Sergio Auriemma) 6.1. Premessa
7. Tipologie di danno erariale
7.1. Azioni di responsabilità amministrativa connesse ad illeciti penali (V.P.G
7.1.1. Profili normativi in tema di rapporto fra giudizio contabile e procedimenti penali
Nel corso del 2015, in ordine al tema del rapporto fra azioni di responsabilità amministrativa e fattispecie di reato, va segnalata l’approvazione della legge 27 maggio 2015 n.
69 – “Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”, che, agli artt. 2, 4 e 6 prevede misure di riparazione pecuniaria connesse all’accertamento di reati contro la pubblica amministrazione. In particolare l’art. 2 modifica l’art. 165 del codice penale prevedendo che la sospensione condizionale della pena in caso di condanna per i casi di peculato (art. 314 c.p.), corruzione e concussione (artt. 317-318-319-319 ter-319 quater, 320 e 322 bis c.p.) è “comunque subordinata al pagamento di una somma equivalente al profitto del reato ovvero all’ammontare di quanto indebitamente percepito dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di un pubblico servizio a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell’amministrazione lesa dalla condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, ovvero, nel caso di cui all’art. 319 ter (corruzione in atti giudiziari) , in favore dell’amministrazione della giustizia, fermo restando il diritto all’ulteriore risarcimento del danno”.
L’art. 4 introduce peraltro nel codice penale il nuovo articolo 322-quater in materia di
“riparazione pecuniaria”. Detto articolo stabilisce che nei casi di condanna per i reati di cui agli artt. 314, 317, 318, 319 e 319 ter-319 quater , 320 e 322 bis “è sempre ordinato il pagamento di una somma pari all’ammontare di quanto indebitamente ricevuto dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell’amministrazione cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio appartiene, ovvero , nel caso di cui all’art. 319 ter, all’amministrazione della giustizia, restando impregiudicato il diritto al risarcimento del danno”. Infine, l’art. 6 integra l’art. 444 del codice di procedura penale, inserendo il comma 1- ter secondo il quale, nei procedimenti per i reati contro la pubblica amministrazione
prima indicati l’ammissibilità della richiesta di applicazione di pena “è subordinata alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato”83.
Le nuove disposizioni rafforzano gli effetti delle condanne per i reati contro le pubbliche amministrazioni, inserendo dirette conseguenze pecuniarie commisurate al profitto dei reati commessi. Le diposizioni fanno, comunque, salvo il diritto al risarcimento del danno. Ciò evidenzia la natura sanzionatoria degli obblighi sanzionatori statuiti nelle sentenze penali che vengono disposti dal giudice penale indipendentemente dalla costituzione di parte civile e che sono commisurati all’ammontare dell’utilità conseguita e non al danno cagionato. Inoltre detti obblighi sono stabiliti in favore “dell’amministrazione di appartenenza del condannato” (e, nel caso di corruzione in atti giudiziari con una singolare specificazione, dell’amministrazione della giustizia), rimanendo impregiudicato il possibile ulteriore danno per le stesse o per altre, diverse amministrazioni, queste ultime comunque rientranti tra i soggetti giuridici a favore dei quali è prevista l’azione di responsabilità amministrativa.
Ne consegue che le disposizioni anzidette non appaiono preclusive della giurisdizione contabile di responsabilità amministrativa, per la natura risarcitoria (e non sanzionatoria salvo ipotesi speciali) della stessa.
Detta natura risarcitoria della responsabilità erariale, ben distinta dalla responsabilità penale o comunque a carattere “punitivo”, e che la rende dunque compatibile con quest’ultima nelle medesime fattispecie, è stata anche affermata dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo (CEDU) di Strasburgo, con la sentenza emessa il 13 maggio 2014, sul ricorso (n. 20148/09) proposto da Cesare Luigi Rigolio contro lo Stato italiano, che aveva dedotto violazione del principio del “ne bis in idem” in ordine ad un giudizio di responsabilità amministrativa dinanzi alla Corte dei conti per vicende che avevano dato luogo, nei suoi confronti anche a condanna in sede penale, invocando l’art. 6, paragrafi 1-2 e 3 della Convenzione. La Corte di Strasburgo lo ha respinto sia con riguardo ai profili di eccessiva durata del procedimento (paragrafi 28-30), sia con riguardo alla natura del procedimento dinanzi alla Corte dei conti affermando che detto giudizio non attiene
83La legge n. 69/2015 prevede inoltre un incremento delle sanzioni per i reati contro la p.a. e, per il reato di associazione mafiosa, l’inserimento, nell’art. 129 comma 3 delle disposizioni di attuazione del c.p.p. dell’obbligo, per il pubblico ministero che esercita l’azione penale per reato contro la p.a., di informare l’autorità nazionale anticorruzione, la introduzione di modifiche della legge n.190/2012 in tema di comunicazioni alla stessa autorità con inoltre una specifica previsione di obblighi informativi a carico del giudice amministrativo quando, nel corso dei giudizi di cui al comma 1, lett. e) dell’art. 133 del codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104 del 2 luglio 2010), venga a conoscenza di “condotte o atti contrastanti con le regole di trasparenza”, modifiche al codice civile in tema di reati di falso in bilancio (artt. 2621, 2621 bis, 2622) e di responsabilità amministrativa degli enti (art. 25 ter del d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231).
ad un’accusa penale ai sensi dell’art. 6 della Convenzione (par. 38 e ribadito a par. 46) e che, pertanto, non può essere applicato nella fattispecie il par. 3 dello stesso art. 6 come non sono stati accolti i motivi che richiamavano l’art. 7 della CEDU e l’articolo 2 del Protocollo 7, osservando la sentenza (ancora par. 46) che la somma che il ricorrente è stato condannato a pagare ha natura di risarcimento e non di pena. La stessa decisione Rigolio si è anche espressa sulla dedotta violazione dell’art. 1 del Protocollo 1 della Convenzione, circa il rispetto dei beni, osservando la Corte (par. 54) che i diritti garantiti da tale disposizione, in rapporto all’art. 6 della Convenzione, sono assicurati dalla possibilità, per il ricorrente, nel giudizio “a quo” di contestare adeguatamente, secondo procedure vigenti, le misure adottate dalle autorità competenti. In tal modo la CEDU ha nettamente distinto l’ambito della responsabilità erariale non ammettendone una assimilazione, nemmeno ai fini dell’applicazione della Convenzione, ai giudizi penali o anche amministrativo-sanzionatori, come invece avvenuto, sempre con riferimento allo Stato italiano, con la sentenza Grande Stevens contro Italia del 4 marzo 2014.
Il tema del “ne bis in idem” è stato anche affrontato dalla Sezione Terza centrale di appello della Corte dei conti, con la sentenza n. 68/2015, depositata il 6 febbraio 2015, nella quale è stato respinto il relativo motivo di appello, anche con un espresso richiamo alla citata sentenza CEDU. La sentenza Rigolio è inoltre stata menzionata dalle Sezioni riunite della Corte dei conti in sede giurisdizionale nella sentenza sent. n. 28/2015/QM del 18 giugno 2015, che nel decidere una questione di massima relativa al diritto di “messa a disposizione” degli atti a seguito di “invito a dedurre” nelle istruttorie svolte dal pubblico ministero contabile ha precisato che il rinvio dinamico contenuto nell’ art.26 del R.D. 1038 del 1933 si fonda su un’essenziale esigenza sistematica, “legata principalmente alla natura dell’oggetto della cognizione che, con la sua struttura contrattuale-extracontrattuale si inserisce nell’archetipo della responsabilità patrimoniale, a prevalente funzione risarcitoria-recuperatoria (cfr. Corte EDU, sent. del 13 maggio 2014, Rigolio vs. Italia), in disparte alcune ipotesi di responsabilità sanzionatoria, anch’essa patrimoniale, che comunque non partecipano del carattere afflittivo della libertà personale”.
Il profilo sanzionatorio e non risarcitorio è stato inoltre ribadito dalla Corte di cassazione, Sez. un. pen., con la sentenza n. 31617/15 del 21 luglio 2015, con riguardo alla natura della
“confisca per equivalente”, disposta nel processo penale.
Un’ulteriore novità normativa, incidente sui rapporti fra giudizio penale e giudizio contabile, è rappresentata dal decreto legislativo del 16 marzo 2015 n. 28 che ha introdotto nel
codice penale, con carattere generale, la causa di non punibilità per la particolare tenuità dell’offesa (art. 131 bis c.p.), estendendo un principio già previsto per il processo a carico di imputati minorenni (art. 27 del dpr n. 448/88) e poi ripreso per i procedimenti penali di competenza del giudice di pace (art. 34 del d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274)84. Contemporaneamente il decreto ha introdotto il nuovo articolo 651 bis del c.p.p.(“Efficacia della sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto nel giudizio civile o amministrativo di danno) per effetto del quale “la sentenza irrevocabile di proscioglimento per particolare tenuità del fatto pronunciata a seguito di dibattimento ha efficacia di giudicato quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno; la stessa efficacia ha la sentenza irrevocabile di proscioglimento pronunciata per particolare tenuità del fatto nel giudizio abbreviato, salvo che vi si opponga la parte civile che non abbia accettato il rito speciale”.
La nuova disposizione si aggiunge agli artt. 651 e 652 c.p.p. in tema di efficacia delle sentenze penali di condanna o di assoluzione nei giudizi civili e amministrativi di danno. L’art. 651 bis c,p conferma gli effetti di accertamento nei giudizi extrapenali previsti per le sentenze penali di condanna emesse a seguito di dibattimento, anche nella nuova ipotesi anzidetta di proscioglimento per speciale tenuità del fatto.