo dell’art.513, 2°comma distingueva i casi di impossibilità di ottenere la presenza del dichiarante da quelle in cui si fosse avvalso della facoltà di non rispondere: nel primo caso, quando sussistessero dichiarazioni già rese, durante le indagini, dal coimputato per un procedimento connesso, il giudice sarebbe stato obbligato a disporre l’accompagnamento coattivo, l’esame a domicilio, la rogatoria internazionale o l’esame previsto in altro modo dalla legge, nel rispetto delle garanzie del contraddittorio e, nel caso persistesse l’impossibilità di ottenere la presenza fisica del dichiarante, si sarebbe potuto procedere seguendo i dettami dell’art.512, a condizione che l’impossibilità di ripetizione dell’atto fosse dipesa da fatti o circostanze imprevedibili al momento delle dichiarazioni, mentre nel caso in cui il dichiarante si fosse avvalso della facoltà di non rispondere si sarebbe potuto procedere alla lettura acquisitiva delle precedenti dichiarazioni solo laddove fosse intervenuto l’accordo tra le parti.

La l.267 del 1997 si poneva in antitesi con le sentenze costituzionali del 1992: si richiamavano gli stessi valori costituzionali, ma si addiveniva a soluzioni totalmente differenti.

In particolare, il frequente richiamo, operato dal legislatore di fine anni novanta, all’art.512 era volto ad evitare interpretazioni giurisprudenziali volte ad equiparare l’indisponibilità fisica del dichiarante e l’assoluta impossibilità di ripetizione dell’atto.

Tornando sul rinnovato 2°comma dell’art.513, autorevole dottrina ha sostenuto che l’ultimo inciso concernente la leggibilità “soltanto con l’accordo delle parti”

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delle “dichiarazioni precedentemente rese dal coimputato in un procedimento connesso che si fosse avvalso, in dibattimento, del diritto al silenzio risponderebbe ad una logica fondata sulla tutela preponderante del diritto di difesa del loquens, ma sconterebbe l’aporia di attribuire a questi, depositario di conoscenze utili ai fini della ricostruzione dei fatti per cui pende il processo, una sorta di incontrollabile diritto potestativo a dare o togliere valore a proprie precedenti dichiarazioni aventi ad oggetto fatti concernenti posizioni soggettive altre”142

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Nei dibattiti sulla l.267/1997 si delineò una novità degna di nota: la figura riferita alle intimidazioni, fino ad allora applicabile ai soli testimoni (salvo l’incidente probatorio), si estese anche al caso del diritto al silenzio per le pressioni esercitate sugli imputati connessi affinché se ne avvalessero.

Tuttavia determinare se la scelta di avvalersi dello ius tacendi sia libera o meno, tutt’oggi resta difficile, quasi impossibile, essendo insindacabile.

La soluzione auspicata porterebbe ad un accertamento scrupoloso di specifiche condotte, la cui gravità induca a pensare che la scelta di non collaborare non sia stata presa autonomamente e non ad un’ardua verifica concreta in termini di non genuinità delle opzioni processuali del dichiarante143.

La seconda iniziativa volta ad un recupero del contraddittorio, invece, si sviluppò a livello costituzionale: la l.Cost.1 del 1997, costituente una commissione bicamerale incaricata delle riforme, fu letta dalla magistratura come frutto dell’insofferenza della politica nei loro confronti.

142 Così G.DI CHIARA in Dichiarazioni erga alios e letture acquisitive, in .R.E.KOSTORIS (a

cura di), Il giusto processo tra contraddittorio e diritto al silenzio, cit., p.36

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I principi e le regole del giusto processo, delineati dalla bicamerale del ’97, furono poi ripresi dalla riforma costituzionale dell’art.111 Cost. con alcune varianti: infatti nel primo testo si dava rilevanza ai principi di oralità, immediatezza e concentrazione, mentre al centro del secondo veniva posto il contraddittorio nella formazione della prova.

Infine, nel 1998, alla Corte costituzionale venne devoluto il testo dell’art.513, così come modificato dalla l.267/1997.

Le questioni di legittimità si fondavano sulla sentenza 254 del 1992, sottolineando l’irragionevole dispersione della prova derivata dall’inutilizzabilità della dichiarazione resa erga alios nell’indagine preliminare da parte del coimputato che si fosse avvalso dello ius tacendi in dibattimento.

La Corte costituzionale non smentì sé stessa dichiarando in parte illegittimo il nuovo testo dell’art.513: nel caso di silenzio del coimputato, il meccanismo di recupero probatorio, previsto per l’esame dei testimoni, vale a dire la contestazione e l’acquisizione al fascicolo dibattimentale delle dichiarazioni rese in precedenza, sarebbe dovuto scattare lo stesso.

In merito è stato sostenuto che la decisione della Corte fosse tra le meno criticabili: infatti sarebbe stato difficile “ripudiare principi fissati nelle precedenti sentenze” e poi perché il rifiuto di rispondere del coimputato era da considerarsi già di per sé “una sconfitta del contraddittorio”; “usare come prova le

dichiarazioni raccolte nell’indagine preliminare vanifica il fondamentale diritto dell’imputato di essere posto a confronto con chi lo accusa, ma non è un edificante esempio di contraddittorio la sfilata nel giudizio di attori muti che oppongono il silenzio a chi li interroga sui fatti dei quali hanno parlato gli

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inquirenti; tanto più se quel silenzio, slegato ormai da ogni rischio di incriminazione, è frutto di ricatti o lusinghe”144.

4.2. La riforma dell’art.111 Cost.: oralità e contraddittorio come