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1. Stati Uniti: note introduttive.

1.1. Evoluzione della disciplina.

1.2.1. Cos’è “l’esclusione dell’operatore di mercato” (Market Participant Exception) ?

La Costituzione degli Stati Uniti attribuisce alla competenza del Congresso la regolazione del commercio tra i diversi Stati della federazione. Mentre, nel sistema federale, i singoli Stati mantengono la propria sovranità, la dottrina, di origine pretoria, della c.d. “dormant commerce clause” impedisce che l’azione degli Stati possa recare pregiudizio al libero commercio tra gli stessi. Ciò nonostante gli Stati americani mantengono la loro capacità di agire come

consumatori attraverso lo strumento degli appalti pubblici e sono in grado di adottare previsioni legislative orientate a loro esclusivo vantaggio. La c.d. esclusione dell’operatore di mercato abilita le entità statali a restringere il commercio quando agiscono come acquirenti o come venditori, piuttosto che come regolatori.

La Commerce Clause, prevista dall’art. 1 della Costituzione americana, attribuisce al Congresso il potere di regolamentare il commercio tra gli Stati. Nel caso Gibbons v. Ogden la Corte Suprema ha ritenuto valida ed efficace una legge federale del 1793 che autorizzava una compagnia di traghetti ad operare nelle acque di New York, concludendo che tale prescrizione prevaleva sul monopolio attribuito dallo stato di New York ad un’altra compagnia di traghetti. Tre principali implicazioni derivano dal caso Gibbons: “commercio” si riferisce ai rapporti commerciali tra nazioni e parti di esse, in tutte le sue forme, compresa la navigazione; “tra gli Stati” significa il commercio che intercorre tra più soggetti, restando, dunque, fuori dalla previsione il commercio che si svolge all’interno dello Stato, che può essere considerato come mero affare interno e di sua esclusiva competenza; la sovranità statale ed il decimo Emendamento non limitano il potere del Congresso, che non conosce limitazioni al di fuori di quelli espressamente contemplati dalla Costituzione.

Nel caso Wickard v. Filburn la Corte Suprema ha consolidato il potere del governo federale nel regolamentare il commercio interstatale. La Corte ha confermato l’applicazione dell’ Agricultural Adjustment Act, e la conseguente quota di produzione di grano per singoli agricoltori, ad un agricoltore che, coltivando grano principalmente per il proprio consumo, riteneva non potersi configurare una fattispecie di commercio e, dunque, lamentava l’applicazione della Commerce Clause. La Corte statuì che, nel complesso, il grano locale può recare effetti sostanziali sul commercio interstatale “as the farmer’s “own contribution to the demand for wheat may be trivial by itself [, it] is not enough to remove him from the scope of federal regulation where, as here, his contribution, taken together with that of many others similarly situated, is far from trivial”.

Se da un lato la Commerce Clause svolge la funzione di attribuire al Congresso la competenza relativa al commercio interstatale, dall’altro opera anche nel senso di impedire l’adozione di provvedimenti da parte di amministrazioni locali che limitino detto commercio.

Si tratta della c.d. dormant commerce clause, espressione di un principio di creazione giurisprudenziale, che in sostanza sancisce l’incostituzionalità di provvedimenti delle amministrazioni decentrate che impongano oneri eccessivi al commercio interstatale.

La prassi dei tribunali ha sviluppato un sindacato articolato in due parti per verificare se una legge o un regolamento abbia l’effetto di contrastare la dormant commerce clause.

In primo luogo il giudice scrutina se la legge sia direttamente discriminatoria o se la discriminazione costituisca uno degli effetti della stessa. Il giudicante esamina se discrimina i soggetti non appartenenti allo Stato che adotta la misura o se, al contrario, offre il medesimo trattamento a tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro residenza.

In secondo luogo, se il provvedimento non è invalido ad esito del primo tipo di scrutinio, la Corte opera un bilanciamento riferito alla giustificazione e proporzionalità della misura statale adottata ad incidere in via limitativa sul libero svolgimento del commercio interstatale.

Nonostante i tribunali abbiano un margine significativo di discrezionalità, in genere confermano la legittimità del provvedimento una volta che si sia stabilito che lo stesso non abbia prodotto effetti discriminatori. Ad esempio, nel caso Minnesota v. Clover Leaf Creamery Co la Corte ha ritenuto legittima la misura che vieta l’utilizzo di contenitori di plastica non riciclabile per il latte, in ragione della considerazione della preminenza nel caso specifico dei benefici derivanti dalla protezione ambientale rispetto al distinto interesse afferente al commercio interstatale.

Detto questo, nonostante la constatazione della non discriminatorietà della legge statale, può comunque verificarsi l’eventualità che l’ imposizione di una restrizione risulti così eccessiva all’interesse commerciale da essere giudicata come incostituzionale. Ad esempio, nel caso Bibb v. Navajo Freight Lines, la Corte dichiarò incostituzionale una legge statale che richiedeva per tutti gli automezzi in uso alle varie pubbliche amministrazioni parafanghi curvi per prevenire gli spruzzi e migliorare così la sicurezza stradale. Il giudice ha ritenuto la misura incostituzionale in quanto restrittiva del commercio, dal momento che i parafanghi dritti erano legali in quarantotto Stati. La Corte ha riassunto detta vicenda come uno di quei casi in cui misure adottate a livello locale a fini di sicurezza, anche se non discriminatorie, importano oneri eccessivi a danno del commercio interstatale.

Nonostante l’operatività del principio del dormant commerce clause, si individuano due eccezioni: “[e]ven a clearly unconstitutional, discriminatory state law will be allowed if approved by Congress because Congress has plenary power to regulate commerce among the states.”; “[a] state may favor its own citizens in receiving benefits from government programs or in dealing with government-owned businesses. The federal courts of appeal have rejected most Commerce Clause challenges to in-state preference laws, holding that the market participant exception applies.”

La market participant exception, invece, potrebbe rivelarsi un utile strumento per gli Stati per favorire lo sviluppo dei mercati locali oppure per incoraggiare l’adozione di misure di protezione ambientale. Così, quando uno Stato agisce come consumatore o come operatore di mercato, piuttosto che come regolatore, ha la facoltà di imporre scelte a carattere restrittivo nel settore degli appalti pubblici, che diversamente sarebbero considerate incostituzionali in ragione della violazione del commerce clause.

Nel caso Hughes v. Alexandria Scrap Corp, la Corte Suprema per la prima volta ha riconosciuto il principio dell’esclusione dell’operatore di mercato ed ha statuito: “Nothing in the purposes animating the Commerce Clause prohibits a State, in the absence of congressional action, from participating in the market and exercising the right to favor its own citizens over others”.

Successivamente, nel caso Reeves holding la Corte ha sostenuto ““[t]here is no indication of a constitutional plan to limit the ability of the States themselves to operate freely in the free market.”

La market participant exception suggerisce, dunque, che gli Stati possono favorire i propri cittadini e le proprie imprese locali quando desiderano proteggere gli interessi territoriali di riferimento e quando essi stessi sono coinvolti negli acquisti. Nella vicenda White v. Massachusetts Council of Construction, la Corte Suprema ha confermato la legittimità di un provvedimento di un’amministrazione municipale che richiedeva per tutti i progetti di costruzione finanziati dalla governo della città l’utilizzo di una quota di forza lavoro individuata tra i residenti pari ad almeno il 50%. La Corte ha infatti osservato che “Alexandria Scrap and Reeves stand for the proposition that when a state or local government enters the market as a participant it is not subject to the restraints of the Commerce Clause”.

Nonostante la market participant exception renda valida una misura a carattere discriminatorio quando il soggetto pubblico agisce come operatore di mercato, non si tratta di un esito sempre e comunque verificabile.

Un primo importante limite posto dalla Corte alla portata della c.d. esclusione dell’operatore di mercato si individua, infatti, nel fatto che le imprese statali mentre possono favorire produttori e venditori che operano all’interno dello Stato di riferimento, diversamente non sono abilitate ad esigere condizioni di vendita potenzialmente idonee di recare nocumento al commercio interstatale. Per esempio “a state can require that all government agencies purchase potatoes grown within the state, but it cannot require that any purchaser (in or out-of-state) have the potatoes processed in the state before they can be exported”.

Così, a dispetto della longevità del principio in questione, ancora non si è giunti ad una chiara definizione delle coordinate ermeneutiche della dottrina del market participant: “what exactly comprises market participation versus market regulation is still being explored in the realm of climate change, electric power regulation, and more recently, public food procurement.”

In termini generali, quando le Corti esaminano se una determinata fattispecie concreta rientri o meno all’interno del market participant exception, le stesse valutano se il programma rispecchi o meno lo sforzo del governo di favorire i residenti quali destinatari finali delle risorse proprie delle amministrazioni cui appartengono; se il programma sia coerente con i valori del federalismo e risponda alle esigenze e preoccupazioni del territorio; in quale misura il programma pregiudichi i valori sottostanti alla commerce clause ad un mercato libero e non discriminatorio; se lo Stato sembri partecipare come attore del mercato, o piuttosto come regolatore dello stesso.

Occorre sottolineare come anche laddove la c.d. esclusione dell’operatore di mercato operi legittimamente, tuttavia è sempre presente il rischio che gli Stati ne abusino invocandola in modo discriminatorio: gli Stati confinanti, infatti, potrebbero essere indotti ad agire in rappresaglia e minare il libero e corretto svolgimento dei traffici

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