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Dichiarazioni irripetibili e metodo dialettico: una convivenza impossibile?

L’inserzione nella carta costituzionale delle garanzie del giusto processo e le sue ricadute nel sistema processuale

4.3. Dichiarazioni irripetibili e metodo dialettico: una convivenza impossibile?

Come accennato nel capitolo precedente, l’art.111 5°comma della Costituzione, elenca una serie di deroghe al principio del contraddittorio, previsto dal comma precedente.

Tra di esse, l’accertata impossibilità di natura oggettiva che rientra, a livello di normativa ordinaria, nelle disposizioni concernenti le letture (artt.511 ss. c.p.p.). Lo schema delineato dal codice del 1988 prevede una norma generale, l’art.511, che regola le letture consentite, ed una serie di norme successive concernenti i casi specifici.

La disciplina delle letture costituisce, da sempre, il discrimine tra un sistema imperniato sul principio di oralità (oltre a contraddittorio ed immediatezza) ed uno che, invece, lo ritiene trascurabile.

La legge delega 81 del 1987, come detto, poneva al centro del progetto di riforma del sistema processuale in senso accusatorio l’“adozione del metodo orale” da tradursi nella compressione della fase delle indagini e nella contemporanea “centralizzazione” del dibattimento.

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Ad ulteriore specificazione della volontà del legislatore, è stato detto che “l’oralità era l’asse portante, l’architrave sulla quale era edificata la riforma”156

. In questa accezione possiamo osservare come, pur distinguendo la fase procedimentale dalla fase processuale in senso stretto tramite la formazione del doppio fascicolo, il codice del 1988, nel prevedere un’analitica disciplina delle letture, sembri quasi orientato ad un più prudente sistema misto.

Tuttavia la disciplina generale, come detto, predilige la formazione della prova diretta come risultato dell’attività dialettica delle parti, sotto lo sguardo attento del giudice terzo ed imparziale, da svolgersi nella fase dibattimentale.

In tal senso, l’attività posta in essere dal pubblico ministero durante le indagini preliminari è volta esclusivamente all’esercizio dell’azione penale e solo nei casi di irripetibilità e non rinviabilità degli atti compiuti in tale fase i relativi verbali sono inseriti nel fascicolo del dibattimento, divenendo disponibili nel giudizio tramite il sistema delle letture ex artt.511 ss..

Proprio alla non rinviabilità ed alla irripetibilità si riferisce il 5°comma dell’art.111 quando parla di “…accertata impossibilità di natura oggettiva…” in funzione derogatrice del metodo dialettico nella formazione della prova.

L’art.511 disciplina le c.d. “letture consentite” prevedendo che possa essere data lettura degli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento e, quindi, di quegli atti già astrattamente utilizzabili ai fini della decisione.

La norma in questione deve essere coordinata con l’art.431, il quale dispone che il fascicolo del dibattimento debba contenere, oltre agli “atti relativi alla procedibilità dell’azione penale”, anche i verbali relativi ad atti non ripetibili

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Così G.SPANGHER, Oralità, contraddittorio, aspettative di verità, in D.NEGRI e R.ORLANDI (a cura di), Le erosioni silenziose del contraddittorio, cit., p. 32

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compiuti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero e dal difensore ed i verbali degli atti assunti nell’incidente probatorio o assunti all’estero a seguito di rogatoria internazionale.

Le ipotesi sopra elencate evidenziano casi in cui si ha un’effettiva impossibilità di assumere il mezzo di prova direttamente nella fase dibattimentale; l’irripetibilità è intrinseca in tali atti poiché fanno riferimento ad attività che non possono essere ripetute una seconda volta senza perdere il loro valore probatorio157.

Il 2°comma dell’art.511 restringe il campo delle letture dei verbali di dichiarazioni prevedendo che possano essere effettuate solo “dopo l’esame della persona che le ha rese”.

La norma rispetta appieno i principi di oralità e contraddittorio nella formazione della prova in fase dibattimentale, manifestando avversione per la metodologia utilizzata nel codice Rocco, nel quale, spesso, la testimonianza si traduceva in una ripetizione (o addirittura in una semplice conferma)158 delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini, annichilendo la fase dialettica del processo ed anche la possibilità di percepire, tramite l’esame diretto, le eventuali dichiarazioni menzognere159.

Lo stesso 2°comma prevede anche un’ipotesi derogatoria permettendo la lettura dei verbali delle dichiarazioni raccolte durante le indagini, quando “l’esame non abbia avuto luogo”.

157 Parafrasando P.FERRUA, La formazione della prova nel nuovo dibattimento: limiti all’oralità

e al contraddittorio, in Politica del diritto, 1989, p.272

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Cfr. § 2.3.

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Il mancato esame diretto può derivare dalla mancata comparizione del soggetto da esaminare, ma anche da un accordo tra le parti e dall’ipotesi di sopravvenuta impossibilità di ripetizione (disciplinata autonomamente dall’art.512).

Il 3° comma dell’art.511 è una specificazione del 1°: infatti si fa riferimento al perito il quale deve essere necessariamente esaminato prima che si possa dar lettura della sua relazione peritale; quindi l’oralità si esprime pienamente, anche se si tende a ritenere che il mancato esame del perito comporti una nullità di ordine generale a regime intermedio che evita l’inutilizzabilità della perizia in quanto passibile di sanatoria.

Il 4° comma consente la lettura dei verbali delle dichiarazioni orali di querela o di istanza solo ai fini dell’accertamento dell’esistenza della condizione di procedibilità, vietando, implicitamente, la possibilità che le dichiarazioni stesse siano utilizzate come prova del relativo contenuto: in tal caso, infatti, si avrebbe una fin troppo palese violazione dell’oralità.

Il 5° comma, invece, dispone che “in luogo della lettura , il giudice, anche di ufficio, può indicare specificamente gli atti utilizzabili ai fini della decisione” e si aggiunge che “l’indicazione degli atti equivale alla loro lettura.

La disposizione in questione è, quindi, inquadrabile nelle ipotesi di deroga al principio dell’oralità poiché si fa rientrare un atto scritto, di cui non è stata data lettura, nell’alveo degli elementi utilizzati per la decisione.

A controbilanciare, seppur parzialmente, tale deroga, interviene la seconda parte della norma secondo la quale “il giudice dispone … la lettura… quando si tratti di verbali di dichiarazioni ed una parte ne fa richiesta”: il limite si lega al principio dell’oralità, restituendo un valore preminente agli atti a contenuto dichiarativo.

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L’ultimo periodo dell’art.511, 5°comma, infine, vincola il giudice alla lettura, nel caso di atti diversi dai verbali delle dichiarazioni, nel caso di “serio disaccordo tra le parti”.

L’art.512 disciplina la lettura di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione e, per ciò stesso, si lega indissolubilmente all’accertata impossibilità di natura oggettiva prevista, in funzione derogatoria, dal già citato art.111, 5°comma. Per prima cosa dobbiamo stabilire fino a che punto la definizione codicistica rientri nel dettato costituzionale: al riguardo è stata sottolineata una netta inversione di tendenza sulle dichiarazioni rese dai prossimi congiunti dell’imputato sentiti a sommarie informazioni nel corso delle indagine che si avvalgano, in dibattimento, della facoltà di astenersi dal deporre facendo leva sull’art.199160

.

Prima della riforma costituzionale del 1999, la Consulta si era espressa in senso favorevole all’utilizzazione dell’art.512 per la lettura delle dichiarazioni del congiunto che si fosse avvalso, in seguito, della facoltà di non deporre in giudizio sostenendo che l’esercizio del legittimo diritto a non sottoporsi all’esame da parte dell’imputato non impedisse la lettura delle dichiarazioni già rese in passato (quando aveva rinunciato al diritto di non collaborazione) e che tale regola andasse applicata anche al congiunto.

A poco meno di un anno dall’entrata in vigore del “nuovo” art.111 Cost., la Corte costituzionale cambia orientamento affermando che il volontario e libero esercizio della facoltà di astensione dal deporre non possa essere ricondotto all’insieme

160 Così l’art.199 (facoltà di astensione dei prossimi congiunti), 1°comma: “I prossimi congiunti

dell’imputato non sono obbligati a deporre. Devono tuttavia deporre quando hanno presentato denuncia, querela o istanza ovvero essi o un loro prossimo congiunto sono offesi dal reato”

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delle cause impedienti di natura oggettiva, poiché la nozione costituzionale del fatto impeditivo ne comporta la natura di circostanza “indipendente dalla volontà del dichiarante”161

.

L’influsso dell’art.111 Cost. sul meccanismo delle letture degli atti, per sopravvenuta irripetibilità, ha inoltre introdotto nuove problematiche derivanti dalla, spesso, difficile interpretazione del dettato costituzionale nella “fase dialettica” e nei limiti delle sue eccezioni.

Le difficoltà derivano dal riferimento alla componente psicologica gravante sul teste, che potrebbe impedire la piena realizzazione dell’oralità e del contraddittorio: infatti, la seconda parte dell’art. 111, 4° comma Cost. vieta, come già più volte detto, l’utilizzo, come prova della colpevolezza, delle dichiarazioni del testimone che si sia “volontariamente sottratto” al confronto con la difesa, mentre il 5° comma, autorizza la deroga ai principi suddetti nella formazione della prova in ragione di un’impossibilità di natura oggettiva.

In entrambi i casi, la disposizione sembra riferirsi alla necessità di valutare la derivazione dell’ostacolo alla piena realizzazione della dialettica formativa delle conoscenze processuali, che potrebbe derivare da un elemento soggettivo o da un ostacolo esterno al dichiarante.

A livello codicistico, la problematica di natura costituzionale si riflette sugli artt. 512 e 526 comma 1-bis, per i quali la giurisprudenza non riesce ad assumere posizione omogena. Certamente le problematiche evidenziate non riguardano circostanze estreme, come ad esempio il suicidio, fatto rientrare nelle ipotesi di

161 Così in C.CESARI, Dichiarazioni irripetibili e metodo dialettico: i problemi di una coesistenza

difficile, in G. DI CHIARA (a cura), eccezioni al contraddittorio e giusto processo un itinerario attraverso la giurisprudenza, Torino, 2009, p.232; si fa riferimento alla sentenza n.440/2000 della

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irripetibilità poiché non riconducibile all’esame, bensì situazioni meno nette, come l’irreperibilità del testimone. A proposito di quest’ultima, si sono formate due diverse linee di pensiero: la prima ritiene che l’irreperibilità rientri nelle deroghe previste dal 5° comma dell’art. 111 Cost. e che quindi costituisca legittimo presupposto di operatività dell’art. 512 c.p.p., a patto che non emerga la volontà del testimone di sottrarsi all’esame, la seconda fa leva sul nesso tra gli artt. 512 e 526, comma 1-bis per affermare che l’irreperibilità del testimone costituisce un dato neutro, che può assurgere al ruolo di presupposto della lettura per irripetibilità sopravvenuta, ma nel caso in cui si fosse accertata la volontà del testimone di sottrarsi all’esame, si dovrebbe far riferimento all’art. 526, comma 1- bis.

I due pensieri sopra esposti, portano a risultati ben diversi: infatti l’uno, provata la volontà del dichiarante di sottrarsi all’esame, impedisce l’acquisizione delle sue precedenti dichiarazioni; l’altro preclude solo l’uso, come prova, della colpevolezza162.

Il dettato del “nuovo” art.111 Cost. ha indotto la giurisprudenza ad un’interpretazione più rigorosa dell’art.512 c.p.p.. La lettura degli atti assunti da polizia giudiziaria, dal pubblico ministero, dai difensori delle parti private e dal giudice nel corso dell’udienza preliminare è consentita quando l’esame diretto del dichiarante in dibattimento diventi impossibile per fatti o circostanze imprevedibili per la parte che ha chiesto l’esame (infatti nel caso in cui la situazione fosse stata prevedibile già al momento dell’indagine, la parte avrebbe potuto usufruire dell’incidente probatorio) oppure quando risulti oggettivamente

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impossibile la ripetizione di tali atti e tale impossibilità non sia imputabile alla parte richiedente o alla libera scelta del teste di sottrarsi all’esame (e cioè quando non sia condizionata da forme di violenza o da promesse di denaro o altre utilità). Come possiamo evincere da quanto detto sinora, pur con qualche difficoltà, l’istituto della lettura degli atti di indagine per sopravvenuta irripetibilità non risulta essere in contrasto con la disciplina costituzionale del giusto processo, mentre ha trovato ostacoli nelle norme sovranazionali, in particolare con l’art.6, par.3 lett. d) CEDU: infatti l’Italia è stata condannata più volte dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per aver impiegato come elementi decisivi per una dichiarazione di responsabilità penale delle dichiarazioni assunte in sede di indagine da testimoni che, in fase processuale, non era stato possibile esaminare. La Corte europea è concorde nel ritenere ammesse deroghe alla dialettica processuale nei casi di irripetibilità sopravvenuta, come irreperibilità o morte del teste, ma tali eccezioni a contraddittorio ed oralità possono essere accettate solo a condizione che si rispettino i diritti della difesa.

L’impostazione europea fa riferimento all’incidenza che l’atto acquisito senza il metodo orale ha avuto sulla decisione, mentre il diritto italiano fa una valutazione

ex ante, riferendosi ai presupposti delle deroghe al contraddittorio.

La Costituzione, però, si riferisce proprio al contraddittorio come unica possibilità di arrivare a risultati credibili e, ammettendone delle deroghe, autorizza il legislatore a disciplinarle attribuendo alle prove così assunte un minor valore rispetto alle prove formate con il metodo dialettico.

In tutto questo, l’art.512, come già detto sembra in linea col dettato costituzionale dell’art.111; tuttavia la Corte costituzionale ha fatto leva sull’art.117, 1°comma

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Cost., secondo il quale le norme interne devono adeguarsi ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, per affermare la necessità di considerare anche i parametri dettati dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo nel valutare la compatibilità delle norme processuali con la Costituzione. In tale prospettiva, l’art.512 potrebbe incorrere in una declaratoria di illegittimità costituzionale per la mancanza di una previsione che riduca la possibilità che le dichiarazioni testimoniali non sottoposte al controesame della difesa, formino la prova decisiva per la responsabilità penale.

Appare difficile la soluzione che vorrebbe superare i limiti dell’art.512 tramite l’interpretazione critica del testo poiché, in assenza di una norma specifica, la giurisprudenza è eterogenea nelle sue valutazioni e, anche se fosse concorde, non si può essere certi che la valutazione sulla veridicità degli atti formati senza il metodo dialettico rispetti i criteri della Corte di Strasburgo.

In tale prospettiva è stato sostenuto che sia necessaria “l’introduzione di una

regola specifica, che valga a ridimensionare fortemente il rilievo probatorio degli atti recuperati ex art.512 c.p.p. per sopravvenuta impossibilità” ed è stato

suggerito, altresì, di estendere “a questa fattispecie, quando la lettura si riferisca

a dichiarazioni rese da soggetti con i quali la difesa non abbia avuto alcuna occasione di confronto nel corso del procedimento, della regola di cui all’art.526, comma 1-bis c.p.p. che, nella sua drasticità, è quella che offre maggiore copertura rispetto agli orientamenti della giurisprudenza europea”163.

In conclusione si può affermare che la disciplina della lettura delle dichiarazioni irripetibili, pur non esente da problematiche, possa convivere in un sistema

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fondato sul metodo dialettico poiché fa riferimento ad ipotesi in cui sarebbe ben difficile poter effettuare l’esame diretto dei testimoni.

4.4. L’impossibilità sopravvenuta ed il ricorrente problema della