Sergio Auriemma) 6.1. Premessa
6.3. Sviluppi giurisprudenziali
6.3.1. Corte costituzionale
È noto che la Corte costituzionale è stata chiamata a scrutinare numerose deliberazioni emesse dalle Sezioni regionali della Corte dei conti nell'esercizio del controllo della regolarità dei
rendiconti dei gruppi consiliari regionali e del rispetto dei criteri di veridicità e correttezza della spesa previsti dall’art. 1 dell’Allegato «A» al DPCM 22 dicembre 2012, che, in forza dell’art. 1, comma 9, del D.L. n. 174/2012, ha recepito Linee guida deliberate dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.
Il Giudice delle leggi, d'altronde, già in passato aveva espresso l'auspicio che il conferimento di contributi finanziari e di altri mezzi utilizzabili per lo svolgimento dei compiti dei gruppi consiliari venisse sottoposto a forme di controllo "più severe e più efficaci", onde porre in equilibrio imprescindibili esigenze di autonomia e l'utilizzo dei mezzi erogati "per le finalità effettivamente indicate dalla legge".
Il controllo sull'impiego delle risorse pubbliche, se, da un lato, non consente un sindacato di merito delle scelte discrezionali rimesse all’autonomia politica dei gruppi, dall’altro, non può non ricomprendere la verifica dell’attinenza delle spese alle funzioni istituzionali svolte, secondo il generale principio contabile, costantemente seguito dalla Corte dei conti in sede di verifica della regolarità dei rendiconti, della coerenza con le finalità previste dalla legge.
Era rimasto, tuttavia, in discussione il quomodo della tutela giurisdizionale da assicurare alla correttezza dell'impiego del denaro pubblico.
Orbene, tramite l’art. 33, comma 2, lettera a), n. 3, del D.L. n. 91/2014 convertito dall’art.
1, comma 1, della legge n. 116 /2014 e modificando l’art. 1, comma 12, del D.L. n. 174/2012 è stato specificato che «Avverso le delibere della Sezione regionale di controllo della Corte dei conti […] è ammessa l’impugnazione alle Sezioni riunite della Corte dei conti in speciale composizione, con le forme e i termini di cui all’articolo 243-quater, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267».
Nuove e successive pronunce della Corte costituzionale, nel corso del 2015, hanno chiarito quattro aspetti salienti, di rilievo nell'ambito del sopravvenuto riassetto normativo:
a) la qualificazione di agente contabile;
b) l'insindacabilità delle opinioni espresse dai consiglieri regionali in sede politica;
c) i limiti al raccordo tra funzione di controllo e funzione giurisdizionale della Corte dei conti;
d) l'eventuale idoneità lesiva di taluni atti adottabili dal Pubblico Ministero contabile.
In tema di qualificazione del soggetto tenuto alla rendicontazione giudiziale è stata negata la sussistenza della giurisdizione di conto nei confronti dei Presidenti dei Gruppi consiliari, in assenza dei relativi presupposti oggettivo e soggettivo.
La Corte costituzionale, come del resto è stato affermato dalle stesse Sezioni Riunite della Corte dei conti, ha ricordato che i Presidenti dei Gruppi non sono tenuti alla resa del conto giudiziale, in ragione del particolare ruolo ricoperto e delle funzioni svolte, mentre, in caso di illecita utilizzazione dei fondi destinati ai gruppi medesimi, restano assoggettati alla responsabilità amministrativa e contabile (oltre che penale, ricorrendone i presupposti).
È stato così ribadito e ancor meglio chiarito il tema della cosiddetta "insindacabilità".
La riserva in parola, che rappresenta una deroga alla regola generale della giurisdizione, non consiste in una "posizione di privilegio" assicurata ai gruppi regionali, ma è destinata unicamente a "preservare da interferenze e condizionamenti esterni" le determinazioni decisionali inerenti alla sfera di autonomia costituzionalmente riservata al Consiglio regionale.
Più in particolare, la prerogativa dell’insindacabilità non riguarda l’attività materiale di gestione delle risorse finanziarie, che resta assoggettata alla ordinaria giurisdizione di responsabilità civile, penale e contabile.
Detto traguardo esegetico non muta in ragione dell’intervenuta approvazione dei rendiconti da parte del Comitato tecnico (quand’anche composto da consiglieri regionali) o dall’Ufficio di presidenza, poiché il voto dato in tali sedi rappresenta una ratifica formale di spese già effettuate dai gruppi e non un atto deliberativo che ne costituisce ex ante il titolo giustificativo.
Egualmente non rileva l’approvazione del rendiconto generale della Regione, nel quale confluiscono quelli dei singoli gruppi consiliari, poiché anche esso costituisce un mero documento di sintesi ex post delle risultanze contabili della gestione finanziaria e patrimoniale dell’Ente Regione, e non il titolo legittimante le spese.
Opinando diversamente, si giungerebbe, infatti, ad un "risultato abnorme", contrario alla natura eccezionale della guarentigia di cui all’art. 122, quarto comma, Cost., disegnando di delineare un’area di totale irresponsabilità civile, contabile e penale in favore dei consiglieri regionali.
E ciò comporterebbe, in maniera "paradossale e del tutto ingiustificata", una tutela della insindacabilità più ampia di quella apprestata relativamente a quelle dei parlamentari nazionali, in contrasto sia con il principio di responsabilità per gli atti compiuti, che informa l’attività amministrativa, sia con il principio che riserva alla legge dello Stato la determinazione dei presupposti (positivi e negativi) della responsabilità penale.
Da ultimo, la Corte costituzionale ha pronunciato parole altrettanto chiare sulla questione - sovente esposta a visioni teoriche confliggenti - dei limiti al raccordo tra la funzione di controllo
e la funzione giurisdizionale della Corte dei conti.
Era stata già diffusamente chiarita la legittimità del raccordo tra le due distinte funzioni, essendo « incontestabile che il titolare dell’azione di responsabilità possa promuovere quest’ultima sulla base di una notizia o di un dato acquisito attraverso l’esercizio dei ricordati poteri istruttori inerenti al controllo sulla gestione, poiché, una volta cha abbia avuto comunque conoscenza di un’ipotesi di danno, non può esimersi, ove ne ricorrano tutti i presupposti, dall’attivare l’azione di responsabilità. Ma i rapporti tra attività giurisdizionale e controllo sulla gestione debbono arrestarsi a questo punto, poiché si vanificherebbero illegittimamente gli inviolabili “diritti della difesa”, garantiti a tutti i cittadini in ogni giudizio dall’art. 24 della Costituzione, ove le notizie o i dati acquisiti ai sensi delle disposizioni contestate potessero essere utilizzati anche in sede processuale (acquisizioni che, allo stato, devono avvenire nell’ambito della procedura prevista dall’art. 5 della legge n. 19 del 1994)».
Ciononostante, si sono rese necessarie altre precisazioni degli stessi concetti prima esposti.
Ecco, dunque, che la sentenza Corte cost. n. 235 del 2015, nel distinguere con maggior nitidezza tra l’ambito della responsabilità amministrativa eventualmente contestabile ai gruppi consiliari e l’ambito che attiene, più strettamente, alle attività di “rendicontazione” e del controllo sulle stesse svolto dalla Corte dei conti, ha dovuto ulteriormente affermare:
- che gli atti di contestazione e di invito a dedurre emessi dal Pubblico Ministero contabile sono volti "…all’acquisizione di ulteriori elementi, se del caso anche di carattere esimente, in vista delle conclusive determinazioni che non necessariamente dovranno essere nel senso dell’inizio dell’azione di responsabilità. L’assenza di ogni univocità circa l’ulteriore seguito dell’iniziativa assunta dal Procuratore regionale ne esclude, pertanto, l'idoneità a ledere competenze regionali costituzionalmente garantite
- che, ai sensi dell'art. 74 del R.D. n. 1214/1934, il Pubblico Ministero contabile può sì chiedere in comunicazione atti e documenti “in possesso” di autorità amministrative, tuttavia non può esigere da queste ultime specifiche e ulteriori attività, ad esempio e come accaduto, ad esse sollecitando lo svolgimento di un’attività di recupero amministrativo, in danno di soggetti terzi, di somme spese irregolarmente, senza che peraltro sia intervenuta alcuna pronuncia giurisdizionale che abbia accertato effettivamente tale irregolarità.
Si tratta, quindi, di profili “processuali” che assumono pregnanti significati sostanziali e permettono di distinguere tra funzione “di controllo” e funzione “giurisdizionale”, senza che si possa parlare di “prosecuzione” dell’una funzione rispetto all’altra, come invece sostenuto dalla
Regione che ha promosso il conflitto.