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Questioni di massima in materia pensionistica nel 2015

pubbliche

9.3. Questioni di massima in materia pensionistica nel 2015

La Procura generale ha avuto modo di intervenire diverse volte davanti alle Sezioni riunite per dedurre e concludere in giudizi per questioni di massima anche in materia pensionistica, nella quale si sono avuti importanti questioni di principio.

Nel corso del 2015 sono intervenute sentenze interessanti che hanno stabilito nuovi principi di diritto.

Una pronuncia di particolare rilievo è quella delle Sezioni riunite n. 11/2015, avente per oggetto un quesito posto dalla 3^ Sezione giurisdizionale centrale d’appello, che ha deferito alle Sezioni riunite in sede giurisdizionale della Corte dei conti, ai sensi dell’art. 1, comma 7, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, come integrato dall’art. 42, comma 2, della legge 18 giugno 2009, n. 69, una questione di massima sul seguente quesito “se in caso di dichiarata irripetibilità di somme corrisposte indebitamente al pensionato e fatte oggetto di recupero, debbano essere le stesse restituite con o senza oneri accessori e se, nell’affermativa, tali oneri debbano essere riconosciuti a titolo di interessi e/o rivalutazione ovvero di interessi moratori”.

Il collegio, in proposito ha osservato che la disciplina del terzo comma dell’art. 429 c.p.c.

(riconoscimento delle somme aggiuntive sui crediti di lavoro), applicabile al giudizio pensionistico in virtù del richiamo di cui sopra, opera solo a tutela dei crediti previdenziali “oggettivamente”

spettanti, situazione del tutto dissimile dal diritto alla restituzione di somme pensionistiche solo

“soggettivamente” spettanti, in virtù di una (giudizialmente) riscontrata tutela dell’affidamento del percipiente.

decreto, ai sensi dell’art. 26, ultimo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, come sostituito dall’art. 9, comma 1, della legge 205/2000 (rimasto in vigore dopo l’emanazione del d.lgs. 104/2010 – v. Corte conti, ordinanza della Sez. 2^ centr. 2 maggio 2013, n. 20), da depositare in segreteria, che ne dà formale comunicazione alle parti costituite.

Contro tale provvedimento giurisdizionale è ammesso reclamo (solo per i profili di legittimità) entro 60 giorni dalla comunicazione, sul quale il Collegio decide con ordinanza (contro la quale è ammesso ricorso in appello).

È ormai pacifico che la perenzione è da ritenersi del tutto compatibile con l’istituto dell’abbandono, poiché non sorgono difficoltà alla coesistenza degli stessi.

L’estensione del dettato ex art. 429, comma 3 c.p.c., alla materia della pensionistica di guerra deriva dall’art. 5 della legge 21 aprile 2000, n. 205.

Si tratta di somme indebitamente erogate e percepite, non legate ad un diritto soggettivo, non dipendenti da una preesistente obbligazione pecuniaria, non aventi natura previdenziale e/o pensionistica, somme cui non può accedere alcun importo risarcitorio, indipendentemente o meno dalla relativa espressa richiesta.

Sulla scorta delle suddette considerazioni, l’organo nomofilattico, in merito alla questione deferita con ordinanza n. 12/2014 del 22 luglio 2014, ai sensi dell’art. 1, comma 7, del D.L.

15.11.1993, n. 453, convertito nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, come integrato dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, in consonanza con la richiesta della Procura generale, ha deciso nel modo seguente: “In caso di accertata irripetibilità di somme indebitamente corrisposte al pensionato e fatte oggetto di recupero, le stesse devono essere restituite all’interessato limitatamente alla sorte capitale senza aggiunta di alcuna somma accessoria”.

Con la sentenza n. 26/2015/QM, resa nell’udienza del 29 aprile 2015, le Sezioni riunite, su ordinanza n. 02/2015 in data 12 dicembre 2014 della 3^ Sezione giurisdizionale di appello, nel giudizio pensionistico promosso dal Ministero dell’economia e delle finanze, hanno risolto un contrasto giurisprudenziale tra Sezioni di appello concernente il seguente quesito: “Se, ai fini dell’ottenimento dell’assegno di benemerenza di cui all’art. 4 della legge n. 261 del 1967, come modificato dall’art. 3 della legge n. 932/1980, l’orfano di perseguitato di cui all’art. 2 della legge n. 96 del 1955 debba possedere, alternativamente, i requisiti dell’inabilità a proficuo lavoro e quello del raggiungimento dell’età pensionabile o, invece, in applicazione dell’art. 45 del D.P.R. n.

915 del 1978 e dell’art. 6 della legge n. 656 del 1986 (il quale ha abrogato le norme che considerano presunta l’inabilità al compimento del 65° anno di età) sia necessario, al fine del conseguimento dell’assegno in parola, l’accertamento dell’inabilità a proficuo lavoro in uno con l’età pensionabile”.

Con la risposta al prospettato dubbio interpretativo, in linea peraltro con l’assunto della Procura Generale, espresso nella memoria del 1° aprile 2015, è stato precisato che: “Ai fini dell’ottenimento dell’assegno di benemerenza di cui all’art. 4 della legge n. 261 del 1967 e successive modifiche e integrazioni, i familiari superstiti dei perseguitati devono possedere i requisiti previsti dalle disposizioni vigenti in materia di reversibilità di guerra di cui al D.P.R, n. 915 del 1978 e successive modifiche e integrazioni”.

Il Collegio ha ancora puntualizzato che “Ai sensi della disciplina prevista per la reversibilità

di guerra, pertanto, il familiare superstite maggiorenne di perseguitato politico o razziale deve avere il requisito dell’inabilità a proficuo lavoro, accertato a mezzo delle competenti Commissioni mediche, nonché il requisito reddituale di cui all’art. 70 del D.P.R. n. 915 del 1978”.

Con altra successiva decisione, n. 54/2015/QM, del 24 giugno 2015, depositata in data 25 settembre 2015, è stata affrontata altra interessante questione, relativa a un giudizio pensionistico, rimessa con ordinanza n. 13/2015 dalla Sezione giurisdizionale per la regione Sardegna, che di seguito si riporta: “se al percettore di pensione privilegiata tabellare spetti la indennità integrativa speciale in misura intera, anche sul rateo di tredicesima mensilità, pur se lo stesso sia nel contempo titolare di altro trattamento di quiescenza INPS, gestione ex INPDAP, sul quale l’emolumento non è più erogato come assegno accessorio ma conglobato nella base pensionabile, ovvero se la stessa debba essere limitata al cosiddetto minimo INPS, e, in ogni caso, quale valore debba attribuirsi all’intervenuto conglobamento della indennità in questione nel trattamento pensionistico”.

Al suddetto quesito le SS.RR. hanno risposto, come del resto aveva chiesto la P.G., che

“…….al percettore di pensione privilegiata tabellare spetta l’indennità integrativa speciale in misura intera, anche sul rateo di tredicesima mensilità, pur se lo stesso sia nel contempo titolare di altro trattamento di quiescenza INPS, gestione ex INPDAP, sul quale l’emolumento non è più erogato come assegno accessorio ma conglobato nella base pensionabile”.

Tanto, nella considerazione per cui il divieto di cumulo dell’indennità integrativa speciale era ed è (nei limiti in cui sopravvive) finalizzato a valorizzare la funzione sociale di quel meccanismo di rivalutazione, mirato ad evitare la graduale erosione dell’emolumento inflattivo, una funzione che si riteneva assolta là dove il meccanismo operasse integralmente su uno solo dei trattamenti pensionistici, salva l’integrazione al minimo INPS.

Il Collegio ha sottolineato come il legislatore, del resto, ha eliso in radice ogni questione riferibile al divieto di cumulo che, nella fattispecie in esame, non riguarderebbe più situazioni tra loro omogenee ma, se si dovesse ritenere la loro comparabilità e, quindi, il divieto di cumulo, tratterebbe in modo identico situazioni profondamente diverse (l’una, nella quale l’indennità integrativa speciale è stata inglobata nella base pensionabile e valorizzata al fine della liquidazione finale della pensione, perdendo la caratteristica di meccanismo perequativo; l’altra, nella quale l’indennità integrativa speciale ha mantenuto intatta l’originaria natura e funzione), con evidenti profili di possibile incostituzionalità.

Altra rilevante questione è stata portata all’attenzione delle Sezioni riunite con ordinanza

della II Sezione giurisdizionale d’appello, depositata in data 16.9.2015, ove si chiede una statuizione interpretativa sul quesito: “se una sentenza, che dichiari la dipendenza di infermità da causa di servizio di guerra senza provvedere sugli accessori del credito pensionistico formi giudicato negativo implicito, anche se la decisione sia stata emessa dopo la introduzione dell’appello in materia pensionistica”.