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Innovazioni del legislatore europeo in tema di “in house” e corrispondenti limiti nazionali per le società strumentali

Sergio Auriemma) 6.1. Premessa

7. Tipologie di danno erariale

7.1. Azioni di responsabilità amministrativa connesse ad illeciti penali (V.P.G

7.2.2. Innovazioni del legislatore europeo in tema di “in house” e corrispondenti limiti nazionali per le società strumentali

Come si è visto, le Direttive di ultima adozione hanno ammesso alcune modalità operative che sembrerebbero ampliare, seppure in termini tutti da verificare, le possibilità di “affidamento diretto”. E così, se pur le nuove disposizioni, sotto molti aspetti, hanno recepito i precedenti arresti giurisprudenziali, riconoscendone il determinante ruolo nel definire i caratteri dell’istituto, per altro verso, le stesse potrebbero apparire in controtendenza rispetto al precedente trend della Corte di giustizia.

Data la notorietà dell’istituto, da tempo oggetto di ampi studi che ne hanno inquadrato i tratti essenziali, in questa sede ci si limiterà ad analizzare alcune delle più interessanti novità: la possibilità di porre in essere affidamenti diretti tra entità controllate da una medesima amministrazione; la previsione di una percentuale fissa (ed abbastanza generosa) per il calcolo

90Direttiva 2014/23/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sull’aggiudicazione dei contratti di concessione - Direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici, che abroga la direttiva 2004/18/CE - Direttiva 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, che abroga la direttiva 2004/17/CE.

91cfr. Dir. 2014/23/UE del 26 febbraio 2014 sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, cit., art. 17, § 1-3; Dir. 2014/24/UE del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici, cit., art. 12 § 1- 1-3; Dir. 2014/25/UE del 26 febbraio 2014, sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, cit., art. 28 § 1-3

della “prevalenza” delle attività; l’ingresso del capitale privato.

Le nuove disposizioni dettano un’eccezione rispetto al generale onere di rispettare le procedure ad evidenza pubblica.

Nella prospettiva nazionale, l’istituto è stato di sovente qualificato alla stregua di un vero e proprio “modo di essere dell’Amministrazione

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,

valorizzandone particolarmente la natura di originale modulo a disposizione della stessa per “interiorizzare” l’approvvigionamento e l’erogazione di servizi; talché, l’in house avrebbe un’incidenza trasversale, tale da travalicare l’ambito dei servizi pubblici, ed assurgere così ad ineludibile variabile organizzativa da annoverare tra le strutture amministrative.

Non a caso, si sono diffuse, tanto in dottrina quanto nella giurisprudenza nazionale, le espressioni di “longa manus” dell’Amministrazione93, e di

delegazione interorganica

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Ma, a

differenza di quanto avvenuto in sede nazionale, l’indirizzo giurisprudenziale europeo ha avuto cura di qualificare l’in house come mera ipotesi di inapplicabilità delle norme in materia di evidenza pubblica, in ragione della mancanza dell’elemento contrattuale95. E così ha fatto anche il legislatore, che ha collocato le norme in esame nella Sezione delle Direttive relativa alle

“Esclusioni”.

Dunque, posto che quella in esame costituisce “un’eccezione alle regole generali del diritto comunitario”, resta ancor’oggi valido, ed anzi è confermato, che le relative condizioni di applicabilità “debbono formare oggetto di un’interpretazione restrittiva”96.

Il riconoscimento esplicito dell’in house in tutte e tre le nuove Direttive, con formulazioni pressoché identiche, ha certamente fugato ogni dubbio circa l’effettiva applicabilità dell’istituto a qualsiasi fattispecie sottoposta alle procedure di affidamento europee. Sicché, non v’è oggi ragione di dubitare che l’eccezione in esame si applichi tanto agli appalti nei settori ordinari, quanto a quelli nei settori speciali, così come nel “nuovo” ambito delle concessioni. Pertanto, anche in vigenza delle nuove norme, si tratterà di interpretare l’istituto secondo quanto disposto

92 in giurisprudenza T.A.R. Campania Napoli, Sez. V, 26 maggio 2010, n. 9182, qualifica l’istituto quale

“modulo organizzatorio”

93in giurisprudenza, ex multis, cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 17 gennaio 2014, n. 221; Ibid., Sez. IV, 26 novembre 2013, n. 5632; Ibid., Sez. V, 15 febbraio 2013, n. 936

94in giurisprudenza da ultimo, ex multis, Cons. Stato Sez. VI, 17 gennaio 2014, n. 221

95Come ben dimostra la posizione della Corte di Giustizia sin dalla sentenza Teckal, confermata sul punto da tutte le successive pronunce.

96sentenza Parking Brixen, punto 63; in senso analogo anche sentenza Stadt Halle, punto 46 e, in ultimo, sentenza Datenlotsen Informationssysteme, punto 23.

dalle nuove Direttive, anche in ambiti ulteriori rispetto a quelli espressamente disciplinati.

Alla luce della nuova disciplina europea, viene anzitutto in rilievo la possibilità di esercitare il “controllo analogo” in modo “indiretto”, ossia per il tramite di un’entità controllata. La stessa Corte di Giustizia aveva ritenuto ammissibile una simile struttura in house, ma in termini assolutamente non definitivi, essendosi limitata ad affermare che non può escludersi a priori che il controllo possa essere esercitato oltre che direttamente, anche indirettamente attraverso entità a loro volta partecipate dalla Pubblica amministrazione97.

Ad ogni modo, il nuovo pacchetto di Direttive in materia di contratti pubblici ha risolto sostanzialmente il problema, avendo espressamente confermato che il “controllo analogo” può essere esercitato sia direttamente, sia indirettamente, tramite una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall’Amministrazione98.

Le nuove disposizioni hanno reso possibile un rapporto senza gara anche tra entità in house partecipate (direttamente) dalla medesima amministrazione. La terminologia che già si è imposta per definire questo fenomeno è quella di “rapporto orizzontale”99.

Anche l’in house c.d. “pluripartecipato” ha trovato posto nelle nuove Direttive in previsioni specifiche, autonome rispetto alle precedenti100.

Il secondo fondamentale requisito dell’in house, affermato a partire dalla citata sentenza Teckal, è rappresentato dal necessario “prevalente esercizio” a favore dell’Amministrazione controllante. Sul punto, le nuove Direttive chiariscono, una volta per tutte, che per ritenere integrato il requisito della prevalenza è necessario che almeno l’80% delle attività della persona giuridica partecipata siano effettuate nello svolgimento di compiti ad essa affidati dall’Amministrazione controllante101.

Il legislatore ha, così, sancito definitivamente la misura entro cui una società soggetta a

“controllo analogo” può agire al di fuori degli affidamenti da parte dell’Amministrazione partecipante, senza per ciò perdere il proprio status di entità in house. Sin dalla sentenza Teckal,

97in tal senso, Corte di giustizia, 11 maggio 2006, nella causa C-340/04, Carbotermo e Consorzio Alisei, punto 39.

98 cfr. artt. 17, 12 e 28, paragrafo 1 seconda parte, rispettivamente delle Direttive: concessioni, appalti ordinari ed appalti speciali.

99cfr. Corte di giustizia dell’8 maggio 2014, nella causa C-15/13, Datenlotsen Informationssysteme, che parla di in house orizzontale.

100cfr. artt. 17, 12 e 28, paragrafo 3, rispettivamente delle Direttive: concessioni, appalti ordinari ed appalti speciali.

101cfr. artt. 17, 12 e 28, paragrafo 1, lett. b), rispettivamente delle Direttive: concessioni, appalti ordinari ed appalti speciali.

infatti, il requisito della prevalenza è stato posto al fine di evitare che le entità beneficianti di un affidamento diretto, sfruttassero sul mercato interno il vantaggio competitivo derivante dallo stesso.

Anche in rapporto alle “società strumentali”, l’esclusività non andrebbe riferita al tipo di attività svolte (criterio qualitativo), ma solo al soggetto a favore del quale vengono rese rispetto a quanto previsto in statuto (criterio quantitativo). Il che sarebbe in linea con la posizione dei Giudici amministrativi, secondo cui le disposizioni nazionali non vietano le c.d. società multiutilities, ma mirano solo ad evitare che una società strumentale (quali che siano le attività svolte) dopo l’affidamento “possa andare a fare altro”102.

Terzo e fondamentale requisito posto dalle Direttive è la “tendenziale” assenza di capitale privato dalla compagine sociale103.

Le novità, in proposito, non possono passare inosservate. In primo luogo, v’è la stessa autonoma rilevanza che il requisito ha acquistato in sede legislativa, quando in precedenza era ricondotto al più generale presupposto del “controllo analogo”, ritenendosi che la presenza di privati lo escludesse. In secondo luogo – e questo spiega perché il legislatore abbia ritenuto di dover meglio precisare il requisito in parola conferendogli autonoma rilevanza – è del tutto significativo che si debba oggi dire “tendenziale” assenza di capitale privato, quando in passato l’aggettivo d’obbligo sarebbe stato “assoluta”.

Come noto, la giurisprudenza europea aveva ripetutamente confermato che nella compagine sociale di un soggetto in house non potessero esservi soggetti privati104.

In linea con tale consolidato orientamento, si era del pari affermata, a livello europeo, l’idea secondo cui non si può qualificare come in house un’entità il cui capitale, anche solo potenzialmente, sia aperto alla futura partecipazione privata105.

Oggi, la possibilità di partecipazione di capitale privato resta subordinata alla circostanza che il socio privato non possa in alcun modo influire sul processo decisionale pubblico, come

102così l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, sentenza del 3 marzo 2008, n. 1, poi confermata a più riprese da successive pronunce; cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. V, 5 marzo 2010, n. 1282. Più di recente, in tal senso, anche le pronunce che, in ottica restrittiva, per la qualifica di una società come multi utilities, impongono di guardare non alle previsioni statutarie, ma alle attività concretamente svolte: Cons. Stato, Sez. V, 3 giugno 2013, n. 3022; Cons.

Stato, Sez. VI, 8 maggio 2014, n. 2362.

103cfr. artt. 17, 12 e 28, par. 1, lett. c), rispettivamente delle Direttive: concessioni, appalti ordinari ed appalti speciali.

104circostanza a più riprese confermata a partire dalla nota sentenza Stadt Halle (Corte di giustizia, 11 gennaio 2005, C-26/03, Stadt Halle, punto 49).

105Sentenza del 6 aprile 2006, in causa C-410/04, ANAV, punti 30-33 e sentenza del 21 luglio 2005, nella causa C-231/03, Coname, punto 26.

dimostra il triplice ordine di requisiti, cumulativi, all’uopo previsti: non deve sussistere alcun

“controllo o potere di veto”;  tali partecipazioni devono essere “prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati”;  ed il socio privato non può essere comunque in grado di esercitare “un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata” 106.

In un’ottica europea, l’eccezione non stupisce più di tanto, alla luce della motivazione che il legislatore europeo stesso ha dichiaratamente posto a fondamento di tale disposizione. Come chiarito dai rispettivi considerando delle Direttive, “tali partecipazioni non incidono negativamente sulla concorrenza tra operatori economici privati”107

 .

Ciò in quanto, una volta che si sia assicurato che il socio privato non può influire sul processo decisionale dell’entità in house, viene meno il rischio che le esigenze collegate ad obiettivi di interesse pubblico, che corrispondono (rectius, dovrebbero corrispondere) alla partecipazione pubblica, vengano

“inquinate” dalle logiche privatistiche. Non v’è dubbio, quindi, che le nuove direttive, e gli obblighi di evidenza pubblica dalle stesse discendenti, non trovino adesso applicazione, non solo in caso di soggetto affidatario interamente partecipato, ma anche in caso di partecipazione di capitali privati che però non comportino controllo o potere di veto e che non esercitino un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata. Inoltre – ed è questo l’elemento più rilevante – non è più necessario che l’attività accessoria, svolta a favore di committenti diversi dagli enti proprietari, sia del tutto marginale e trascurabile, essendo ammesso che il soggetto partecipato arrivi a svolgere sino al 20% della sua attività nel libero mercato.

Orbene, per quanto d’interesse della giurisdizione contabile, val la pena declinare i principi sin qui enunciati, in tema di giurisdizione, dalla Suprema Corte di Cassazione, a partire dalla nota sentenza n. 26806 del 2009, sulla responsabilità per i danni arrecati al patrimonio delle società partecipate.

Invero, nell’ipotesi di danno arrecato al patrimonio sociale, avuto riguardo alla natura di ente privato della società ed all’autonomia giuridica e patrimoniale di essa rispetto al socio pubblico, la giurisdizione è stata attribuita al Giudice ordinario, non essendo configurabile, né un rapporto di servizio tra l’agente e l’ente pubblico titolare della partecipazione, né un danno direttamente arrecato allo Stato o ad altro ente pubblico, idonei a radicare la giurisdizione della

106cfr. artt. 17, 12 e 28, paragrafo 1, lett. c), rispettivamente delle Direttive: concessioni, appalti ordinari ed appalti speciali).

107cfr. considerando 46 e 32, paragrafo 2, rispettivamente della Direttiva Concessioni e di quella relativa agli appalti nei settori ordinari. Nonostante l’omissione, pare inoltre che il considerando, stante l’identità delle norme, possa valere anche in rapporto alla Direttiva nei settori speciali

Corte dei conti. La giurisdizione della Corte dei conti è stata, invece, successivamente affermata, sia quando l’azione di responsabilità miri al risarcimento di un danno che - come nel caso del danno all’immagine - sia stato arrecato al socio pubblico direttamente, e non quindi quale mero riflesso della perdita di valore della partecipazione sociale conseguente al danno arrecato alla società, sia quando essa trovi fondamento nel comportamento di chi, quale rappresentante dell’ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio o li abbia comunque esercitati in modo tale da pregiudicare il valore della partecipazione. Oltre a ciò, sono state individuate situazioni particolari connesse alla “natura speciale” dello statuto legale di talune società partecipate da enti pubblici108. Va, inoltre, ricordato che, accanto a queste ipotesi singolari, connotate dalla peculiarità dello statuto legale della specifica società, la giurisdizione della Corte dei conti è stata affermata, da ultimo, anche con riguardo alle azioni di responsabilità proposte nei confronti di organi o dipendenti di un più vasto sottoinsieme di società a partecipazione pubblica: le cosiddette

“società in house”. Queste ultime, per le ragioni suesposte, sono quelle dal cui quadro statutario, vigente all’epoca della condotta ritenuta dannosa, emerga che siano state costituite da uno o più enti pubblici per l’esercizio di pubblici servizi, che esplichino la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti e che siano assoggettate a forme di controllo della gestione analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici109. La conseguenza è, quindi, che il danno arrecato al patrimonio sociale si configura, in questi casi, come danno direttamente riferibile all’ente pubblico, i cui organi può dirsi facciano capo alla stessa amministrazione.

Orbene, una volta consentita la partecipazione privata – seppure a determinate condizioni ed entro certi limiti – nelle società in house, diviene meno marcata la differenza tra società in house e società miste e di ciò la Suprema Corte di Cassazione dovrà tenere conto in un prossimo futuro, ai fini del regolamento di giurisdizione tra Giudice ordinario e Giudice contabile. È evidente, infatti, che l’ordinamento transnazionale si incammina verso la revisione del rapporto tra principio di “libera amministrazione”, di cui l’in house costituisce la più significativa

108si vedano, il caso della Rai s.p.a., ove si è affermato che spetta alla Corte dei conti la giurisdizione sulle azioni di risarcimento del danno cagionato da componenti del consiglio di amministrazione e da dipendenti perché, nonostante la veste di società per azioni, essa ha natura sostanziale di “ente pubblico”, compresa tra gli enti sottoposti al controllo della Corte dei conti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, nonché tenuta all’osservanza delle procedure di evidenza pubblica nell’affidamento degli appalti (Sez. un., n. 27092/2009), nonché il caso dell’Enav s.p.a. (Sez. un., ord. 3 marzo 2010, n. 5032) e dell’Anas s.p.a. (Sez. un., 9 luglio 2014, n. 15594) ed ancor più di recente il caso dell’Alitalia (Sez. un. ord. 13 novembre 2015, n. 23306)

109tra le altre, Sez. un., 2013 n. 26283

espressione, e principio di “concorrenza”.

L’in house, quindi, non è più da considerare un’eccezione, ma si pone a monte della stessa come conseguenza della scelta dell’amministrazione di non ricorrere al mercato; scelta che rientra nell’autonomia del soggetto pubblico (garantita anche dall’art. 5 della Cost.) e che, come ogni manifestazione di discrezionalità, è sottoposta al vaglio di legittimità del Giudice (nella specie, amministrativo). Il che dovrà essere tenuto presente dal legislatore nazionale.

Sicché, nella diversa visione dell’in house da parte dell’ordinamento europeo, va, di conserva, sottoposto a rimeditazione il discrimine di giurisdizione tra Giudice ordinario e Giudice contabile in subiecta materia e ciò per ragioni di tutela del pubblico erario che partecipa alla realizzazione di fini di interesse pubblico.