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Il controllo come forma di interazione

Controllo sociale e comportamento collettivo: la Scuola di Chicago

4.9 Il controllo come forma di interazione

È con l’origine, la natura e le conseguenze di questi processi che lo studioso della città deve fare i conti e, tra questi, non si può non prendere in considerazione il controllo sociale. Se è vero, infatti, che la sociologia può essere considerata come la «scienza del comportamento collettivo» [Park, Burgess, 1969, p. 42]129, è altrettanto vero che la società viene vista come il prodotto delle interazioni che i singoli individui mettono in atto. Norme, valori, tradizioni sono senza dubbio trasformate nel corso di questi processi ma, a loro volta, esercitano il proprio controllo su ogni singolo componente della società. Non è un caso, allora, che il controllo sociale costituisca «il fatto centrale e il problema fondamentale di ogni società» [Ivi]. «La società è sempre e comunque un’organizzazione di controllo. La sua funzione è quella di organizzare, integrare e dirigere le energie presenti negli individui che la compongono» [Park, 1952, p. 157].

Un’analisi di questo tipo non coinvolge soltanto una riflessione sulla natura della società ma anche su quella della sociologia stessa. Park, infatti, sostiene che «così come la psicologia può essere considerata come un resoconto del modo in cui l’organismo individuale, nel suo complesso, esercita il controllo sulle sue parti, o meglio del modo in cui le parti cooperano insieme per portare avanti l’esistenza corporativa dell’insieme, la sociologia è un punto di vista e un metodo per studiare i processi attraverso i quali gli individui sono indotti e inducono gli altri a cooperare in una qualche forma di esistenza corporativa che chiamiamo società» [Park, Burgess, 1969, p. 42].

Dal momento che il controllo sociale si sviluppa in diverse forme130, è necessario prendere in considerazione i processi che sono alla base dello stesso vivere sociale, e tra questi Park individua quattro forme fondamentali di interazione: competizione,

129 Al riguardo Park tiene a sottolineare che si è di fronte a «una scienza a tutti gli effetti e non a una

semplice congerie di programmi di benessere sociale e di pratiche» [Ivi].

130 «Tradizione, consuetudine, costumi, usanze, cerimoniali, miti, dottrine religiose e politiche, dogmi

conflitto, accordo e assimilazione. La competizione costituisce un fenomeno universale, «chiaramente compreso e adeguatamente descritto per la prima volta dai biologi» [Ibid., p. 504]131. Definita in chiave evoluzionistica come “lotta per

l’esistenza”, «la nozione ha catturato l’immaginazione popolare ed è divenuta un termine di uso comune» [Ivi]. Considerato, soprattutto durante il Diciottesimo secolo, come “l’anima del commercio”, il termine ha poi assunto nuovi significati anche perché è stato analizzato da diverse prospettive disciplinari.

All’interno delle quattro tipologie accennate, la competizione costituisce la forma elementare, fondamentale e universale di interazione sociale: «Il contatto sociale (…) dà origine all’interazione. Ma la competizione, in senso stretto, è un’interazione senza contatto» [Ibid., p. 506]. È per questo motivo132 che è sempre connessa ad altri processi. Sia che si tratti di una comunità vegetale nella quale i componenti sono in lotta per un posto al sole, sia che si tratti di una comunità umana, i cui membri sono in lotta per accaparrarsi le risorse necessarie alla sopravvivenza, il singolo ignora l’esistenza degli altri concorrenti: «Ciò fa capire di cosa si discute quando si parla di una interazione senza contatto. Soltanto quando le menti si incontrano, soltanto quando il significato che è in una mente viene comunicato ad un’altra mente in modo che esse si influenzino reciprocamente, si può dire che esista il contatto sociale, propriamente detto» [Ivi]. La competizione, pertanto, «assume la forma di conflitto (o di antagonismo) (…) nel momento in cui diventa un elemento cosciente, quando i concorrenti si identificano reciprocamente come rivali o nemici» [Ivi].

Nonostante si tratti in entrambi i casi di forme di interazione, «la competizione è una lotta tra individui, o gruppi di individui, che non sono necessariamente in contatto tra loro; invece il conflitto rimanda a un contesto nel quale il contatto è una condizione indispensabile» [Ibid., p. 574]. La competizione, dunque, si svolge su un livello privo di consapevolezza e Park prende in considerazione il mondo delle piante proprio perché al suo interno i singoli componenti non si incrociano: «I membri di una comunità vegetale si adattano tra loro così come tutti gli esseri viventi si adattano al proprio ambiente, ma non c’è conflitto tra essi perché non sono coscienti di questo» [Ibid., p. 506]. Il conflitto, dal canto suo, si svolge sempre su un piano

131 C’è da dire, tuttavia, che «in un primo momento la competizione era stata considerata in una

dimensione economica, piuttosto che come un fenomeno biologico» [Ivi].

consapevole, «evoca le emozioni più profonde e le passioni più forti e richiede una notevole concentrazione di attenzione e di sforzo» [Ibid., p. 574].

Sono due forme di lotta, «ma la competizione (…) ha un carattere di continuità ed è impersonale, il conflitto ha una natura intermittente ed è personale» [Ivi]. La competizione, che costituisce un fenomeno universale e permanete sia nella società umana che nell’ordine naturale, assegna agli individui la loro posizione nell’ordine economico (oltre che in quello ecologico): «La competizione è una lotta per la posizione nell’ordine economico. La distribuzione della popolazione nell’economia mondiale, l’organizzazione industriale nell’economia nazionale e l’occupazione del singolo nella divisione del lavoro: sono tutti aspetti determinati, in larga scala, dalla competizione» [Ivi]. Invece «lo status dell’individuo, o di un gruppo di individui, nell’ordine sociale (…) è determinato da rivalità, guerre o più sottili forme di conflitto» [Ivi]. Si potrebbe affermare, dunque, che «la competizione determina la posizione dell’individuo nella comunità; il conflitto ne fissa il posto nella società. Collocazione, posizione, interdipendenza ecologica sono le caratteristiche della comunità. Status, subordinazione e sopraordinazione, controllo sono i caratteri distintivi della società» [Ibid., pp. 574-575].

Nel momento in cui avviene una cessazione temporanea del conflitto, quando cioè il sistema di assegnazione degli status e del potere, insieme ai rapporti di sopra e sotto ordinazione, sono temporaneamente definiti e controllati attraverso leggi e costumi, si verifica una situazione di accordo. «Con l’accordo, l’antagonismo degli elementi ostili viene, almeno temporaneamente, regolato e il conflitto cessa di essere un’azione manifesta, anche se resta a livello latente come forza potenziale» [Ibid., p. 665]. È importante insistere su quest’ultimo aspetto dal momento che, se «l’organizzazione sociale, a eccezione dell’ordine basato su competizione e adattamento, è un accordo di diverse forme di conflitto che attraversano la società» [Ibid., p. 664], non bisogna dimenticare che questo accordo può essere infranto facilmente. Ciò lo rende, al pari dello stesso controllo sociale, un elemento estremamente fragile: «Secondo Park l’accordo e l’ordine sociale, lungi dall’essere “naturali”, sono soltanto accomodamenti compromissori e temporanei e possono in ogni momento essere turbati dai sottostanti conflitti latenti che premono per scardinare il precedente ordine repressivo» [Coser, 1983, p. 501].

Il termine stesso, sostiene Park, rimanda a un concetto che può assumere diversi significati ed è pertanto necessaria una distinzione rispetto ad altri concetti, in modo particolare rispetto a quello di adattamento: «L’adattamento si riferisce a modifiche di natura organica trasmesse biologicamente; invece l’accordo è usato in riferimento ai cambiamenti nei costumi133, i quali, sociologicamente parlando, sono trasmessi, o possono essere trasmessi, sotto forma di tradizione sociale» [Park, Burgess, 1969, p. 663].

Il termine adattamento, oltre a costituire un punto fondamentale della teoria dell’origine della specie basata sulla selezione naturale di Darwin, può avere anche una varietà di usi in ambito sociologico: «Tutti i retaggi, le tradizioni, i sentimenti, la cultura, la tecnica, sono forme di adattamento (…) trasmesse socialmente e non biologicamente» [Ibid., p. 664]. Si tratta di aspetti che, lungi dall’appartenere al patrimonio genetico dell’individuo, vengono acquisiti attraverso l’esperienza sociale. «Un’ulteriore distinzione dei due concetti potrebbe essere che l’adattamento è un effetto della competizione, invece l’accordo, o per meglio dire l’accordo sociale, è una risultante del conflitto» [Ivi]. Sia che si parli di adattamento sia che ci si riferisca all’accordo, il risultato che ne consegue consiste in una sorta di relativo equilibrio. Ma mentre quello che deriva dall’adattamento ha una natura biologica, l’equilibrio basato sull’accordo è «economico e al tempo stesso sociale, ed è trasmesso, in larga parte, dalla tradizione» [Ivi].

Se il fine ultimo dell’accordo è quello di organizzare i rapporti sociali «in modo da ridurre il conflitto, controllare la competizione e mantenere una sicurezza di base nell’ordine sociale per persone e gruppi con interessi e attività di vita differenti (…), l’assimilazione è un processo di compenetrazione e di fusione nel quale gli individui e i gruppi fanno propri i ricordi, i sentimenti e gli atteggiamenti di altri individui e di altri gruppi e, condividendo la loro storia e la loro esperienza, entrano con essi a far parte di una cultura comune» [Ibid., p. 735].

Risulta evidente che questo processo spesso viene legato al problema dell’immigrazione, al punto da essere sovrapposto a quello di americanizzazione. Un discorso di questo tipo si basa sull’idea che «l’immigrato abbia in passato contribuito, e ci si aspetta che possa farlo anche nel futuro, al processo di

civilizzazione americana attraverso il proprio temperamento, la propria cultura e la propria filosofia di vita» [Ivi]. A differenza degli altri tre processi prima descritti, che possono agire all’interno di una enorme varietà di interazioni, il processo di assimilazione sembra legarsi soprattutto alla sociologia della cultura e ai processi con cui i vari gruppi etnici, attraverso l’assunzione di patrimoni culturali comuni, si fondono lentamente in un più vasto insieme.

Sembra opportuno, a questo punto, avanzare due considerazioni. La prima è che non bisogna pensare a una omogeneità scontata e priva di ostacoli, né ad un processo in grado di spazzare via ogni forma di diversità: bisogna porre attenzione «al fatto che il processo di assimilazione (…) concerne le differenze tanto quanto le somiglianze» [Ivi]. La seconda si riferisce ai tempi dell’assimilazione che, soprattutto se confrontati con quelli dell’accordo, sono notevolmente più estesi. «L’accordo di un conflitto o l’accordo finalizzato a una nuova situazione può avvenire con rapidità» [Ibid., p. 736] mentre i cambiamenti che entrano in gioco durante un processo di assimilazione sono più graduali e moderati, «anche se poi appaiono consistenti se confrontati lungo un arco temporalmente esteso» [Ivi]. Ne consegue che se l’accordo si svolge in piena consapevolezza, «durante l’assimilazione il processo è tipicamente inconsapevole: l’individuo è inserito nella vita comune di gruppo prima ancora che egli stesso se ne renda conto» [Ivi].

L’assimilazione, quindi, può essere intesa come il prodotto finale del processo di interazione sociale e la natura dei legami svolge indubbiamente un ruolo decisivo al riguardo: «L’assimilazione (…) procede con maggiore rapidità là dove le relazioni sono primarie, vale a dire più intime e intense, come nell’ambito parentale, nella famiglia e nei gruppi caratterizzati da intimità» [Ivi]. Le relazioni secondarie, dal canto loro, «facilitano l’accordo, ma non promuovono in modo consistente l’assimilazione» [Ibid., p. 736] dal momento che implicano contatti esterni e, molto spesso, distaccati. Il conseguimento dell’assimilazione, come già accennato, non implica una eliminazione delle differenze individuali né la cessazione automatica della competizione e del conflitto. Significa soltanto che vi è una unità di esperienze e di orientamenti simbolici tanto profondi da consentire una comunità di obiettivi e di azioni.