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Controllo sociale e comportamento collettivo: la Scuola di Chicago

4.5 Movimento e mobilità

Non bisogna pensare, però, a un accanimento nei confronti dello strumento in sé, quanto a un discorso che, partendo da una riflessione sulla mobilità, evidenzia le conseguenze possibili del cambiamento in termini di disorganizzazione: «Se si cercasse di enumerare tutte le forze sociali che hanno contribuito alla

107 Erano quegli individui che «si accontentavano, per un certo periodo, di lavorare con paghe basse e

orari lunghi (occupando) i bassifondi poveri» [Ibid., p. 13].

108 Per dare maggiore enfasi al suo discorso, l’autore si serve dell’immagine del bandito in automobile, il quale «ha molto più successo ed è molto più pericoloso del romantico predone di

disorganizzazione della società moderna, con ogni probabilità si dovrebbe redigere un catalogo di tutto ciò che ha introdotto qualche nuovo e sorprendente mutamento nella monotonia della vita quotidiana» [Ivi]. Anche il giornale e il cinematografo possono essere considerati, ad esempio, strumenti di corruzione dal momento che «qualsiasi cosa renda la vita interessante costituisce un pericolo per l’ordine esistente» [Ivi]. Sembra opportuno evidenziare, ancora una volta, che la riflessione di Park, più che legarsi a semplici giudizi, è finalizzata a prendere in considerazione gli effetti del cambiamento: «Ogni nuovo strumento che influisce sulla vita e sulla consuetudine sociale esercita al tempo stesso un’influenza disorganizzante; ogni nuova scoperta, ogni nuova invenzione, ogni nuova idea provoca un turbamento» [Ivi]109. Nonostante ciò, si fa fatica a non individuare una sorta di contraddittorietà nella sua analisi: «Egli non riesce a rinunziare a quella dimensione etica che lo pervade e lo fissa come uomo le cui radici rurali ne limitano irreversibilmente la lettura e la partecipazione alla modernità in quel passaggio individuato come percorso dalla piccola città alla grande comunità» [Rauty, 1999, pp. XXII-XXIII]. Il problema di fondo è che, nonostante sia un eccezionale interprete della città e del suo sviluppo storico, Park «è comunque contemporaneamente legato, come molti dei sociologi suoi contemporanei110, alla tradizione rurale americana, che lo ha segnato nei suoi anni formativi e che avverte irreversibilmente spezzata dalle trasformazioni strutturali, relazionali e individuali che intervengono con l’affermarsi della civiltà urbana» [Ibid., p. XXII]. Il carattere della corruzione, capace di sconvolgere la tradizione ed evocare sconfitte a livello esistenziale, si lega a un giudizio storico che appare drammaticamente inesorabile, «e, come in altri casi, Park stenta a indulgere sul risvolto umano dei processi che descrive, e da quella modernità si ritrae mantenendo (spesso insieme ai sui colleghi) distanze assolute» [Ibid., p. XXIII]. La mobilità, dunque, viene considerata come emblema del cambiamento, e ancora una volta è la città la cornice ideale per riflettere sull’importanza e le conseguenze di questi processi: «L’estensione dell’organizzazione industriale, fondata sulle relazioni impersonali istituite dal denaro, ha proceduto parallelamente a una crescente mobilità della popolazione» [Park, 1999, p. 18]. Questo processo, dal canto suo, «ha condotto

109 «Anche le notizie sono talvolta così pericolose che i governi ritengono opportuno sopprimerne la

pubblicazione» [Ivi].

a rompere e a modificare la vecchia organizzazione sociale ed economica della società, che era fondata sui legami familiari, sulle associazioni locali, sulla cultura, sulla casta e sulla posizione sociale, e a sostituire a essa un’organizzazione sociale fondata sull’occupazione e sugli interessi professionali» [Ibid., p. 16]. Ne consegue che nella città «ogni occupazione, anche quella del mendicante, tende ad assumere il carattere di una professione, e la disciplina imposta dal successo in qualsiasi occupazione – unitamente alle associazioni che essa promuove – accentua questa tendenza, cioè la tendenza non soltanto a specializzare, ma a razionalizzare la propria occupazione e a sviluppare una tecnica specifica e consapevole per esercitarla» [Ivi]. Il discorso di Park è legato in modo molto evidente all’analisi di Durkheim e la divisione del lavoro, dal canto suo, viene vista come una vera e propria disciplina, vale a dire come mezzo di formazione del carattere capace di dar vita a veri e propri tipi professionali111. Un’analisi molto simile viene fornita da Burgess, per il quale la divisione del lavoro è in grado di spiegare la disorganizzazione, la riorganizzazione e la crescente differenziazione nei contesti urbani, ed al riguardo viene preso in considerazione il fenomeno dell’immigrazione: «L’immigrato dalle comunità rurali d’Europa e d’America raramente porta con sé una notevole capacità economica nell’odierna vita industriale, commerciale o professionale (tuttavia) si è prodotta un’interessante selezione professionale in base alla nazionalità, dovuta piuttosto al temperamento o alle particolarità proprie della razza che non alla base economica del vecchio mondo (come per esempio i poliziotti irlandesi, le gelaterie greche, le lavanderie cinesi, i facchini negri, i portinai belgi e così via)» [Burgess, 1999, p. 53]. L’esempio di Burgess è finalizzato a evidenziare che la differenziazione in gruppi naturali, economici e culturali imprime una forma e un carattere alla città, «poiché la separazione assegna al gruppo, e quindi agli individui che lo compongono, un posto e un ruolo nell’intera organizzazione della vita cittadina» [Ibid., p. 52]. La separazione, dal canto suo, limita lo sviluppo in certe direzioni, ma lo stimola in altre: «Queste aree tendono ad accentuare certe caratteristiche, ad attrarre e sviluppare i loro tipi di individui e quindi a differenziarsi ulteriormente» [Ivi].

Si tratta, come detto, di prodotti caratteristici delle condizioni di vita della città: «Ciascuno di essi, con la sua esperienza particolare, con il suo intuito e con il suo

111 «L’effetto delle occupazioni e della divisione del lavoro consiste nel produrre anzitutto non già

punto di vista, determina l’individualità » [Park, 1999, p. 16]. Le conseguenze che ne derivano sono altrettanto evidenti:

• la città offre un mercato per le capacità specifiche di ogni individuo, e «la concorrenza individuale tende a selezionare per ogni compito particolare l’individuo meglio adatto a eseguirlo» [Ibid., p. 15];

• «la divisione del lavoro, facendo dipendere il successo individuale dalla concentrazione su un compito particolare, ha avuto l’effetto di accrescere l’inter-dipendenza delle diverse occupazioni» [Ibid., p. 17];

• «in condizioni di concorrenza personale, l’effetto di questa crescente inter- dipendenza delle parti è quello di creare, nell’organizzazione industriale considerata nel suo complesso, un certo tipo di solidarietà sociale, fondata non già sul sentimento o sull’abitudine, ma sulla comunità degli interessi» [Ivi].

L’attenzione si sofferma non tanto sull’evoluzione del tipo di solidarietà sociale quanto sui termini “sentimento” e “interesse”, il primo utilizzato in modo concreto, l’altro per indicare una realtà più astratta. La caratteristica fondamentale di un sentimento consiste nel fatto che quando se ne possiede uno (o se ne è posseduti) non si è in grado di agire in modo del tutto razionale, e ciò significa che «l’oggetto del nostro sentimento corrisponde in qualche modo particolare a una disposizione ereditata o acquisita» [Ibid., p. 18]. L’individuo che agisce sulla spinta di un atteggiamento sentimentale non è del tutto consapevole della sua azione e, di conseguenza, può esercitare un controllo soltanto parziale sul suo comportamento: «Ogni sentimento ha una storia sia nell’esperienza dell’individuo sia nell’esperienza della razza, ma la persona che agisce sulla base di quel sentimento può non esserne consapevole» [Ivi].

Gli interessi, invece, «sono rivolti non tanto verso oggetti specifici, quanto piuttosto verso i fini che questo o quell’oggetto particolare incorpora in un determinato momento» [Ivi]. Se, dunque, gli interessi implicano l’esistenza di mezzi e una coscienza della distinzione tra mezzi e fini, «i sentimenti sono legati ai nostri pregiudizi e i pregiudizi possono riferirsi a qualsiasi oggetto – persone, razze e anche oggetti inanimati» [Ivi].

Al di là delle differenze tra sentimenti e interessi, ciò che in questa sede interessa evidenziare è innanzitutto il fatto che attraverso l’interazione tra queste due dimensioni è possibile comprendere come possano mutare i comportamenti all’interno dei contesti urbani, e in secondo luogo che tanto i sentimenti quanto i pregiudizi sono forme elementari di conservatorismo «e in tal modo tendono a mantenere le “distanze sociali” e l’organizzazione sociale esistente» [Ivi]. Esiste, dunque, una stretta connessione tra assenza di mobilità e assenza di sviluppo intellettuale e su quanto l’isolamento possa incidere nell’accrescere le distanze sociali si dirà a breve.

La mobilità rappresenta un elemento fondamentale di analisi, tanto da indurre Burgess a considerarla come il polso della comunità: «Come il polso del corpo umano, essa è un processo che riflette e indica tutti i mutamenti che avvengono nella comunità» [Burgess, 1999, p. 56]. Si tratta di un processo basato su elementi che «possono essere classificati sotto due categorie principali:

• lo stato della mutabilità della persona;

• il numero e il tipo di contatti o di stimoli nel suo ambiente» [Ivi].

Se la mutabilità della popolazione urbana varia in virtù di parametri esprimibili numericamente112, «i nuovi stimoli a cui la popolazione risponde si possono misurare in base al mutamento di movimento e all’aumento dei contatti» [Ivi]113. Tutto questo, sostiene Wirth, oltre a «spezzare la rigidità delle caste e a complicare la struttura di classe (…) determina una struttura della stratificazione sociale più ramificata e differenziata di quella presente in una società più integrata» [Wirth, 1998, p. 79]. Per quanto riguarda l’individuo, invece, la situazione che ne consegue lo porta ad accettare l’instabilità e l’insicurezza come norma, anche perché l’elevata mobilità a cui è sottoposto «lo proietta all’interno dell’irradiarsi degli stimoli emessi da un gran numero di soggetti diversi e lo assoggetta a uno stato di fluttuazione all’interno dei gruppi sociali differenziati che compongono la struttura sociale della città» [Ivi]. Questa situazione riflette la dimensione complessa della realtà urbana: «Nella città non vi è nessun gruppo che riscuota la fedeltà piena dell’individuo. I gruppi a cui egli è affiliato non si prestano facilmente a formare una semplice strutturazione

112 Sesso, età, grado di dipendenza della persona dalla famiglia e dagli altri gruppi.

113 Per i dati riguardanti queste due dimensioni di mobilità si rimanda a Park R. E., Burgess E. W.,

gerarchica. In virtù dei diversi interessi che sorgono dai differenti aspetti della vita sociale, l’individuo si associa a gruppi ampiamente divergenti, ciascuno dei quali svolge una funzione solo in relazione a un singolo segmento della sua personalità» [Ivi].

È a causa delle condizioni create dalla vita urbana se moltissimi individui «sono costretti a spostarsi da una regione all’altra alla ricerca di quel particolare tipo di impiego che sono atti a volgere (e) la marea di immigrazione, che fluisce e rifluisce tra l’Europa e l’America, è in qualche misura un indice di questa stessa mobilità» [Park, 1999, p. 19]114. Sarebbe sbagliato, tuttavia, pensare alla mobilità soltanto come a un semplice mutamento di posizione. L’aspetto che più di tutti merita attenzione è rappresentato dal numero e dalla varietà di stimoli ai quali le persone sono chiamate a rispondere: «La mobilità non dipende soltanto dai trasporti, ma anche dalle comunicazioni. L’istruzione, la capacità di leggere e l’estensione dell’economia monetaria a un numero sempre crescente di interessi, nella misura in cui sono serviti a spersonalizzare le relazioni sociali, hanno nello stesso tempo aumentato enormemente la mobilità delle società moderne» [Ivi].

Il semplice movimento non costituisce di per sé prova di sviluppo, dal momento che può essere «una successione di azioni fissa e immutabile, preposta al controllo di una situazione costante, come nel movimento consuetudinario» [Burgess, 1999, p. 55]. Il movimento è indice di sviluppo soltanto nel momento in cui «comporta un mutamento del movimento in risposta a nuovi stimoli o a nuove situazioni: questo mutamento di movimento è detto mobilità» [Ivi]. Se il movimento consuetudinario trova la sua espressione tipica nel lavoro, la mobilità rimanda a una sorta di avventura, e la grande città, «con i suoi locali notturni, con i suoi negozi di novità e di occasioni, con i suoi luoghi di divertimento, con i vizi e i delitti della sua malavita e con gli incidenti, le rapine e gli omicidi che minacciano la vita e la proprietà, è divenuta la regione in cui l’avventura, il pericolo, l’eccitazione e il brivido raggiungono le punte estreme» [Ivi].

114 Park sostiene che, «nella misura in cui le difficoltà di trasporto e di comunicazione diminuiscono, il

commerciante, il fabbricante, il professionista, lo specializzato in una qualsiasi occupazione cercano i propri clienti in aree sempre più vaste: questo è un altro modo di misurare la mobilità della popolazione» [Ivi].

Il problema, e qui si intravedono gli stessi limiti evidenziati prima a proposito dell’analisi di Park, emerge nel momento in cui gli stimoli si intensificano e la mobilità, dal canto suo, tende inevitabilmente a confondere e a corrompere l’individuo: «Un elemento essenziale nei costumi e nella morale individuale è la coerenza, o meglio quel tipo di coerenza che è naturale nel controllo sociale del gruppo primario. Dove la mobilità è maggiore e dove di conseguenza i controlli primari vengono meno del tutto – come nella zona di deterioramento della città moderna – si sviluppano aree di corruzione, di promiscuità, di vizio» [Ibid., pp. 55- 56]. Non è una caso, continua Burgess, «che le aree di mobilità siano anche quelle in cui si trovano la delinquenza minorile, le bande di ragazzi, il delitto, la miseria, l’abbandono delle mogli, il divorzio, i fanciulli abbandonati e il vizio» [Ibid., p. 56].