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3.3 1992 “annus horribilis” per la procedura penale

3.3.1. Il decreto legge 306/

La necessità di colpire duramente le organizzazioni mafiose unita alle tre sentenze della Corte costituzionale portarono all’intervento del governo il quale recepì il principio di non dispersione della prova, dandone diretta attuazione nel codice. Il principio sancito dalla Corte costituzionale, già richiamato più volte, non venne menzionato direttamente dal ministro della difesa che, nella presentazione del decreto, parlò di disposizioni “volte ad impedire l’ingiustificata usura delle fonti di prova e a consentire l’immediata acquisizione agli atti del processo di documentazione di sicura affidabilità ai fini del decidere”132.

Le modifiche apportate al codice di procedura penale, per quanto il guardasigilli negasse qualsiasi sconvolgimento del codice del 1988, riavvicinarono il processo italiano al sistema inquisitorio: infatti, venne estesa la testimonianza indiretta e ampliato il ventaglio delle possibili acquisizioni dei verbali delle dichiarazioni rese in altri procedimenti133, cosa che colpì duramente l’assunzione delle prove nel contraddittorio delle parti, cardine del processo accusatorio134.

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Lo spunto da cui il legislatore trasse tale esigenza era da ricercarsi nelle testimonianze dei pentiti di mafia: emblematico il caso di Tommaso Buscetta, costretto a rendere dichiarazioni in numerosi processi sulla struttura di cosa nostra, cosa che poteva portare ad una perdita di dettagli

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Cfr. il testo dell’art.238 “verbali di prove di altri procedimenti" così come modificato dal d.l.306/1992, il quale reintrodusse, oltretutto, la possibilità di acquisire, ai fini della prova, le sentenze divenute irrevocabili (V. art.238-bis), determinando la valorizzazione, seppur indiretta, degli atti probatori su cui essa si fonda, anche se raccolti senza le garanzie previste per la circolazione di prove tra diversi processi, cosa che determinava una sostanziale eversione dell’art.238: le richiamate erosioni alla formazione della prova nel contraddittorio delle parti erano più o meno consistenti, ma i valori di oralità ed immediatezza risultavano costantemente mortificati (G.GARUTI, Proposte per la ricostruzione sistematica del processo accusatorio: la

fonte costituzionale, in Archivio penale, 2017, p.5)

134 Per quanto attiene le dichiarazioni rese nel corso di altri procedimenti, l’art.190-bis previene,

tuttora, l’esame del teste, ammettendolo solo nel caso in cui il giudice lo ritenesse “assolutamente necessario”. La deroga a contraddittorio e oralità viene giustificata dal fatto che la norma si riferisca ai soli reati di una certa gravità (mafia e criminalità organizzata), (P.FERRUA, Studi sul

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La norma che più di tutte subì i colpi della Corte costituzionale e del d.l.306/1992 fu l’art.500 di cui venne stravolta la ratio: l’accertamento delle minacce passò da costituire un motivo per anticipare l’attuazione del metodo dialettico a ragione per derogarvi tramite l’acquisizione delle dichiarazioni rese nel corso dell’indagine preliminare.

In particolare, il 4°comma esordiva con uno “strano lapsus”135: “quando, a seguito della contestazione, sussiste difformità..”; la frase non aveva molto senso poiché il presupposto della contestazione era proprio la testimonianza orale difforme e costruire la difformità come presupposto acquisitivo sarebbe stato illogico, oltre che dannoso per i tempi dibattimentali; infatti l’acquisizione al fascicolo processuale di una dichiarazione contestata, ma non più difforme sarebbe stata innocua, ma anche inutile; “le dichiarazioni utilizzate per la contestazione sono acquisite in dibattimento e sono valutate come prova dei fatti in esse affermati se sussistono altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità”, l’ultimo inciso era una sorta di correttivo legale per attenuare gli effetti della sentenza costituzionale, ma non aggiungeva nulla di nuovo a quanto non risultasse dai principi.

Il 5°comma si collega al precedente, affermando che le dichiarazioni difformi, nel caso risultasse che il testimone fosse stato sottoposto ad intimidazioni o gli fosse stato promesso denaro, sarebbero state valutate anche senza i riscontri richiesti dal 4°comma anche perché, altrimenti la fattispecie in questione sarebbe stata la fotocopia della precedente.

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La non genuinità dell’esame dibattimentale era concepita come requisito sostitutivo rispetto alle conferme derivanti dagli altri elementi di prova e, quindi, la si doveva considerare come l’elemento in grado di motivare la ritenuta credibilità delle dichiarazioni precedenti.

Le dichiarazioni contestate al teste, raccolte fuori dal contraddittorio, potevano, dunque, essere utilizzate come prova, ma questo non liberava il giudice dal dovere di spiegare perché le avesse ritenute maggiormente attendibili di quelle rese in dibattimento; le soluzioni in merito erano due: indicare altri elementi di prova che ne confermassero l’attendibilità (ipotesi da scartare perché altrimenti, come già accennato, la fattispecie delineata dal 5°comma, sarebbe rientrata a pieno titolo in nel 4°comma) oppure indicare le circostanze rivelatrici della ritrattazione136

Il d.l.306 del 1992 disciplinava un nuovo meccanismo, recepito, soprattutto, nel più volte citato art.500 dove veniva introdotto un rimedio successivo nel quale l’accertamento delle minacce veniva a costituire una ragione per derogare al metodo dialettico con l’acquisizione delle dichiarazioni rese nell’indagine preliminare:

A livello di “sistema”, si passava dalla logica della “giurisdizione anticipata” a quella dei “recuperi inquisitori”137

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Il 1992, in conclusione, può essere ricordato, per il processo penale, come l’anno dei primi attacchi all’oralità ed al contraddittorio, architravi del modello prescelto nel 1988, sferrati frontalmente su iniziativa della magistratura che, nell’occasione

136 “…l’intervento di minacce o quant’altro assunse il ruolo d’un peculiare riscontro intrinseco

delle precedenti affermazioni” così M.L.BUSETTO, Il contraddittorio inquinato, cit., p.19

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si avvalse di armi lecite, sollevando questioni di costituzionalità che trovarono accoglimento presso la Corte costituzionale138.

138 D.NEGRI-R.ORLANDI, Peripezie del contraddittorio: dalla caduta fragorosa al muto declino,

in D.NEGRI-R.ORLANDI (a cura di), Le erosioni silenziose del contraddittorio, Torino, 2017, p.VII

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CAPITOLO IV

L’inserzione nella carta costituzionale delle garanzie del