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Il rischio che la libertà personale sia soppiantata da organizzazioni di questo tipo (e dai processi di razionalizzazione su cui poggia l’intero sistema che ne deriva) oltre a rappresentare un aspetto tipico della società americana dell’inizio del Ventesimo

secolo, costituisce un argomento di indagine ampiamente analizzato anche negli anni successivi. Basti pensare, ad esempio, a un autore del calibro di Mills, profondamente condizionato dall’impostazione mediana e capace di evidenziarne i risvolti nell’ambito della ricerca.

Il presupposto su cui poggia la sua analisi è legato al rapporto inscindibile tra ragione e libertà: «I pensatori che più hanno contribuito a modellare il nostro modo di pensare sono andati avanti secondo questo presupposto. Lo si trova in ogni piega, in ogni sfumatura dell’opera di Freud: per essere liberi gli individui devono diventare più consapevoli razionalmente (…) Lo stesso presupposto segna lo sviluppo della direttrice principale del pensiero marxista: gli uomini, irretiti dall’anarchia irrazionale della produzione, devono diventare razionalmente consapevoli della loro posizione nella società, devono acquistare la “coscienza di classe”» [Mills, 1995, p. 177]. Il problema, continua Mills, è che nel tempo le idee di libertà e di ragione sembrano essere diventate molto ambigue: «Il segno ideologico della Quarta Epoca (…) è che le idee di libertà e di ragione sono diventate opinabili e che non si può più accettare il presupposto che una maggiore razionalità contribuisca a una maggiore libertà» [Ibid., p. 178].

È necessario riformulare questi due valori, anche perché «le grandi organizzazioni razionali – le burocrazie, per usare una parola sola – si sono ingigantite, ma non così la ragione sostanziale dell’individuo in genere» [Ibid., p. 179]. Un conto, infatti, è parlare di razionalità funzionale, tipica di chi «si adatta a ordini ricevuti eseguendoli senza errori, o a procedure e obiettivi stabiliti, senza discuterli» [Bagnasco, Barbagli, Cavalli, 1997, p. 119]; un conto è parlare di razionalità sostanziale, messa in atto da colui che «cerca di comprendere come diversi aspetti di una situazione siano collegati fra loro, interrogandosi sul loro significato e valutandoli in base ai propri criteri di giudizio, anche se rispetto ad altre possibilità» [Ivi]. La razionalità sostanziale appare pertanto come un vero e proprio atto di coscienza e lo sviluppo delle organizzazioni burocratiche, aumentando la sfera delle attività funzionalmente razionali, rischia di soppiantare la razionalità sostanziale, «spingendo al conformismo e alla incapacità a pensare in modo autonomo» [Ivi].

Il rischio è che gli individui non riescano a comprendere le logiche alla base di determinate strutture, compiendo spesso «delle serie di atti apparentemente razionali

senza avere alcuna idea degli scopi cui servono» [Mills, 1995, p. 179] e la crescita di queste strutture, dal canto suo, crea nuove sfere di vita, di lavoro, di divertimento all’interno delle quali è sempre più difficile ragionare44. A un alto livello di

razionalità burocratica e di tecnologia non corrisponde sempre uno stesso livello di intelligenza individuale o sociale. «La razionalità sociale, tecnologica o burocratica, infatti, non è il semplice totale generale della volontà e della capacità individuale di ragionare. Spesso, anzi, si direbbe che essa riduca la possibilità di acquisire quella volontà e quella capacità» [Ivi]. Determinate organizzazioni, in altri termini, lungi dall’essere strumenti di libertà, sono spesso «mezzi di tirannia, di coercizione, di eliminazione di ogni probabilità di poter ragionare, di poter agire come uomo libero» [Ibid., p. 180].

I risvolti in termini di controllo sociale sono più consistenti di quanto possa apparire a primo impatto, anche perché «le forze che plasmano questi ambienti non nascono nel loro interno e non possono essere controllate da coloro che vi sono immersi» [Ivi]. Ne viene fuori una tipologia umana sempre più a disagio, dotata di razionalità ma sprovvista di ragione e «l’aspetto saliente del problema odierno della libertà e della ragione sta proprio in questo suo non essere compreso, in questa sua mancanza di formulazione» [Ivi].

La razionalizzazione della vita sociale porta con sé un ethos burocratico i cui risvolti si ripercuotono anche in ambito scientifico, rischiando di dar vita a una sorta di empirismo astratto che, dal canto suo, rappresenta una vera e propria scienza sociale burocratica. Questo sviluppo burocratico a livello scientifico è quanto mai evidente, anche perchè:

• vi è un tentativo di «standardizzare e razionalizzare le singole fasi dell’inchiesta sociale» [Ibid., p. 112];

• si lega a particolari tipologie di istituti, agenzie, uffici in cui le operazioni sono altamente razionalizzate45;

• avviene una formazione razionalizzata del personale;

• l’obiettivo è quello di diffondere, attraverso la ricerca, «lo spirito della burocrazia in altre sfere della vita culturale, morale e intellettuale» [Ivi];

44 «Anche uomini di altissima intelligenza tecnica possono trovarsi a compiere con la massima

efficienza il loro lavoro, senza sapere che questo lavoro si tradurrà nella prima bomba atomica» [Ivi].

• soddisfa le esigenze di una ristretta clientela che, oltre ad avere interessi particolari, può pagare determinate informazioni ottenute, a loro volta, grazie a tecniche formali particolarmente costose e utilizzate per indagare su problemi specifici dell’azione amministrativa.

Da un punto di vista dell’individuo, invece, avviene un processo di adattamento. Egli, infatti, «mette le sue aspirazioni e il suo lavoro in concordanza con la situazione nella quale è immerso e dalla quale non trova via d’uscita» [Ibid., p. 180] e, alla fine, non cerca neanche più di uscirne: si adatta. Le conseguenze che ne derivano non soltanto distruggono la capacità e la volontà di ragionare, ma «ma riducono le probabilità e la capacità di agire come uomo libero» [Ibid., p. 181]. Avviene, in altri termini, una sorta di auto-razionalizzazione, anche perché il singolo, «prigioniero di settori limitati di grandi organizzazioni razionali, arriva a regolare sistematicamente i suoi impulsi e le sue organizzazioni, la sua maniera di vivere e di pensare, in conformità piuttosto stretta con le “regole dell’organizzazione”» [Ivi]. Tutto ciò dà vita a un vero e proprio processo di impoverimento: «Con il crescere della razionalità e lo spostarsi del suo centro, del suo controllo, dall’individuo alla grande organizzazione, le possibilità di ragionare della maggior parte degli uomini vanno distrutte. E allora si ha la razionalità senza ragione. Una razionalità che non accresce, accrescendosi, la libertà, ma la distrugge» [Ivi].

Il riferimento a Mills, alla sua riflessione, al pericolo derivante dai processi di burocratizzazione delle attività sociali è stato quanto mai fugace. L’obiettivo, in tal senso, era semplicemente quello di anticipare alcune dinamiche che, esplose a partire soprattutto dagli anni Trenta, contengono in sé i germi di una profonda trasformazione sociale, capace di mettere in discussione valori che prima di allora erano sembrati intoccabili, quali appunto ragione e libertà.

Le premesse gettate dall’interazionismo simbolico, dal canto loro, offrono ottimi spunti di riflessione per ciò che concerne l’analisi e l’evoluzione dei processi di controllo sociale: «L’intera struttura politico-giuridica poggia fondamentalmente sui processi di controllo sociale di base e l’unica possibilità di tale struttura di essere in qualche modo efficace risiede nella sua capacità di influenzare la costituzione dell’universo simbolico della società, anche entrando in competizione, per così dire, con altre agenzie e altre strutture concettuali (per cui i mass media vanno a costituire

al tempo stesso l’arena di questo scontro e una o più delle agenzie in conflitto» [Melossi, 2002, p. 137]. È evidente che l’attenzione viene spostata da un elemento di tipo giuridico-coercitivo a uno di tipo comunicativo, e i processi di controllo sociale, dal canto loro, devono includere i livelli della persuasione, del consenso, della cultura, invece che essere impostati soltanto sulla coercizione: «L’obiettivo polemico di Mead era l’idea di una trasformazione sociale calata “dall’ alto”, e proprio in quanto tale non in grado di operare trasformazioni nel senso voluto. Di contro, un movimento che operi “dal basso” riesce a trasformare le condizioni sociali e a darsi, poi, semmai, una sanzione di tipo giuridico-politico» [Ibid., p. 138]46.