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4. La tutela amministrativa dell’ambiente: modello command and control e modello d

4.1. Diritto amministrativo ed interessi sensibili: il grado di resistenza degli interessi sensibili.

La semplificazione68 rappresenta uno degli aspetti più rilevanti degli ultimi sviluppi del diritto amministrativo, come dimostrato dall’ultimo intervento legislativo (legge n. 124 del 2015 c.d. legge Madia) che è appunto una legge sulla semplificazione. A livello sistematico, tale rilievo sembra dimostrare una tendenza dell’equilibrio dell’ordinamento verso le esigenze della semplificazione.

Con riguardo agli interessi sensibili, invece, non pare possibile apprezzare una medesima linea di sviluppo.

In generale, quando si parla di semplificazione ci si riferisce alla necessità di ridurre gli oneri che caratterizzano una determinata fattispecie, che può essere processuale come anche quella procedimentale.

Si parlerà rispettivamente di semplificazione processuale e di semplificazione procedimentale. La medesima tendenza verso la semplificazione procedimentale, si riscontra infatti anche sul piano processuale. La riprova di tale opzione ermeneutica si può individuare in alcune previsioni del codice del processo amministrativo, tra cui rilevano: la sentenza semplificata ex artt. 60 e 70 c.p.a., la possibilità di non integrare il contraddittorio quando il ricorso è manifestamente infondato, inammissibile o improcedibile ex art. 49, comma 2, c.p.a.

Gli istituti che rappresentano attuazione della semplificazione procedimentale si individuano nella conferenza di servizi (istituto di semplificazione e di concentrazione) e nella la scia (che nasce come istituto di semplificazione ma è oggi anche istituto di concentrazione con la c.d. scia unica ex art. 19-bis legge n. 241 del 1990).

68 Negli ultimi anni l’ordinamento euro-unitario ha fatto della semplificazione dell’azione amministrativa lo strumento per l’affermazione delle libertà di stabilimento, di cui agli artt. 49 e 56 TFUE. La direttiva “relativa ai servizi nel mercato interno” (2006/1234 CE), ha imposto agli Stati membri l’adozione di principi di semplificazione amministrativa, in particolare mediante la limitazione dell’obbligo di autorizzazione preliminare ai casi in cui essa è indispensabile e l’introduzione del principio della tacita autorizzazione da parte delle autorità competenti allo scadere di un determinato termine, al fine di ovviare ad una delle principali difficoltà incontrate, soprattutto dalle PMI, nell’accesso alle attività di servizi e nel loro esercizio. Nel caso del diritto, informato ai principi di derivazione comunitaria come quello della prevenzione e della precauzione, si impone cautela nell’adozione di moduli procedimentali sostitutivi della pronuncia espressa dell’amministrazione. Il silenzio- assenso in tali materie è ammissibile solo in quanto sostitutivo di provvedimenti vincolati o a basso tasso di discrezionalità e comunque non conformativi o in presenza di atti conformativi in via generale.

La semplificazione procedimentale opera così una riduzione degli oneri che caratterizzano il procedimento amministrativo ordinario come disciplinato dalla legge n. 241 del 1990, che divide lo stesso in più fasi (fase di avvio, fase di istruttoria, fase consultiva, fase decisoria). Lo stesso codice dei contratti pubblici (d.lgs. 50 del 2016) attua le direttive 2014/23/UE, 2014/204/UE e 2014/25/UE anche rispetto all’obiettivo euro-unitario del divieto del c.d. gold plating, cioè il divieto di evitare un eccesso di regolazione non necessario, aspetto che, anche se non del tutto sovrapponibile, è molto connesso alla semplificazione.

Sempre a livello dell’Unione europea, la direttiva 2006/123/CE (direttiva Bolkestein) si fonda sul principio per cui l’autorizzazione come provvedimento espresso della pubblica amministrazione deve progressivamente ridursi, in quanto in omaggio ad una semplificazione procedimentale si deve favorire la formazione di provvedimenti taciti, una liberalizzazione che si realizza anche attraverso la semplificazione. Tuttavia, l’autorizzazione può essere necessaria quando si debba intervenire in relazione ad interessi sensibili, che di regola postulano come necessario l’approfondimento istruttorio (es. bene ambiente, bene salute), per i quali il provvedimento tacito espressione della semplificazione potrebbe risultare non idoneo.

Il nodo problematico è quello della individuazione dell’equilibrio tra ragioni della semplificazione e salvaguardia degli interessi sensibili.

La legge n. 241 del 1990 dimostra il rilievo generale delle esigenze della semplificazione già dall’art. 2, comma 1, con il provvedimento a motivazione semplificata quando l’istanza del privato è manifestamente infondata, improcedibile o inammissibile.

Oltre al provvedimento con motivazione semplificata, gli istituti della semplificazione si individuano di regola nella conferenza di servizi, nella scia, nel silenzio significativo (sia assenso che rigetto), nella motivazione per relationem nei limiti in cui è ammessa, e nell’art. 17-bis. Il legislatore, dunque, fermo restando il substrato comune della riduzione degli oneri, semplifica il procedimento amministrativo con modalità ed intensità differenti, che vanno dall’art. 2, comma 1, legge n. 241 del 1990 alla liberalizzazione parziale dell’art 19 della stessa legge, fino alla liberalizzazione assoluta in cui l’attività può iniziare con una mera comunicazione.

In ciascuno dei predetti istituti si pone il problema degli interessi sensibili, di come questi ultimi possano essere bilanciati con la semplificazione procedimentale. Il grado di resistenza varia rispetto a ciascun istituto espressione della semplificazione.

Gli interessi sensibili non sono espressamente definiti dal legislatore, ma la Corte costituzionale ha evidenziato che gli interessi sensibili rappresentano valori costituzionali primari, laddove per primari età si intende l’insuscettibilità di subordinazione rispetto ad ogni altro valore costituzionalmente tutelato.

Tale insuscettibilità significa però che l’interesse sensibile non possa essere subordinato unicamente rispetto al suo nucleo essenziale, ma tale rilievo non importa che, come il legislatore dimostra, a questi valori primari debba riconnettersi una sfera di tutela assoluta ed intangibile.

Tutti i valori costituzionali, anche quelli primari, sono affidati al giudizio di bilanciamento, operato talvolta in via diretta dallo stesso legislatore e talvolta dal giudice nell’ambito dell’esercizio delle sue funzioni.

Il considerando n. 56 della direttiva 2006/123/CE esprime proprio questo principio, laddove afferma che la presenza di interessi sensibili potrebbe giustificare l’applicazione di regimi di amministrazione restrittivi nel rispetto dei principi di necessità e di proporzionalità.

Una conferma di quella che è l’opzione ermeneutica che si accoglie sembra offerta a livello giurisprudenziale dalla Adunanza plenaria del Consiglio di stato che con sentenza n. 17 del 27 luglio 2016 si interroga sulla questione relativa alla resistenza dell’art. 13, comma 1, della legge n. 394 del 1991 (legge-quadro sulle aree protette) in relazione all’art. 20, comma 4, della legge n. 241 del 1990.

Viene affermata, infatti, l’inesistenza nel sistema di un principio di incompatibilità tra silenzio- assenso ed interessi sensibili. L’art. 20, comma 4, escludendo il rilievo dell’istituto del silenzio-assenso rispetto agli interessi sensibili non esprimerebbe un principio a carattere assoluto ed inderogabile. La semplificazione procedimentale sarebbe compatibile anche con il silenzio-assenso, quando ricorrano specifiche condizioni: l’accertamento sulla compatibilità dell’interesse sensibile sia a basso contenuto di discrezionalità o sia espressione di un’attività vincolata. Diversamente, riemergerebbe l’incompatibilità, richiedendosi una istruttoria

approfondita, quando l’attività della pubblica amministrazione sulla valutazione dell’interesse sensibile si caratterizza per un elevato tasso di discrezionalità.

Passando all’esame dell’art. 2, comma 1, seconda parte, della legge n. 241 del 1990, la disposizione rappresenta forse l’esempio meno problematico per l’interprete, in quanto qui non si pone la questione del possibile contrasto con interessi sensibili. L’ipotesi richiamata, infatti, fa riferimento ad una istanza infondata che autorizza la pubblica amministrazione a non motivare, mentre il problema del rilievo dell’interesse sensibile si pone quando la motivazione ha carattere necessario.

L’art. 20, comma 4, della legge n. 241 del 1990 prevede che il silenzio-assenso, nei rapporti verticali, non si forma con riguardo agli interessi sensibili, che la disposizione individua anche se non in modo esaustivo. Il legislatore dà in questo caso rilevanza assoluta agli interessi sensibili, prevalenza che si spiega in ragione delle peculiarità del silenzio significativo.

L’istituto è stato di recente oggetto di un parere69 del Consiglio di stato in cui ne ha evidenziato la portata di regola procedimentale a carattere generale, almeno a partire dal 2005. Il comma 4, nella sua rigidità, servirebbe, quindi, anche a compensare una tale generalizzazione, non potendo operare almeno con riguardo agli interessi sensibili. Sembra una norma di salvaguardia, una forma di tutela preventiva, che non sembra del tutto in linea con l’impostazione della Corte di giustizia e della Corte costituzionale.

L’art. 17-bis70 conduce, invece, l’interprete verso una soluzione diametralmente opposta rispetto a quella appena esaminata.

Nel silenzio-assenso nei rapporti orizzontali, cioè tra pubbliche amministrazioni o tra queste e gestori di beni o servizi pubblici, il legislatore prevede la formazione del silenzio-assenso

69 Parere del 13 luglio 2016, in cui il Consiglio di stato afferma che l’istituto del silenzio-assenso non rappresenta un fenomeno fisiologico di svolgimento dell’azione amministrativa, ma rappresenta piuttosto un fenomeno patologico. Il meccanismo del silenzio-assenso dimostra, infatti, la contrarietà di fondo del legislatore verso l’istituto, che viene considerato come “la più grave delle sanzioni o il più efficace dei rimedi”.

70 F. DE LEONARDIS, Il silenzio assenso in materia ambientale: considerazioni critiche sull’art. 17 bis introdotto dalla legge Madia, in Federalismi, 2015. Sul punto si veda anche A.M. SANDULLI, Gli effetti diretti della legge 7 agosto 2015, n. 124 sulle attività economiche: le novità in materia di s.c.i.a., silenzio assenso e autotutela, in Federalismi, 2015. Non altrettanto critico con la norma è F. SCALIA, Il silenzio assenso nelle materie c.d. sensibili alla luce della riforma Madia, in Urb. app., 2016, p. 11, secondo il quale tale disposizione riporta a coerenza il sistema considerato che anche in sede di conferenza di servizi è previsto il meccanismo procedimentale del silenzio assenso. Sul problema del rapporto fra le due norme si vedano E. SCOTTI, Silenzio assenso tra amministrazioni, in ROMANO A. (a cura di), L’azione amministrativa, p. 566; F. APERIO BELLA, Il silenzio assenso fra pubbliche amministrazioni (il nuovo art. 17 bis della l. n. 241/1990), in www.diritto- amministrativo.org (sito AIPDA).

anche rispetto agli interessi sensibili: nel confronto con l’ipotesi di cui all’art. 20, comma 4, l’impostazione cambia radicalmente.

L’art. 17-bis viene considerato un nuovo paradigma nei rapporti verticali, in quanto evita che l’inerzia tra pubbliche amministrazioni possa danneggiare le ragioni del privato. Secondo l’interpretazione del Consiglio di stato, questo istituto completerebbe il disegno normativo sull’azione amministrativa, con l’obiettivo di “fluidificare” l’azione amministrativa.

La disposizione va posta in stretto collegamento con gli artt. 16-17 della legge n. 241 del 1990, per poter cogliere con profondità la ratio dell’impostazione. L’art. 17-bis è norma che riguarda i procedimenti di co-decisione, le decisioni pluristrutturate, a differenza degli altri due articoli richiamati che si riferiscono rispettivamente ai pareri obbligatori e delle valutazioni tecniche, relativi alla fase dell’istruttoria e non della decisione.

Le conclusioni che il legislatore raggiunge con riferimento agli artt. 16-17 in punto di superamento degli interessi sensibili cambiano proprio perché si collocano in una fase procedimentale differente rispetto a quella che investe l’art. 17-bis. Quest’ultimo si applicherà in via generalizzata, mentre l’istituto della conferenza di servizi troverà un’applicazione residuale, cioè quando sarà presente un dissenso espresso di una pubblica amministrazione. La differenza delle soluzioni adottate tra rapporti verticali e rapporti orizzontali sembra potersi individuare nel rilievo della maggiore attenzione che deve investire le relazioni tra pubblica amministrazioni e privato rispetto a quelle tra più pubbliche amministrazioni, in cui l’interesse sensibile può considerarsi maggiormente tutelato. Secondo una differente opzione ricostruttiva, l’aporia presente tra i due tipi di rapporti evidenzierebbe tutta l’illogicità del tessuto normativo. Anche l’istituto della conferenza di servizi pone problemi di compatibilità con gli interessi sensibili. Ma in questo caso il legislatore non accoglie nessuno dei due estremi esaminati: né la soluzione dell’art. 20, comma 4, che offre una prevalenza assoluta agli interessi sensibili, né l’impostazione dell’art. 17-bis che si muove in una logica di equiordinazione tra interessi sensibili ed interessi ordinari. Nella conferenza di servizi, infatti, gli interessi sensibili si colorano di una loro specificità, al punto che un istituto geneticamente fondato su ragioni di semplificazione e di concentrazione incontra un aggravio procedimentale, che però non comporta mai che l’interesse sensibile possa essere in astratto ostativo alla definizione. Il risultato dell’art. 20, comma 4, nella conferenza di servizi non si raggiunge mai, così come non

si raggiunge il risultato dell’art. 17-bis, in quanto attraverso un aggravio procedimentale gli interessi sensibili rilevano in modo più evidente.

Rispetto al passato, la riforma dell’istituto della conferenza di servizi71 in attuazione della c.d. legge Madia ha introdotto una serie di novità, tra cui interessa ai fini della presente indagine l’art. 14, comma 4, della legge n. 241 del 1990. Soltanto nell’ipotesi del comma 4, relativa alla VIA, la conferenza di servizi come modulo organizzativo di gestione del pubblico interesse è obbligatoriamente sincronica, mentre resta invariata la regola della adozione della determinazione conclusiva con decisione a maggioranza qualitativa e non quantitativa. In base alla tipologia di interessi in gioco, la pubblica amministrazione deve dare prevalenza a quelli qualitativamente più importanti, trovando quindi gli interessi sensibili un maggiore riconoscimento proprio a ragione del tipo di meccanismo di adozione del provvedimento finale della conferenza di servizi.

In caso di VIA, inoltre, la protezione dell’interesse sensibile sembra massima, in quanto quasi sempre quella autorità concluderà la conferenza di servizi in linea con l’interesse ambientale di cui è portatrice.

Tuttavia, può accadere, come dimostra l’art. 14-quinquies, che questa rilevanza abbia la stessa latitudine di rilevanza al di fuori delle ipotesi che rientrano nel perimetro applicativo dell’art. 14, comma 4. In questi casi può accadere che i dissensi espressi dalle autorità preposte alla cura

71 Per una trattazione generale dell’istituto della conferenza di servizi si rinvia a: M. S. GIANNINI, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, 2001; A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989; S. CASSESE, Trattato di diritto amministrativo, Milano, 2003; E. CASETTA- F. FRACCHIA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2016; G. CORSO, Manuale di diritto amministrativo, Torino, 2017; M. CLARICH, Manuale di diritto amministrativo, Bologna, 2017; M. D’ALBERTI, Lezioni di diritto amministrativo; F.G. SCOCA, Diritto amministrativo, Torino, 2017; V. CERULLI IRELLI, Lineamenti del diritto amministrativo, Torino, 2017; R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2016; R. GAROFOLI-G. FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Molfetta, 2016; F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2016.

Per una trattazione specifica cfr.: M. SANTISE, Coordinate ermeneutiche di diritto amministrativo, Torino, 2017; R. GIOVAGNOLI-M. FRATINI, Le nuove regole dell’azione amministrativa al vaglio della giurisprudenza, Milano, 2007; F. CARINGELLA, Le nuove regole dell’azione amministrativa dopo le leggi n. 15/2006 e n. 80/2005, Milano, 2005; F.G. SCOCA, Analisi giuridica della conferenza di servizi, in Dir. amm., 1999, p. 262.; S. CASSESE, L’arena pubblica. Nuovi paradigmi per lo Stato, in Riv. trim. dir. pubbl., 2001, p. 621;D. D’ORSOGNA, Conferenza di servizi e amministrazione della complessità, Torino, 2002; G. PAGLIARI, La conferenza di servizi, in SANDULLI M.A. (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2011, p. 608; E. SCOTTI, La conferenza di servizi, in ROMANO A., (a cura di), L’attività amministrativa, Torino, 2015, pp. 458 ss.; V. CERULLI IRELLI, Verso un più compiuto assetto della disciplina generale dell’azione amministrativa, in ASTRID Rassegna, 4/2005; M. SANTINI, La conferenza di servizi dopo la riforma Madia: questioni di (ulteriori) norme o di cultura?, in Urb. app., 2016, p. 129; R. DIPACE, La resistenza degli interessi sensibili nella nuova disciplina della conferenza di servizi, in www.federalismi.it, 2016.

degli interessi sensibili non siano tali da condurre ad una conclusione negativa della conferenza di servizi. Ciò dimostra che gli interessi sensibili non hanno una protezione assoluta, essendo necessario che l’interesse pubblico sia determinato in concreto, non in astratto, nell’incedere dell’attività amministrativa e nel contemperamento con gli altri interessi che si attualizzano nel caso specifico.

L’art. 14-quater prevede poi espressamente il meccanismo del silenzio-assenso nel caso di inerzia delle autorità convocate nella conferenza di servizi. Il predetto meccanismo sembra che operi anche qualora l’inerzia sia riconducibile alle autorità preposte alla cura di interessi sensibili, in ragione del rilievo per cui dalla lettura dell’art. 14-quinquies emergerebbe un favor per le ragioni della semplificazione in quanto per l’attivazione di quest’ultima previsione è necessario che in sede di conferenza l’autorità portatrice dell’interesse sensibile esprima un dissenso circostanziato; inoltre un ulteriore dato indicativo della riferita impostazione ermeneutica si desumerebbe dalla brevità del termine di dieci giorni per proporre l’opposizione.

La disciplina dimostra quindi come la tenuta della protezione degli interessi sensibili nella conferenza di servizi va verificata in concreto, rifuggendosi dagli opposti paradigmi rappresentati dall’art. 20, comma 4, e dall’art. 17-bis, in modo coerente con i caratteri peculiari e funzionali dell’istituto.

Nel percorso di valutazione della tenuta degli interessi sensibili, residua l’esame della disciplina legislativa della scia.

L’art. 19, infatti, pone problemi di compatibilità con gli interessi sensibili, ma rappresentando questa ipotesi punti di contatto con l’istituto del silenzio-assenso in quanto si sottendono rapporti verticali in cui di regola l’interesse meramente privato non può giustificare la prevalenza rispetto a valori primari dell’ordinamento, a differenza dei casi di cui agli artt. 14 e 17 bis in cui la prevalenza non è assoluta perché sono in gioco più intessi sensibili anche antagonisti, l’interesse sensibile tendenzialmente deve prevalere.

Prima della riforma del 2016 che ha interessato anche la scia era previsto un potere di intervento a carattere interdittivo ed esercitabile senza limiti temporali, quando l’attività oggetto della scia era in contrasto con i valori fondamentali costituzionalmente tutelati. La

rilevanza dell’interesse sensibile prevaleva sul consolidamento delle situazioni giuridiche soggettive.

Oggi, venuto meno il potere interdittivo, residuano in capo alla pubblica amministrazione i seguenti strumenti di intervento: invito a conformare l’attività, potere di sospensione dell’attività, potere di inibizione, potere di controllo secondo le condizioni dell’art. 21-nonies e potere sanzionatorio nel caso in cui la scia si fondi su dichiarazioni false. Il problema, dunque, è cercare di comprendere a livello sistematico le conseguenze del venir meno del potere interdittivo.

L’art. 19, comma 3, seconda parte, e comma 4 impone alla pubblica amministrazione rispettivamente di disporre la sospensione dell’attività che sia in contrasto con l’ambiente, venendo dunque meno il potere di conformazione della stessa, ma in assenza dell’esercizio del potere inibitorio o di quelli ex art. 21-nonies, o di un controinteressato che solleciti l’intervento, non sarà più possibile la salvaguardia degli interessi sensibili.

In definitiva, la logica che presiede la tutela degli interessi sensibili è ulteriormente differente rispetto alle ipotesi analizzate in precedenza, perché la semplificazione procedimentale di cui la scia è espressione cede il passo a fronte della protezione di valori fondamentali, ma il decorso dei diciotto mesi dalla scadenza del termine del potere d’intervento in via inibitoria produrrà il consolidamento delle posizioni giuridiche con la prevalenza dell’affidamento rispetto alla tutela di valori primari come l’ambiente.

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