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Il controllo sociale tra istituzioni e process

Tutte le trasformazioni fin qui prese in considerazione non sono che una minima parte dell’ambito complessivo al quale si può fare riferimento nel momento in cui si parla di controllo sociale. Ai mutamenti dovuti ai processi di urbanizzazione, industrializzazione e immigrazione, infatti, si sommano una serie di cambiamenti (magari meno visibili in prima istanza ma non per questo meno importanti) nell’ambito dei processi di socializzazione o del sistema della personalità. Altre manifestazioni dei processi di controllo sociale, e delle trasformazioni che da essi derivano, «possono essere riscontrate nelle istituzioni sociali, la cui esistenza è orientata a rendere stabili le società e al rifornimento di mezzi per dar vita a un adattamento ordinato e durevole ai processi di cambiamento» [Roucek, 1956, p. 78]36.

Prima di entrare nel dettaglio, sembra opportuno soffermarsi su alcuni punti. Innanzitutto, l’errore più pericoloso sarebbe quello di attribuire al «mondo istituzionale uno statuto ontologico indipendente, correndo così il rischio di “reificare” i fenomeni sociali» [Sciolla, 1969, p. 4]. Non c’è dubbio che le istituzioni possano apparire all’esperienza come una realtà oggettiva, con una storia che «precede la nascita della persona e che non è accessibile alla sua memoria biografica» [Berger, Luckmann, 1969, p. 91]. Le istituzioni si pongono di fronte all’individuo come fatti innegabili: «Esistono, esterne a lui, durature nella loro realtà, che gli piaccia o no» [Ivi]. La volontà personale può molto poco al riguardo e i riflessi in termini di controllo sociale sono quanto mai evidenti, anche perché le

36 Tra le istituzioni alle quali fa riferimento Roucek compaiono, oltre allo Stato e al sistema giuridico,

istituzioni esercitano sul singolo un potere coercitivo, «sia per se stesse, con la pura forza della loro attualità, sia per mezzo dei meccanismi di controllo che di solito sono uniti alle più importanti» [Ivi]. Ma non c’è altresì dubbio che «l’oggettività del mondo istituzionale, per quanto massiccia possa apparire all’individuo, è un’oggettività umanamente prodotta e costruita» [Ibid., p. 92].

Il secondo elemento da prendere in considerazione rimanda alla necessità, per il mondo istituzionale, di una legittimazione, «cioè degli strumenti attraverso cui esso possa essere “spiegato” e giustificato”» [Ibid., p. 93]. Si tratta, in altre parole, di una oggettivazione di secondo grado del significato: «La legittimazione produce nuovi significati che servono a integrare i significati già attribuiti ai diversi processi istituzionali, (rendendo) oggettivamente accessibili e soggettivamente plausibili le oggettivazioni di “primo grado” che sono state istituzionalizzate» [Ibid., p. 132]. È un processo di fondamentale importanza, anche perché «spiega l’ordine istituzionale attribuendo validità conoscitiva ai suoi significati oggettivati, e lo giustifica conferendo dignità di norma ai suoi imperativi pratici» [Ibid., p. 133]37. Ne consegue che «l’ordine istituzionale via via che si espande si crea le proprie giustificazioni, le quali vengono apprese dalla nuova generazione durante lo stesso processo che la socializza nell’ordine istituzionale» [Ibid., pp. 93-94].

L’ultimo aspetto del quale sembra opportuno parlare, e che deriva dagli altri due precedentemente evidenziati, rimanda ai meccanismi specifici di controllo sociale che sorgono in seguito alla storicizzazione e oggettivazione delle istituzioni: «La deviazione dal corso di azione istituzionalmente “programmato” diventa probabile una volta che le istituzioni hanno perduto la loro originaria importanza per i concreti processi sociali dai quali sono sorte» [Ibid., p. 94]. Se è vero che le nuove generazioni possono porre dei problemi in termini di osservanza, è altrettanto vero che le istituzioni devono «rivendicare un’autorità sopra l’individuo, indipendentemente dai significati soggettivi che egli può attribuire a ogni particolare situazione» [Ivi].

37 È necessario rendersi conto che la legittimazione ha un elemento cognitivo oltre che normativo:

«Non si occupa solo dei “valori”, ma implica anche la “conoscenza” (…) Non solo dice all’individuo perché egli dovrebbe compiere un’azione e non un’altra, gli dice anche perché le cose stanno come stanno» [Ibid., pp. 133-134].

Come si è già avuto modo di affermare, sono molteplici gli ambiti istituzionali ai quali poter fare riferimento in relazione ai processi di controllo sociale. L’obiettivo, in questa sede, non è soltanto quello di evidenziare l’estrinsecità e la coercitività delle istituzioni ma anche, e soprattutto, di mostrare in che modo possano mutare gli assetti della società statunitense tra la fine del Diciannovesimo secolo e l’inizio del Ventesimo, e quanto possa essere importante il ruolo esercitato dal controllo sociale. A tal proposito si potrebbero citare due ambiti istituzionali, quello religioso e quello familiare, capaci di mostrare gli aspetti più salienti dei processi di cambiamento. «La funzione universale della religione consiste nell’interpretazione e il controllo delle relazioni umane nell’ambito delle forze dell’ambiente psichico e sociale. Queste forze, a loro volta, vengono considerate come il frutto di un potere sovrannaturale» [Roucek, 1956, p. 101]. È evidente che l’interesse non è quello di descrivere le vaie tipologie religiose, ma soltanto evidenziare il fatto che ogni religione, costruita sulle fondamenta del controllo, «deriva dal potere intellettuale degli uomini» [Ivi]. Sarebbe sbagliato, sostiene Roucek, pensare che la religione possa derivare da istinto ed emozioni, sia perché «la sopravvivenza, espressione massima di potere umano, ha sempre avuto dimora nella ragione e non negli istinti» [Ibid., p. 102], sia perché «la dimensione emozionale religiosa deriva da processi vitali che coinvolgono il cibo, la protezione, la sfera sessuale e a cui le esperienze religiose cercano di attribuire successo interpretando e controllando le relazioni e le esperienze umane nell’ambito dei condizionamenti ambientali» [Ivi]. Ovviamente, così come accade per altri ambiti di vita, perché le funzioni religiose possano diventare efficaci ed efficienti, è necessario un processo di istituzionalizzazione: è in questo modo che «rituali, cerimoniali, preghiere, sacrifici, autorità clericali sviluppano il controllo del pensiero e del comportamento» [Ivi].

Il controllo del comportamento, tanto individuale quanto sociale, attraverso il potere intellettivo si nutre di abitudini, attitudini, bagagli informativi e tutto questo, a sua volta, «dipende dalle istituzioni presenti nell’ambiente sociale, ambiente che condiziona l’aspetto mentale degli individui al fine di raggiungere un processo di uniformità nei comportamenti» [Ivi]38. Ogni tipologia istituzionale, sia religiosa che

non, è estremamente variabile nel tempo e rappresenta un prodotto culturale, tuttavia

«i metodi stessi dell’esercizio del controllo sociale diventano parte delle diverse istituzioni» [Ivi].

Gli ambiti di vita ai quali poter fare riferimento per prendere in considerazione il potere della religione, e la conseguente capacità di controllo, sono davvero numerosi: «Il legame dell’individuo con la concezione del potere divino, il legame con le stesse istituzioni religiose, con l’ambiente fisico, con la salute e la malattia, con i membri della famiglia, con le istituzioni politiche ed economiche» [Ibid., p. 106]. È evidente che, nonostante molti sostengano che «nel corso dello sviluppo della conoscenza scientifica e delle tecniche per il controllo dei condizionamenti dell’ambiente fisico e sociale» [Ibid., p. 113], le istituzioni religiose abbiano perso molta della loro influenza, esistono numerosi ambiti di vita in cui i principi religiosi sono quanto mai evidenti: «Piccoli club hanno costruito con istituzioni religiose a essi vicine gruppi di studio per applicare principi religiosi nella vita di tutti i giorni. La stessa intesa si è spesso sviluppata tra leader religiosi e gruppi economici» [Ivi].

Nonostante gli enormi processi di trasformazione, come ad esempio il progresso scientifico o la perdita del senso di comunità [Smelser, 1995], aspetti a loro volta tipici del periodo preso in considerazione e che, come detto, gettano le basi della trasformazione della società statunitense nel passaggio da un secolo all’altro, le istituzioni religiose hanno continuato a esercitare il loro potere e a essere considerate delle ottime modalità di controllo.

Anche la famiglia rappresenta un’istituzione attraverso la quale vengono esercitati processi di controllo e «sarebbe un errore pensare che tutto questo possa avvenire solo ed esclusivamente attraverso l’uso della legge» [Roucek, 1956, p. 119]. A un controllo formale, infatti, legato alla sfera giuridica, fa seguito un controllo di tipo informale capace di estendersi a tutte le dimensioni della vita quotidiana e di strutturare, nel vero senso del termine, determinate tipologie comportamentali. A rendere ancora più complessa la situazione contribuisce il fatto che non esiste soltanto un controllo esercitato dalla famiglia sul singolo, ma anche l’inverso: ogni singolo componente esercita un controllo sulla famiglia determinandone una lenta e, spesso, invisibile trasformazione.

Sui processi di mutamento degli assetti familiari e sulle possibili cause di tutto questo si è già discusso in precedenza (a proposito del gruppo primario e della

trasformazione delle relazioni), e si tornerà a farlo anche in seguito. A questo punto interessa semplicemente evidenziare che alcuni aspetti, come ad esempio i processi di mobilità o l’entrata della donna nel mondo del lavoro, oltre a mutare la configurazione della famiglia in quanto istituzione, incidono fortemente sulle modalità di controllo che da essa derivano.

È inoltre opportuno rimarcare che gli ambiti istituzionali presi in considerazione non rappresentano l’intera evoluzione della società, ma offrono soltanto uno spunto per riflettere su questi mutamenti e sull’importanza dei processi di controllo sociale al riguardo, anche perché «il controllo sociale è l’elemento intrinseco in tutte le istituzioni» [Berger, Berger, 1995]. Quando, infatti, il concetto viene associato a quei meccanismi «con cui si costringono gli individui ad attenersi alle norme della società o di particolari settori di essa» [Ivi], il riferimento alle istituzioni, in quanto enti a cui sono legate sanzioni esplicite e specifiche, diventa inevitabile: «Noi parliamo di procedimenti o di istituzioni di controllo sociale nel caso in cui l’individuo incorra in sanzioni specifiche per delle particolari violazioni» [Ivi].

È in questo senso che appare opportuna una distinzione tra controlli esterni, tipici degli ambiti istituzionali, e controlli interni, legati invece a una visione processuale. I primi «minacciano l’individuo con punizioni che riguardano la sua vita sociale; tali punizioni possono arrivare all’estremo limite della minaccia di morte (…) passando attraverso una gamma di pene più miti come le sanzioni economiche e partendo dal sottile controllo della riprovazione sociale, della maldicenza e dell’ostracismo» [Ibid., pp. 211-212]. I controlli interni, invece, sono quelli che non minacciano una persona dall’esterno, ma dall’interno della sua coscienza: «Dipendono da una socializzazione ben riuscita; se quest’ultima è stata propriamente attuata, allora l’individuo che commette certe trasgressioni alle regole della società verrà condannato dalla sua stessa coscienza, che in questo senso costituisce l’interiorizzazione dei controlli sociali» [Ibid., p. 212].