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Il paradosso o, forse sarebbe meglio dire, la conseguenza naturale di questi processi era già fin troppo nota, anche perché fa riferimento a un vero e proprio sterminio «di coloro la cui anima (nel caso che ce l’avessero!) non poteva essere raggiunta, come fu appunto il caso degli indigeni del Nordamerica» [Melossi, 2002, p. 118]. Erano tagliati fuori tutti coloro i quali non sembravano potersi adattare alla vita economica, politica, culturale dei coloni: coloro che, in altre parole, venivano percepiti come incapaci o restii a farsi partecipi di un dialogo illuminato, repubblicano, democratico [Fitzpatrick, 1995]. Paradossalmente, dunque, «l’elemento democratico interno al “patto” americano assurse a motivo di giustificazione per la distruzione di queste popolazioni» [Melossi, 2002, p. 188].

La restrizione del processo migratorio verso gli Stati Uniti non parte, ovviamente, soltanto dal timore di una possibile disgregazione dei tratti indigeni e gentili della radice statunitense30, ma anche, e soprattutto, dall’idea che quell’immigrazione dall’Europa possa comportare processi di trasformazione a livello individuale e collettivo, dall’idea che «percorsi di radicalismo politico si possano inserire nella cultura statunitense (anzitutto all’interno della realtà industriale) riproponendo una utopia di eguaglianza che la democrazia degli individui segmentava e “rimandava” alla capacità di ciascuno di svolgere il proprio ruolo, dal quale avrebbe tratto adeguata ricompensa, mobilità sociale potenziale che doveva essere indifferente alle condizioni collettive che si venivano determinando» [Rauty, 2000, p. 19].

Il problema di fondo era proprio questo: gli immigrati provenivano da paesi non ancora industrializzati, con retroterra e stratificazioni estremamente vari e diversificati. Si trattava di popoli che, pur avendo un potenziale politico

30 Bisogna notare, tra l’altro, che un discorso di questo tipo non sta in piedi, sia per evidenti limiti a

consistente31, «erano anche profondamente divisi, per linguaggi e costumi, e il miraggio dell’inserimento sociale avveniva al prezzo della loro contrapposizione reciproca» [Ivi]. Queste divisioni penetravano anche all’interno delle organizzazioni del movimento operaio, «alcuni leader del quale (per esempio Commons o Gompers) ritenevano naturale e storica tale suddivisione e il suo articolarsi non solo nella composizione e strutturazione sociale ma anche in quella del lavoro e delle sue strategie di trasformazione» [Ivi]32.

Quest’ultimo aspetto sembra essere significativo ai fini di ulteriori processi di controllo sociale. L’eterogeneità e la contrapposizione degli immigrati non si giocava soltanto su un piano strettamente culturale. C’era un’altra differenza molto importante che distingueva gli skilled dagli unskilled, in grado di sommarsi alla divisione tra quelli che vivevano o provenivano dalle campagne e gli abitanti della realtà urbana e che avrebbe contribuito indubbiamente ad accentuare segregazione e autonomia, subordinazione e antagonismo. Come stupirsi, allora, se in una situazione di questo tipo è stata individuata la soluzione apparentemente più semplice (ma anche la più indifferente all’uguaglianza delle persone), vale a dire quella di chiudere gli ingressi e avere così un controllo più agevole di chi era già presente?

Si tratta di una situazione alquanto complessa, con risvolti di natura tanto economica quanto politica e sociale e che si riflettono nella posizione dello stesso Mills. Questi, infatti, nel dichiarare il suo spirito wobbly, costruisce un’immagine quanto mai accurata della realtà dell’epoca: «In senso letterale un wobbly era iscritto all’Internantional Workers of the World, organizzazione sindacale che raccoglieva soprattutto i lavoratori non professionalizzati (dunque anzitutto la manodopera immigrata) e che si contrapponeva all’American Federation of Labor, sindacato che aveva tra i suoi aderenti la gran parte dei lavoratori professionalizzati e che si distingueva per consapevolezza nelle “compatibilità” dei conflitti operai» [Rauty, 2001, p. 27].

Sembra doveroso, a questo punto, evidenziare due aspetti in relazione alla vicenda migratoria negli Stati Uniti. Il primo è che quell’emigrazione è stata considerata soprattutto come una sorta di invasione da popoli di soggetti che agivano

31 Una disponibilità oggettiva al cambiamento.

32 Va qui precisato che l’American Federation of Labour, organizzazione sindacale soprattutto del

individualmente, dimenticando «il richiamo simbolico che una serie di realtà interne ai paesi evoluti esercitava, alimentando speranze, sogni, desideri, spingendo al distacco, spesso da soli, dalla realtà d’origine, facendo accettare disgregazioni personali e sentimentali che si aggiungevano a quelle economiche» [Rauty, 2000, p. 19]. Ovviamente non si trattava soltanto di un richiamo simbolico: urgeva la costituzione di un esercito industriale di riserva, tale da costituire elemento di controllo e insieme di deterrenza comportamentale rispetto ai lavoratori occupati. Era necessaria una forza lavoro che, proprio in questa sua eterogeneità, «mostrasse disponibilità a ricoprire una molteplicità di compiti, si piegasse a svolgere mansioni, assolvere ruoli, eseguire lavori, accettare tempi che all’interno di una libera scelta avrebbe preferito o finito per non svolgere» [Ivi].

Un altro elemento legato alla vicenda migratoria consiste nel fatto che l’obiettivo di chi predisponeva processi di controllo era proprio quello di stabilire le quote33. Gli

uomini, in altri termini, erano considerati come puri strumenti, forza lavoro che nulla aveva di umano, controllati rigidamente nei comportamenti e collocati di fatto nella categoria dei valori materiali. L’obiettivo era quello di scandire il tempo e la forma degli ingressi e delle chiusure, «dimenticando che la democrazia è tale solo se si esprime attraverso la partecipazione, pratica e teorica (…) di tutti e non lungo un processo di selezione degli individui già prima del loro arrivo nel paese» [Ivi]. Una realtà umana, ricca di differenze culturali e di condizioni esistenziali spesso drammatiche, veniva trattata alla stregua di una merce.