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Il lungo iter per arrivare al codice Vassalli: dalla legge delega del 1974 alla legge delega del

Dal modello accusatorio del codice del 1988 al ritorno inquisitorio del

3.1. Il lungo iter per arrivare al codice Vassalli: dalla legge delega del 1974 alla legge delega del

Negli anni settanta, dopo vari tentativi per arrivare ad una riforma complessiva del codice di procedura penale101, iniziò l’iter della prima legge delega (n°108/1974) repubblicana per un nuovo testo che avrebbe dovuto “attuare i principi della Costituzione, adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall’Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale”, ma soprattutto “attuare…i caratteri del sistema accusatorio”102

, cosa che evidenziava chiaramente la volontà di rompere con il sistema fino ad allora in vigore.

Tale legge, inoltre, prevedeva che il nuovo codice venisse emanato entro due anni, tuttavia i tempi risultarono essere ben più lunghi, infatti la commissione incaricata

101 Si ricorda soprattutto la bozza redatta da Francesco Carnelutti che lanciava l’idea di un modello

accusatorio, ritenuta troppo avveniristica non ebbe immediato seguito operativo, ma influenzò i successivi tentativi di riforma organica del codice di procedura penale (V. M.CHIAVARIO,

Procedura penale un codice tra “storia” e cronaca, cit., p.36)

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di redigere il codice venne istituita solo quattro mesi dopo l’approvazione della legge e ultimò i suoi lavori solo alla fine del 1977.

Il progetto, pubblicato all’inizio del 1978, si presentò ricco di novità rispetto alla normativa del codice Rocco, in particolare con riguardo alle fasi anteriori al giudizio, ridefinendo i poteri ed i doveri della polizia giudiziaria e puntualizzando il ruolo del pubblico ministero in funzione dell’esercizio dell’azione penale e della conduzione delle indagini preliminari. I poteri del P.M furono ridimensionati rendendolo più simile all’organo giurisdizionale; inoltre fu introdotta l’udienza preliminare, fase intermedia in cui le parti venivano ascoltate in contraddittorio, per la prima volta, davanti al giudice.

Nel ridimensionamento di quella che era conosciuta come “fase istruttoria” si inserivano anche la norma secondo la quale il giudice istruttore potesse assumere le sole prove che per complessità o urgenza non fossero rinviabili al dibattimento e compiere accertamenti generici, necessari per precisare l’imputazione, senza spingersi oltre e la norma che assicurava la garanzia del contraddittorio, riconoscendo al pubblico ministero ed ai difensori il diritto di partecipare a tutti gli atti di istruzione, fatta eccezione delle sole intercettazioni.

Nell’alveo degli atti non rinviabili al dibattimento, la commissione concordava sull’esigenza di includere sia gli atti oggettivamente tali, sia quelli che diventavano urgenti in concreto per la difficoltà di procedere al dibattimento, senza la loro preventiva acquisizione: tra questi rientravano le prove complesse, la cui assunzione in pubblica udienza avrebbe determinato un consistente allungamento del processo (ad esempio le perizie) e le prove urgenti, tra le quali rientravano gli atti aventi rilevanza ed utilità processuale solo se svolti subito

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(come perquisizioni e sequestri) e gli atti non urgenti in assoluto, ma che diventavano tali in relazione a specifiche esigenze di istruzione probatoria (testimonianze su cui incombesse il pericolo di inquinamento delle prove).

Innovazioni rilevanti si trovavano anche sulle letture dibattimentali: infatti, a differenza del sistema delineato dal codice Rocco, dove la conoscenza dell’atto precedeva la lettura, il progetto coordinava la conoscenza dell’atto alla lettura affinché potesse fornire al giudice del dibattimento delle conoscenze; anche perché il fascicolo del dibattimento conteneva solo l’elenco degli atti compiuti dal giudice istruttore o dal pubblico ministero durante le indagini, mentre i relativi verbali venivano inseriti in un fascicolo separato e soltanto a fine lettura il verbale veniva allegato al fascicolo del dibattimento, entrando, quindi, a far parte delle prove da cui scaturisce la decisione.

Delle letture consentite era dato un elenco tassativo nel quale erano ricompresi gli atti urgenti assunti in fase predibattimentale dal presidente del tribunale con le forme indicate per il dibattimento, gli atti non ripetibili compiuti dal pubblico ministero o, su delega, dalla polizia giudiziaria con l’obbligo di rivolgersi al giudice istruttore, incaricato di effettuare l’esame con la presenza delle parti e, infine, gli atti di istruzione diversi dalle dichiarazioni, tra i quali si dovevano annoverare gli accertamenti generici per lo più non ripetibili e gli atti, per loro natura, non rinviabili al dibattimento.

Con riguardo alle dichiarazioni, la legge delega ne limitava la lettura ai casi di irripetibilità e, infatti, il progetto preliminare consentiva di acquisire al giudizio i relativi verbali solo in via eccezionale operando alcuni distinguo a seconda che la dichiarazione fosse stata rilasciata dall’imputato o dal testimone.

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Nel primo caso, il presidente avrebbe potuto ordinare la lettura sia su richiesta dell’imputato, sia del pubblico ministero, nel caso in cui l’imputato fosse contumace, assente o se non fosse stato esaminato in dibattimento.

La commissione considerò tale norma in contrasto con la delega secondo la quale non sarebbero irripetibili né le dichiarazioni dell’imputato contumace o assente né, a maggior ragione, quelle dell’imputato presente, senonché la stessa commissione valutò positivamente l’ammissione della lettura delle dichiarazioni rese prima del giudizio su richiesta dell’imputato stesso poiché la lettura sarebbe stata, con ogni probabilità, utile ai fini del controllo della veridicità delle dichiarazioni dibattimentali.

Nel secondo caso, invece, il giudice era sottoposto a condizioni più rigorose: poteva disporre la lettura dei verbali delle deposizioni testimoniali, rese al giudice istruttore, solo se il testimone fosse deceduto oppure non potesse essere esaminato in dibattimento per sopravvenuta infermità di mente o per assoluta impossibilità di assicurare la sua presenza.

Tale disposizione segnava un passo in avanti sulla tutela dell’oralità rispetto al codice del 1930 che definiva tali situazioni in termini molto meno rigorosi103. Si stabiliva, ad ulteriore riprova di quanto detto, che non fossero utilizzabili ai fini della decisione i verbali degli atti di cui fosse vietata o non fosse stata data lettura. Il progetto preliminare del 1978 venne, però, accantonato a causa del suo garantismo e della dichiarata tendenza accusatoria che, secondo il pensiero

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dell’epoca, non sarebbero stati idonei a risolvere l’emergenza terroristica, legata a doppio filo alle varie forme di criminalità organizzata104.

Ciò nonostante, si andò formando l’idea di mantenere le fondamenta della legge del 1974, rendendole più adatte ad affrontare la realtà degli “anni dell’emergenza”; a tale esigenza si fece fronte con un nuovo disegno di legge governativo presentato dal guardasigilli Morlino al quale seguì un nuovo testo nel 1982, decaduto per la fine anticipata della legislatura, ma subito ripreso, come punto di riferimento, nella legislatura successiva.

Questo lungo iter portò all’approvazione della l.81 del 1987 (c.d. “delega-bis” per il codice di procedura penale) che, per taluni aspetti, risultava essere molto simile alla prima legge delega, mentre per altri palesava differenze non di poco conto. Tra le novità più significative si avevano la scomparsa della figura del giudice istruttore105 e l’introduzione dell’incidente probatorio definito come “l’istituto attraverso il quale le parti possono assumere elementi conoscitivi, cristallizzandone il valore probatorio durante le indagini preliminari”106.

In conclusione, la l.delega 81/1987 portò all’approvazione dell’attuale codice di procedura penale, riuscendo, anche grazie ad un contesto più favorevole, a superare “l’iperinquisitorietà del tradizionale modello, malcelata sotto l’etichetta

di un sistema misto”107.

104 In tal senso si esprime M. CHIAVARIO in Procedura penale: un codice tra “storia” e

cronaca, cit., p.40.

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Scelta inevitabile per dar seguito all’idea eliminare le pericolose simbiosi che si venivano a creare tra investigazione e giurisdizione (Cfr. M.CHIAVARIO, Procedura penale: un codice tra

“storia” e cronaca, cit., p.42)

106 Così L. GIULIANI in Indagini preliminari e udienza preliminare in G.CONSO-V.GREVI,

Compendio di procedura penale, Milano, 2016, p.542

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