Sergio Auriemma) 6.1. Premessa
7. Tipologie di danno erariale
7.1. Azioni di responsabilità amministrativa connesse ad illeciti penali (V.P.G
7.3.2. Danno erariale derivante dalla stipulazione di strumenti finanziari derivati
Come già si è avuto modo di osservare nelle precedenti relazioni in sede di inaugurazione dell'anno giudiziario, il fenomeno della stipulazione di contratti di finanza derivata avvenuto al di fuori delle condizioni di legge, può configurare un illecito rilevante ai fini dell'accertamento della responsabilità amministrativa per danno erariale sia dei soggetti che hanno sottoscritto i contratti sia di coloro che a vario titolo abbiano concorso nella formazione della volontà dell'ente.
L'assenza di regole precise fino all'introduzione del divieto legislativo all'utilizzazione di detti strumenti da parte degli enti locali introdotto dall'articolo 62 D.L. n. 112/2008 convertito in legge n. 133/2008 ha favorito la loro massiccia diffusione anche per finalità estranee alle esigenze di copertura dei rischi.
Attualmente il comma 3 dell'articolo 62 del Dl 112/2008, come sostituito dal comma 572 della legge di stabilità 2014, pone il divieto: a) di stipulare contratti relativi agli strumenti finanziari derivati previsti dall'articolo 1, comma 3, T.U. in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998 n.58; b) di procedere alla rinegoziazione dei contratti derivati già in essere alla data di entrata in vigore della legge di stabilità; c) di stipulare contratti di finanziamento che includano componenti derivate.
L'impatto finanziario dei contratti di finanza derivata sul bilancio dello Stato, delle Regioni, e degli altri Enti pubblici è stato di recente posta in evidenza dalla Corte dei conti in sede di audizione, avvenuta nel maggio 2015, innanzi alla Commissione di indagine conoscitiva sull'utilizzo degli strumenti, nel settore pubblico, sede in cui l'Istituto ha osservato che, "ferma restando la sottrazione dei derivati al controllo preventivo di legittimità in virtù della disposizione contenuta nell'art. 3,comma 13, legge n.20/1994, secondo cui -le disposizioni del comma 1 ,non si applicano agli atti ed ai provvedimenti emanati nelle materie monetaria, creditizia, mobiliare e valutaria-, resta ferma la disponibilità della Corte a dare seguito ad eventuali specifiche indicazioni provenienti dal Parlamento dirette ad approfondire le valutazioni sull'esito del ricorso agli strumenti finanziari derivati da parte delle Amministrazioni centrali dello Stato nel quadro della più generale analisi della gestione del debito pubblico".118
118La Corte ha altresì rilevato, in sede d'audizione, come sulla base del decreto del Ministro del tesoro del 10 novembre 1999, all'Istituto viene inviata per finalità conoscitive una Relazione semestrale che sintetizza le operazioni di gestione del debito pubblico intervenute nel periodo considerato, dei cui contenuti la Corte dà sinteticamente conto, all'interno del capitolo relativo alla gestione del Patrimonio dello Stato, facente parte della Relazione al Parlamento sulla gestione del patrimonio dello Stato oggetto della annuale parifica. Dal quadro
La continua sensibilizzazione del Parlamento, anche ad opera di questo Ufficio di Procura Generale in sede di memoria nel giudizio di parificazione del rendiconto generale dello Stato, circa la necessità di sottoporre per legge i contratti (compresi quelli delle Amministrazioni centrali) prima della loro stipulazione a forme di controllo preventivo o comunque di imporre prima della stipula l'utilizzo da parte dei contraenti pubblici di metodologie in grado di fornire con alto grado di attendibilità gli scenari probabilistici circa la loro convenienza, discende anche dal dato reso noto dal MEF secondo cui a fronte dei circa 160 miliardi del portafoglio degli strumenti derivati dello Stato, all'inizio del 2015 il valore nozionale dei contratti sui derivati degli enti territoriali pur se significativo nei riflessi sui relativi equilibri di gestione, sarebbe di poco inferiore ai 25 miliardi, il 60% dei quali imputabili ai contratti sottoscritti da regioni e province autonome.
A fronte del dato imponente fornito dall'emersione delle rilevanti perdite subite dai contraenti pubblici in seguito alla stipula dei contratti, ovvero alla loro rinegoziazione, ovvero alla loro chiusura anticipata, appare davvero esiguo il numero di pronunce giurisdizionali che hanno portato in sede di giudizio di responsabilità amministrativa alla condanna dei responsabili a vario titolo coinvolti.
I motivi di detta apparente discrasia sono molteplici e sono stati puntualmente rilevati già nelle precedenti relazioni di inaugurazione dell'anno giudiziario. Essi consistono in primo luogo nella difficoltà di verificare la sussistenza del danno erariale, alla luce del termine di prescrizione quinquennale per il risarcimento del danno (che per previsione normativa decorre dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso). In presenza di fattispecie che prevedono più pagamenti ripetuti nel tempo, come avviene per i contratti derivati, il termine dovrebbe iniziare a decorrere dalla data delle singole erogazioni. Tuttavia nelle operazioni di finanza derivata non è sempre semplice poter dimostrare l'attualità e concretezza del danno, atteso che eventuali perdite conseguite in una fase iniziale potrebbero essere neutralizzate a seguito dei mutamenti del mercato finanziario.
Di qui margini di problematicità nell'individuazione del dies a quo del termine di prescrizione.
A detta difficoltà si aggiunge quella inerente alla individuazione del danno, che potrebbe
normativo di cui sopra deriva, osserva la Corte, che "a fronte di un importante rilievo quantitativo dei derivati sottoscritti dall'Amministrazione centrale rispetto a quello assai inferiore nel caso degli enti territoriali, la regolamentazione normativa, i vincoli, e i divieti via via rafforzati e gli stessi compiti di controllo affidati alla Corte, risultano allo stato attuale, assai più penetranti e determinanti proprio con riguardo alle realtà territoriali". Secondo le stime ufficiali, a fine 2014, il “valore nazionale” degli strumenti derivati su debito ammontava, in Italia, a circa 160 miliardi (quasi il 9 per cento sul totale dei titoli di Stato in circolazione), mentre il valore di mercato o attuale (c.d.
mark to market) segnava una perdita potenziale di circa 42 miliardi che rappresenta l'onere che lo Stato italiano avrebbe dovuto sostenere nell'ipotesi teorica che i contratti sui derivati in essere fossero stati estinti anticipatamente.
essere ravvisato o nella stessa stipula del contratto, intendendosi per danno la semplice esposizione dell'ente al pericolo di perdite, (Corte dei conti, Sezione giurisdizionale Lazio n.2285/2009) sia in un mark to market negativo, indicatore tuttavia che rappresentando un valore astratto e virtuale potrebbe tradursi in un danno effettivo (certo ed attuale) solo in caso di chiusura anticipata del contratto.
Di qui il prevalere di indirizzi giurisprudenziali che ritengono possibile l'individuazione del danno erariale certo ed attuale solo alla scadenza finale dell'operazione; esigenza questa che, tuttavia, dilaziona molto negli anni l'accertamento dell'illecito aggravando l'onere della prova del PM in ordine all'individuazione dei responsabili.
In definitiva, la casistica giurisprudenziale del 2015 conferma come la materia del danno erariale da stipula di contratti di finanza derivata presenti una molteplicità di aspetti di così alta complessità da non rendere agevole l'accertamento del danno erariale secondo i criteri tradizionali.
Ciò giustifica la (relativa) scarsità dei precedenti giurisprudenziali definiti con sentenza, a fronte di numerose istruttorie aperte dalle Procure regionali, e soprattutto il prevalere di esiti favorevoli per i convenuti rispetto alle condanne. Così la Sezione umbra, nella sentenza n. 103/2015, ha assolto per mancanza di colpa grave e difetto di antigiuridicità della condotta gli assessori e funzionari di un Comune che avevano incautamente sottoscritto e rinegoziato contratti di finanza derivata in quanto consigliati dalla Banca che aveva omesso di fornire loro elementi conoscitivi rilevanti ai fini di valutare la convenienza delle operazioni; la stessa Sezione, sentenza n. 23 del 18 marzo 2015 ha assolto amministratori e funzionari di un altro Comune cui era stato attribuito dal PM un presunto danno erariale derivante dalla stipulazione e rinegoziazione di contratti derivati per indeterminatezza e contraddittorietà della causa petendi.
Alla luce di detto contesto, assume particolare rilievo la recente pronuncia della Sezione prima centrale n. 609 del 16 dicembre 2015, che pronunciandosi sull'appello proposto avverso la sentenza ordinanza n. 236/2014 della Sezione giurisdizionale Regione Toscana, concernente il presunto danno erariale derivato al Comune di Firenze all'esito della stipulazione di contratti derivati, quantificato dal PM in circa 4 milioni di euro, ha confermato la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti della banca Merril Lynch Capital Markets Bank Limited facente parte del gruppo Merrill Lynch International che aveva fatto da intermediario/advisor nelle operazioni.
L'importanza della pronuncia, che doveva verificare se esistesse un coinvolgimento della Banca nell'iter decisionale dell'Ente tale da far insorgere un rapporto di servizio idoneo a giustificare la giurisdizione contabile nella vicenda de qua, risiede invero nelle argomentazioni con le quali è
stato sottolineato come la funzione di advisor della Banca comporti ineludibilmente un'attività di consulenza finanziaria che, nel settore specifico deve essere svolta ai sensi dell'art. 21 T.U.F. In altri termini, ad avviso della Sezione ai fini dell'individuazione del rapporto di servizio, appare decisivo individuare non in astratto, ma in relazione alla specialità della materia, del suo elevatissimo tecnicismo, e delle regole che disciplinano gli obblighi degli intermediari finanziari, il grado di influenza che la consulenza dell'advisor può avere nella formazione della volontà contrattuale dell'ente.
Nella fattispecie la Sezione ha posto in evidenza come la tipicità delle azioni che l'advisor deve porre in essere è tale da porre in risalto il suo inserimento nell'organizzazione dell'ente pubblico con l'assunzione di particolari vincoli ed obblighi funzionali atti ad assicurare il perseguimento delle esigenze generali. Prosegue la Sezione sottolineando che uno dei principali doveri che fanno capo ai consulenti finanziari è la valutazione di adeguatezza ai sensi del Regolamento n.1730/2010 secondo cui “i consulenti finanziari valutano sulla base delle informazioni acquisite dai clienti l'adeguatezza delle operazioni raccomandate. Ai sensi dell'articolo 19, comma 1 dello stesso regolamento il consulente finanziario, sulla base delle informazioni ricevute dal cliente e tenuto conto della natura e delle caratteristiche del servizio di consulenza in materia di investimenti deve valutare che la specifica operazione consigliata soddisfi i seguenti requisiti: a) corrisponda agli obiettivi di investimento del cliente; b) sia di natura tale che il cliente sia finanziariamente in grado di sopportare qualsiasi rischio connesso all'investimento compatibilmente con i suoi obiettivi di investimento; c) sia di natura tale per cui il cliente possieda la necessaria esperienza e conoscenza per comprendere i rischi inerenti all'operazione".
Appare dunque chiara, prosegue la Sezione, la complessità del rapporto tra consulente e cliente nella materia, rapporto che non può essere ridotto ad un mero contenuto informativo o di semplice consulenza.
Si apre dunque, alla luce dell'importante precedente giurisprudenziale, uno scenario totalmente nuovo rispetto al passato, nella materia de quo, che coinvolge le Banche advisor nella responsabilità erariale, ove le scelte produttive di danno siano state indotte da una negligente funzione consulenziale.