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Controllo sociale e comportamento collettivo: la Scuola di Chicago

4.2 Una marginalità vissuta

È in questo vero e proprio laboratorio sociale [Small, 1893-1894] che vengono condotte numerose ricerche finalizzate a un’adeguata comprensione non soltanto delle dinamiche (e delle contraddizioni) urbane ma anche dei meccanismi alla base dei processi riguardanti il controllo sociale. Tra queste bisogna senza dubbio annoverare quella condotta da Nels Anderson, il quale sottolinea l’importanza della varietà dei lavori presenti a Chicago e i suoi vantaggi a livello logistico. Tutto questo, sostiene l’autore, rende Chicago meta ideale per gli hobos, spesso definiti come lavoratori migranti97: «Chicago è il maggior nodo ferroviario degli Stati Uniti, nessuno lo sa meglio dello hobo. Treni provenienti da tutte le direzioni entrano ed escono di continuo sulle 39 diverse linee ferroviarie della città. Entro i suoi confini, secondo il Chicago City Manual, ci sono 2840 migliaia di ferrovie per treni a vapore. La lunghezza in chilometri della linea ferroviaria a vapore all’interno di Chicago equivale a quelle della Svizzera e del Belgio, ed è più estesa rispetto a quelle di Danimarca, Olanda, Norvegia, e Portogallo. Venticinque vagoni espressi di pacchi lasciano Chicago ogni giorno per 18 mila punti di spedizione in 44 stati diversi» [Anderson, 1997, p. 26]. A tutto questo bisogna poi aggiungere l’importanza delle cure mediche: «Per i malati e i feriti di questa comunità errante, Chicago è un rifugio per via delle possibilità di cure gratuite che offre. L’ospedale di contea, i dispensari, le facoltà di medicina sono ben noti a questi uomini; molti guariscono e proseguono, altri si fermano all’ospedale per concludere poi il loro viaggio all’obitorio» [Ivi]. Si tratta, quindi, del luogo ideale per eccellenza: «In nessun’altra città americana un dollaro fa più strada che a Chicago» [Ivi].

Prima, però, di entrare nello specifico, appare opportuno spendere qualche parola sull’origine e il significato del termine che, come detto, si preferisce non tradurre dal momento che non esiste una parola italiana capace di restituirne pienamente il senso.

97 Sull’incertezza etimologica del termine hobo e l’impossibilità di trovare una traduzione adeguata si

Ciò che sembra certo è che quando si parla di hobo il riferimento è «a un lavoratore migrante, disposto a prestare la propria opera dovunque ce ne sia bisogno» [Ibid., p. 3, nota 1]. Per quanto riguarda l’origine della parola sono state avanzate diverse ipotesi, alcune poco attendibili «come quella che la collega al latino “homo bonus”, o quella che sostiene che i primi hobos furono i suonatori girovaghi di oboe, altre più verosimili, come quella che la fa derivare dal richiamo “ho, boy”, usato alla fine dell’Ottocento sulle linee ferroviarie dell’Ovest dai corrieri postali, poi alterato e trasferito ai girovaghi, o quella che la fa derivare da “hoe-boy”, ragazzo con la zappa, per indicare un lavoratore agricolo migrante» [Ivi].

Di sicuro si tratta di un mondo che Anderson conosce bene e non perché l’abbia studiato sui libri. La sua è una conoscenza pratica, estremamente concreta, tanto che lo stesso autore nell’Introduzione alla seconda edizione, riferendosi ai diversi articoli e testi letti sull’argomento prima di iniziare la ricerca, afferma: «Nessuno parlava dello hobo in un modo che rispecchiasse la conoscenza diretta che ne avevo io» [Ibid., p. 8]. Questo perché lui stesso, fin dall’infanzia, ha vissuto in quel modo: «Andavo in giro a vendere giornali proprio nelle strade, nei vicoli, nei saloons e negli altri luoghi che più tardi avrei studiato» [Ibid, p. 4], con un padre per il quale «il processo di americanizzazione costruito attraverso spostamenti continui da un lavoro a un altro era un’avventura senza fine» [Ibid., p. 3] e una madre il cui sogno, portato dietro dal vecchio continente, era quello di «mettere radici nella terra» [Ibid., p. 5]. Per Anderson essere hobo, vivere da hobo significa avere in sé quello spirito che Mills descriverà a proposito del suo essere Wobbly: «Wobbly non è soltanto un uomo che prende ordini solo da se stesso: è un individuo spesso in una situazione priva di regole da seguire tranne quelle che si è dato autonomamente. Non ama i capi che, capitalisti o comunisti, sono per lui la stessa cosa. Vuole essere, e vuole che ciascuno sia, capo di se stesso in ogni occasione, in tutte le condizioni e per ogni obiettivo necessario. Questo tipo di condizione spirituale, e solo questo, è la libertà del Wobbly»98.

Si tratta di una condizione spirituale che, unita a un’irrefrenabile voglia di spostarsi e a una buona dose di esperienza, dà vita a un profilo addirittura eroico per Anderson, una situazione che emerge nella descrizione che egli stesso fornisce di un

certo Shorty Carroll: «Egli simboleggiava molto bene ciò che la parola “hobo” avrebbe poi significato per me. Aveva guidato delle squadre nell’Ovest, aveva preso parte a tutti i grandi lavori di costruzioni ferroviarie e di scavo di canali e sapeva tutto della costruzione di dighe lungo il Mississipi. Aveva fatto il cercatore d’oro, il conducente di diligenze (…) Buon lavoratore e migliore narratore di storie (…) aveva un debole per l’alcol» [Anderson, 1997, p. 5].

Il viaggio, dunque, è un elemento ricorrente nell’esperienza dello hobo, tanto che chi si rifiuta di spostarsi viene considerato come una guardia territoriale99, e Anderson, dal canto suo, ha ben presente tutto questo: «Come lo studente che apprende a scuola la teoria concernente il suo lavoro, imparai come lo hobo doveva o non doveva comportarsi in città, come poteva spostarsi da un luogo all’altro sui treni merci, come riusciva a eludere il personale del treno e la polizia ferroviaria (…) Imparai a viaggiare da clandestino sui treni merci e persino sui treni passeggeri. Mi cimentai con diversi generi di lavoro. Benché non abbia mai avuto l’abitudine di spendere per bere, mi ritrovai più volte senza soldi. Queste circostanze mi servivano per sperimentare un altro aspetto della vita di uno hobo, chiedere la carità per strada o cibo alle porte di servizio» [Ivi].