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Il giusto processo tra convenzione e giurisprudenza Europea

L’inserzione nella carta costituzionale delle garanzie del giusto processo e le sue ricadute nel sistema processuale

4.7. Il giusto processo tra convenzione e giurisprudenza Europea

Il giudice penale italiano, al giorno d’oggi, deve essere in grado di districarsi nei meandri non solo delle norme contenute nel codice di procedura penale e nella costituzione, ma anche con il diritto dell’Unione europea: l’interpretazione data ad una norma deve necessariamente essere conforme ai principi contenuti nel Trattato di Lisbona del 2009 (al cui interno sono contenuti il Trattato sull’Unione europea, il Trattato sul funzionamento della stessa e, soprattutto, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione)191

.

Nel caso in cui la norma interna contrastasse con quella europea, il giudice è tenuto ad uniformare la sua decisione alla prima, a meno che ciò non comporti un ulteriore contrasto, stavolta con la Costituzione, nel qual caso dovrà sollevare una questione di legittimità costituzionale.

Su tale questione si è espressa la Consulta con le sentenze n° 348 e 349 del 2007 la quale, fondandosi sull’art.11 Cost. (che consente “le limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni”), nega che le norme della CEDU abbiano un’efficacia diretta nel nostro ordinamento; di contro la Corte, richiamando l’art.117, 1°comma Cost., attribuisce alle stesse il rango di norme interposte subcostituzionali, collocandole,

191 Parafrasando E.APRILE in Giurisprudenza europea e “alchimie” della cassazione sull’uso

degli atti della fase preliminare, in D.NEGRI-R.ORLANDI (a cura di), Le erosioni silenziose del contraddittorio, cit., p.167

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di fatto, al di sopra della legge ordinaria, ma ancora in posizione subordinata rispetto alla Costituzione.

Per quanto riguarda l’oralità ed il contraddittorio, a livello europeo, come più volte sottolineato, la norma volta alla tutela (soprattutto del secondo), è l’art.6, par.3, lett. d) della Convenzione europea secondo il quale “ogni accusato ha diritto a interrogare o fare interrogare i testimoni a carico ed ottenere la citazione dei testimoni a discarico a pari condizioni dei testimoni a carico”: la norma presenta contorni piuttosto vaghi che, caso per caso, vengono “specificati” dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Parte della dottrina192 ha ritenuto che il nostro codice di procedura penale, in merito al contraddittorio sulla formazione della prova, non sia in linea con l’interpretazione che la Corte di Strasburgo da all’art.6 CEDU.

La stessa Corte, infatti, ha da sempre sostenuto che il diritto contenuto nell’art.6, 3, lett. d) non sia da ritenersi assoluto: è sempre il giudice ad avere il potere decisorio sull’opportunità e sulla necessità di citare uno o più teste, ma, allo stesso tempo, il processo in cui l’accusato non sia stato messo nelle condizioni di confrontarsi con l’accusatore non è da ritenersi equo.

La Corte europea, però, sostiene anche che sia sufficiente che l’imputato abbia avuto la possibilità di confrontarsi con il teste dell’accusa anche in una fase precedente al dibattimento, sancendo la possibilità che il giudice possa fondare la sentenza di condanna sulla base delle dichiarazioni rese nella fase precedente al

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dibattimento (a patto che abbia avuto la possibilità di esaminare il teste e di contestarne la dichiarazione)193.

Emerge, dunque, una maggior flessibilità della Corte di Strasburgo rispetto al principio del contraddittorio: infatti il nostro ordinamento preclude l’utilizzo in dibattimento di dichiarazioni rese unilateralmente nel corso delle indagini, a meno che non siano utilizzate in funzione contestativa ex art.500, 2°comma o, comunque, si rinvenga una condotta illecita che non permetterebbe di assicurare la genuinità dell’esame dibattimentale (art.111, 5°comma Cost. in concomitanza con l’art. 500 4° e 5°comma c.p.p.).

Il parametro dell’ “accertata impossibilità di natura oggettiva” che consente di derogare al contraddittorio e che si pone in stretta relazione con l’art.512 c.p.p.194

si pone maggiormente in contrasto con la giurisprudenza europea secondo la quale l’imputato non possa essere condannato sulla base di una sentenza che si fondi unicamente o prevalentemente su dichiarazioni rese da un soggetto, senza che l’accusato abbia potuto esaminarlo195

.

Per quanto riguarda l’assenza di un testimone chiave in dibattimento, la Corte ha, però, stabilito che l’assenza di quel testimone deve essere giustificata da validi motivi ed, inoltre, è stato ritenuto che nel caso in cui siano riscontrabili garanzie che salvaguardino l’equità del processo o ci siano elementi sufficienti per la

193

In merito si fa riferimento a numerose sentenze; tra le quali: Corte eur., 20 Gennaio 2005,

Accardi c. Italia; Corte eur., 4 Novembre 2008, Demski c. Polonia e altre (per completezza V.

E.APRILE, Giurisprudenza europea, cit., p.175)

194 V. supra § 4.3. 195

Sulla questione la Corte europea si è più volte espressa in ricorsi presentati contro l’Italia (ad es. Corte eur., 18 Maggio 2010, Ogaristi c. Italia e Corte eur., 13 Ottobre 2005, Bracci c. Italia nel quale l’imputato era stato condannato esclusivamente sulla base di dichiarazioni rese da alcune prostitute nigeriane in fase di indagine che, però, si erano risultarono essere, poi, irreperibili in dibattimento, impedendo l’attuazione dell’esame orale e del contraddittorio(V. ancora E.APRILE,

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condanna, il pregiudizio arrecato all’imputato che non aveva potuto esaminare i testimoni passi in secondo piano196.

In definitiva, l’ordinamento interno presenta disposizioni che permettono l’uso di dichiarazioni irripetibili (art.111, 5°comma cost., art.512 c.p.p.), a meno che l’irripetibilità non derivi da una libera scelta ex art.526, comma 1-bis (“la colpevolezza della colpevolezza non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’esame da parte dell’imputato o del suo difensore”), mentre la Convenzione europea si mantiene vaga sul punto.

La stessa Corte europea, come detto, assume una posizione flessibile: non ritiene che il diritto al controesame sia inderogabile e consente il recupero delle dichiarazioni, a patto che l’eventuale condanna non si fondi esclusivamente o in modo determinante su tali fonti di prova197.

La Cassazione si è, in ogni caso, uniformata ai criteri provenienti da Strasburgo prima affermando “la necessità di esaminare le dichiarazioni congiuntamente ad altri elementi di riscontro”198

e successivamente, in seguito alla sentenza della Corte europea Al-khawaja e Tahery c. Regno Unito, ha aggiunto la necessità di ricalibrare i parametri, vista la rinnovata tendenza a considerare ammessa la condanna basata unicamente su testimonianze che non siano mai state sottoposte al controesame (né in fase di indagine, né nel dibattimento) a patto che “il pregiudizio arrecato alla difesa sia stato controbilanciato da elementi sufficienti,

196 Sul tema Corte eur., 15 Dicembre 2011, Al-Khawaja e Tahery c. Regno Unito 197 Sul punto V. più approfonditamente P.FERRUA, Il “giusto processo”, cit., p.201 ss. 198

Cass., Sez. Un., 25 Novembre 2010, n. 250199 (V. E.APRILE in Giurisprudenza europea, cit., p.184)

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ovvero da solide garanzie procedurali in grado di assicurare l’equità della procedura nel suo insieme”199

.

199

La Cassazione ha aggiornato i parametri di valutazione in Cass., 13 Novembre 2013, Frangiamore, n.257771 V. E.APRILE in Giurisprudenza europea, cit., p.185

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Conclusione

Nel percorso affrontato si è cercato di comprendere il reale valore dell’oralità e, soprattutto ci si è chiesti quanto sia effettivamente attuata nel nostro ordinamento. La risposta a tali quesiti non risulta essere semplice anche alla luce delle continue evoluzioni del legislatore ed alla sempre più incisiva giurisprudenza europea. Lo scopo iniziale del legislatore, come detto, era quello di creare una netta discontinuità con la tradizione italiana precedente, avvicinandosi, nei limiti del possibile, al modello anglosassone, ponendo il principio di oralità alla base del codice del 1988 e cercando di dargli attuazione tramite l’istituto della cross

examination.

Quest’ultimo, però, non è riuscito a svilupparsi come avrebbe voluto il legislatore: infatti i lasciti dei precedenti codici hanno fatto sì che il giudice intervenisse attivamente nel corso dell’esame delle parti, a loro volta poco inclini ad affinare le tecniche di escussione delle fonti200, cosa che ha portato a sostenere che “la migliore cross examination è quella che non si fa”201.

Tale affermazione, per quanto resa ironicamente allo scopo di evidenziare le difficoltà incontrate nell’effettiva pratica dell’esame incrociato, non è da ritenersi corretta.

Per motivare tale convinzione è necessaria una breve disamina dell’evoluzione del principio di oralità, di cui l’esame incrociato può dirsi strumento attuativo: in

200 E.M.CATALANO, Il metodo del controesame sul letto di procuste. Le insidie e le sfide della

prova scientifica, in D.NEGRI-R.ORLANDI (a cura di), Le erosioni silenziose del contraddittorio,

cit., p.154

201

Citazione riportata in senso moderatamente critico da E.M.CATALANO, Il metodo del

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passato si riteneva che l’oralità fosse compiuta semplicemente quando il giudice non avesse fondato la sua decisione su atti scritti in senso stretto e, quindi, la lettura in udienza non era considerata una deroga all’oralità.

La definizione non è da ritenersi corretta poiché “oralità significa dialogo diretto tra l’organo giudicante e le persone di cui esso deve raccogliere e valutare le dichiarazioni”202

: in tal senso viene accentuato uno degli aspetti più importanti dell’oralità e cioè la necessaria concentrazione dibattimentale cosa che, del resto, era nei programmi della legge delega 81 del 1987.

Autorevole dottrina ha affermato che il principio di oralità debba essere inteso come la “sintesi di altri principi” e, più in generale, che il processo orale debba intendersi come “un tipo di processo che punta sull’elaborazione della prova nel contraddittorio fra le parti e che fa dell’immediatezza e della concentrazione le componenti essenziali per il controllo e la valutazione delle acquisizioni probatorie”203

.

La nozione si è scontrata con la realtà dei fatti che vede la presenza di processi la cui effettiva esecuzione si palesa, all’atto pratico, in tempi assai più diluiti rispetto a quanto si prefigurava il legislatore: i processi, infatti, il più delle volte si sviluppano in un arco temporale molto ampio causando vuoti fisiologici nella memoria dei testimoni.

In tal senso, la disciplina delle contestazioni e delle letture appare necessaria per “non disperdere la prova”204

, tuttavia tale principio, canonizzato dalla Consulta,

202

Definizione di P.CALAMANDREI riportata da G.LOZZI in I principi dell’oralità e del

contraddittorio in Oralità e contraddittorio nei processi di criminalità organizzata, Milano, 1999,

p.32

203 Così D.SIRACUSANO in G.LOZZI, I principi dell’oralità, in Oralità e contraddittorio, cit.,

p.32

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non può sostituirsi in toto ai principi di oralità e contraddittorio poiché si avrebbe un ritorno al sistema inquisitorio, inidoneo ad applicare le garanzie del giusto processo, elaborate grazie alla riforma costituzionale del 1999.

Quest’ultima ha radicalmente modificato l’art.111 Cost., inserendovi una serie di disposizioni volte alla tutela del principio del contraddittorio, tacendo, però, sul principio di oralità.

La scelta del legislatore sembra porre l’oralità su un livello più basso rispetto alle intenzioni della legge delega del 1987: emergono opinioni contrastanti tra chi ritiene tale principio insito nel contraddittorio e chi, al contrario, basandosi sulla lettera della nuova disposizione costituzionale, esclude la sua effettiva presenza205. Gli ultimi avvenimenti sembrerebbero quasi corroborare la seconda opinione: la giurisprudenza europea, infatti, dopo essersi schierata numerose volte in favore dell’istituto dell’esame incrociato, auspicando decisioni che non si fondassero su dichiarazioni rese contro l’accusato nella fase delle indagini, si è in tempi recenti timidamente aperta alla formazione della prova al di fuori di esso.

Difatti talune ultime pronunce della corte hanno, da ultimo, canonizzato il principio secondo cui, qualora si manifesti l’assenza di un testimone dalla fase dibattimentale, le sue dichiarazioni rese in precedenza potranno, invero, essere utilizzate nel momento in cui tale assenza sia “giustificata da un motivo serio”, non mancando comunque la stessa corte di rammentare come tale deroga ai principi cardine di cui all’art.6 par.3 lett. d) CEDU debba essere, ad ogni modo,

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“controbilanciata da elementi sufficienti oppure da solide garanzie procedurali in grado di assicurare l’equità della procedura nel suo insieme”206

.

Infine, un ulteriore profilo degno di nota riguarda il rilievo pratico che sta sempre più assumendo la prova scientifica, soprattutto se messa in parallelo al progressivo affinarsi del progresso scientifico e tecnologico, il quale, non lo si può misconoscere, sta attribuendo sempre maggiore affidabilità al meccanismo di acquisizione della prova al di fuori del dibattimento. Per questi motivi, tale mezzo di prova porta alla conseguenza che la “prova orale si trovi ad essere fagocitata dalla prova scientifica”207

.

In definitiva, dunque, possiamo affermare che il principio di oralità, sottoposto nell’arco della vita del codice Vassalli a continue oscillazioni, che lo hanno alternativamente esaltato e depotenziato, si trovi in una sorta di limbo dal quale non riesce più ad emergere.

L’argomento resta controverso e pieno di insidie, ma la sensazione è che i propositi del legislatore del 1988, in merito all’oralità, anche (se non soprattutto) per fattori extra codicistici, non trovino più attuazione nel processo penale odierno.

206

V. ancora E.APRILE in Giurisprudenza europea, cit., p.178

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