Terzo Settore: nuovi scenari in Italia
2.1. Che cos’è il Terzo Settore
Il declino della parabola del welfare state, di cui si è discusso nel capitolo precedente, ha contribuito a far crescere la consapevolezza che il tradizionale rapporto duale Stato-mercato non riesce a produrre effetti positivi per la “società civile”. Dalle trasformazioni in atto nelle società post-industriali e dall’emergere di nuovi bisogni sociali, si è fatta strada l’esigenza di restituire alla comunità maggiore autonomia e tutele nella gestione dei rischi sociali connessi ai mutamenti economico-sociali che irrompono sulla scena. Inizia a prendere forma il pensiero secondo cui la ragione d’essere di un sistema di politiche sociali non è la legittimazione statale delle stesse, non è più lo Stato al centro; una politica sociale è integrata perché foriera dei bisogni sociali che sono alla base della quotidianità delle persone a cui si rivolge, capace di stimolare i contesti e di agire sui desideri e le aspirazioni di quelle stesse persone.
La crisi dei sistemi di welfare ha posto i decision makers di fronte ad un bivio: da un lato è impensabile una società senza le tutele garantite dal welfare state, dall’altro è altrettanto illusorio pensare di espandere l’azione pubblica dal momento che tutte le politiche poste in essere dopo la crisi parlano di una ricalibratura e di smantellamento.
All’idea di welfare state come macchina statale che corregge le distorsioni prodotte dal mercato e che compensa il ruolo della famiglia, si aggiunge un terzo attore/settore che adotta la prospettiva societaria come principio guida, includendo nella visione polarizzata pubblico-privato anche gli stili di vita, i comportamenti, l’interesse verso le
- 46 -
categorie deboli della società, introducendo, dunque, la dimensione sociale come fondamento della vita quotidiana. L’espansione e la crescente fiducia nei confronti del Terzo Settore o settore non profit rappresentano la chiave di volta di tutti i processi di riforma del welfare state, dal momento che la sua presenza nelle politiche di welfare è giustificata «dalla capacità di fornire un valore aggiunto in termini di efficienza, efficacia o equità all’offerta di beni e servizi garantita da altri enti erogatori e nello specifico lo Stato e il mercato» (Fazzi, 2007:1).
In questo scenario mutato, le organizzazioni di Terzo Settore (da ora in poi OTS) rappresentano degli attori chiave, su cui si riversano attese e aspettative: da un lato si auspica di superare l’approccio organizzativo spesso burocratico e clientelare dell’ente pubblico, dall’altro lato c’è il desiderio di considerare il welfare come un costrutto che, per essere efficace e orientato al futuro, deve tenere in conto il contributo della società civile, puntando sempre più ad una maggiore partecipazione e a processi decisionali inclusivi. La riflessione che verrà di seguito proposta partirà da un’analisi storica dell’ascesa del Terzo Settore nei sistemi di welfare e il diverso ruolo che ha assunto nel panorama delle politiche sociali, con un focus dedicato allo sviluppo italiano del Terzo Settore nella gestione dei servizi socio-assistenziali. Il tutto verrà completato con un’attenzione particolare agli scenari attuali profondamente modificati dalla legge di Riforma del Terzo Settore in Italia, che ha ricompreso sotto il punto di vista legislativo le diverse compagini del settore non profit in un unico corpo organico, favorendo una chiara identità agli enti del Terzo Settore e una disciplina unitaria per affrontare la questione legata alla programmazione e gestione degli interventi sociali.
Date le particolari circostanze temporali in cui si introducono, le OTS nascono e si sviluppano come conseguenza dei fallimenti e delle inefficienze del welfare statale e si inseriscono, come già ricordato, tra la diade stato-mercato, anche se per ragioni di democrazia non sostituiscono del tutto l’apparato statale, del mercato o della comunità ma si affiancano ad essi costituendo una dimensione altra organizzata al servizio della gente comune. Secondo la sociologia cattolica, di cui Donati è un esponente di spicco, il successo delle OTS sta nel fatto che «[…] esse si dimostrano più flessibili e più efficaci delle agenzie statali, più vicine alla gente, più pronte a comprendere i problemi che debbono essere risolti, più capaci di ottenere la cooperazione e il sostegno di coloro
- 47 -
che debbono servire direttamente» (Donati, 2015: 23). Se questa è la natura delle OTS, occorre, però, mettere in chiaro che il Terzo Settore, per poter svolgere un ruolo simile, non può operare da solo, ma ha la necessità di politiche di sostegno a livello istituzionale e un riconoscimento formale che permetta di progettare strategie condivise di policy making.
Il ruolo del Terzo Settore come attore delle politiche di welfare non è, infatti, sempre stato scontato, ma ha assunto un carattere relativo e si è trasformato nel corso del tempo. Negli anni settanta e ottanta, ad esempio, le OTS hanno saputo esercitare, nei confronti del welfare, una pressione verso l’ampliamento della cittadinanza sociale, fornendo risposte a gruppi sociali a quel tempo marginali e non riconosciuti dalle istituzioni (le persone portatrici di handicap, soprattutto psichico, i tossicodipendenti). In questo momento storico, la capacità del TS è stata quella di fornire a migliaia di persone l’occasione per potersi aggregare condividendo un obiettivo specifico e un senso di appartenenza ad un gruppo che partecipava attivamente alla vita della società; il valore aggiunto del Terzo Settore «era dato in questo periodo dalla capacità di lettura dei bisogni e dalla spinta innovatrice e riformatrice di assetti in parte obsoleti di politica sociale, incapaci di intervenire rispetto a bisogni e esigenze emergenti pur in presenza di una notevole disponibilità di risorse economiche e di spesa» (Fazzi, 2007:1). A partire dagli anni novanta, il contributo delle OTS al welfare cambia volto: dal valore sociale si passa al valore economico. I cambiamenti verificatisi all’interno dei sistemi di welfare e le sfide esterne poste dalla globalizzazione e dai mutamenti dei mercati finanziari frenano il protagonismo dell’intervento pubblico e viene individuato nell’affidamenti dei servizi al Terzo Settore lo strumento più idoneo «per governare i processi di privatizzazione dall’alto e di razionalizzazione della spesa imposti dalle mutate condizioni della finanza pubblica» (ibidem, 2). Il Terzo Settore, durante questi anni, si configura come un fattore in grado di contenere i costi e di rendere flessibile l’intervento della pubblica amministrazione che mantiene nelle proprie mani le linee di indirizzo delle politiche pubbliche affidandone la gestione, tramite contratto, ad enti terzi. Sul finire degli anni Novanta, i rapporti tra ente pubblico e OTS sono stati caratterizzati dalla necessità di fornire un risposta di sistema ai tagli della spesa sociale e alla riduzione dei costi dei servizi, ponendo in secondo piano il carattere vocazionale,
- 48 -
tipico delle organizzazioni non profit, quali organismi in grado di rappresentare gli interessi dei cittadini del territorio di riferimento, di offrire opportunità di creare capitale sociale e partecipazione (Fazzi, 2007). Le traiettorie di sviluppo del terzo settore risultano, quindi, essere legate all‘evoluzione dei sistemi di welfare sia per il ruolo svolto sia per il significato attribuito alle organizzazioni senza fine di lucro.
Infatti, al sempre più crescente ricorso al Terzo Settore come panacea dei fallimenti di Stato e mercato non è seguita, tuttavia, una sua chiara configurazione nello scenario sociale in cui esso opera; la metafora calzante al Terzo Settore è quella di un caleidoscopio, formato da tante tessere, da tante realtà ognuna con caratteristiche simili alle altre ma allo stesso tempo diverse, peculiari che rendono difficile una definizione unitaria. Provando a delineare, ai fini della nostra trattazione, una definizione da utilizzare come linea guida per discutere di tale fenomeno, potremmo utilizzare quella che, secondo Borzaga e Fazzi (ibidem: 25) individua «il settore come universo di organizzazioni, attori e iniziative che erogano e producono servizi di pubblica utilità senza scopo di lucro». È opportuno sottolineare che la definizione proposta non ha la presunzione di racchiudere in sé l’essenza del Terzo Settore, dal momento che è un fenomeno in continua evoluzione e lascia aperti spazi di critica e scenari futuri che non possono essere ricondotti a definizioni semplicistiche e omologanti15. Tuttavia la circoscrizione dell’ambito di intervento e delle caratteristiche del Terzo Settore qui proposta serve, come già ribadito, da guida alla speculazione che in questa sede si tenta
15
La natura complessa delle OTS si manifesta, in prima istanza, già dalle diverse espressioni verbali utilizzate a livello internazionale per riferirsi al fenomeno, ognuna delle quali pone in rilievo le caratteristiche del settore d’azione: 1) non profit sector: è questa una definizione nata negli anni '80 negli Stati Uniti per indicare un insieme di organizzazioni private senza scopo di lucro che fornivano servizi alla collettività. Secondo Colozzi e Bassi (1998:44) «a queste organizzazioni è consentito disciplinarsi sotto le leggi statali e ottenere l’esenzione dalla tassa federale sul reddito e dalla maggior parte delle imposte fiscali statali e locali». Inoltre, le risorse da destinare alle attività sono per la maggior parte frutto della filantropia privata; 2) charitable sector: questa definizione nasce e si afferma in Inghilterra e si riferisce all’insieme delle associazioni di beneficienza. In base ad una regolamentazione inglese del 1891, le charities (così erano chiamate le associazioni) si dividevano in quattro tipi: quelle per l’assistenza ai poveri; quelle per lo sviluppo dell’educazione; quelle per l’avanzamento della religione e quelle che perseguono altri scopi a beneficio della comunità (Colozzi, Bassi, 1998: 47); 3) third sector o Terzo
Settore: questa definizione si è diffusa principalmente in Europa negli anni '70 e trova il suo fondamento
in una giustificazione di carattere economico, in quanto contrappone il Terzo Settore al settore pubblico, rappresentato dallo Stato, e al settore privato, rappresentato dal mercato, collocandolo in una zona grigia, intermedia tra i due ambiti di intervento. Per un approfondimento della questione terminologica si rimanda al cap. II di Donati P. (a cura di), Sociologia del Terzo Settore, Carocci editore, Roma, 1998.
- 49 -
di dare ad una realtà così importante nei nostri sistemi di politiche sociali. È, infatti, opinione largamente diffusa che il Terzo Settore rappresenti una realtà emergente non tanto nelle società in via di sviluppo dove ancora si manifesta sotto forma di economie informali o movimenti socio-politici, ma nelle società avanzate, attraversate dal processo di modernizzazione e dagli effetti della globalizzazione. Gran parte dell’opinione pubblica identifica il Terzo Settore con il volontariato, dando vita alla facile equazione Terzo Settore = persone impegnate in associazioni di volontariato tramite servizio gratuito offerto ai soggetti più fragili. In realtà, questa equazione semplicistica sembra escludere molti caratteri delle OTS, in cui non necessariamente sono presenti solo volontari e non sempre sono attività che non producono profitto. Il loro impiego attraversa tutti i settori e i campi di interesse, dai servizi socio-sanitari ai servizi di promozione culturale, dai servizi educativi a quelli sportivi, dai servizi di tutela dei consumatori a quelli di difesa ambientale, dai servizi di sostegno alle marginalità a quelli di reintegrazione delle fasce di popolazione più debole (Donati, 1998). Già da questa prima rassegna si comprende come convivono sotto la dicitura OTS una miriade di organizzazioni che svolgono funzioni diverse: da quella produttiva, tipica delle cooperative, a quella erogativa, attribuita alle fondazioni, a quella di advocacy, tradizionalmente associata alle organizzazioni di volontariato e di difesa dei consumatori. Con riguardo proprio alle funzioni, Santillo (2013: 637) propone la classificazione delle organizzazioni non profit in tre macro-tipologie: 1) il non profit «mutualistico e associativo», che raccoglie il maggior numero di organizzazioni, ha pochi dipendenti, si basa sull’auto-finanziamento degli associati e tende al perseguimento dell’interesse dei propri membri; 2) il non profit «leggero», raggruppa la maggior parte delle organizzazioni operanti nel settore socio-sanitario e dell’assistenza sociale; anche in questo caso sono organizzazioni basate sull’auto-finanziamento e sul volontariato, ma si preoccupano di rivolgere un servizio a terzi; 3) il non profit «professionale», conta il minor numero di organizzazioni, ma ha maggior peso per ricavi e dipendenti; è caratterizzato dalla massiccia presenza delle cooperative sociali e di grandi associazioni assistenziali nel campo dei servizi socio-sanitari ed è la parte del non profit maggiormente dipendente dal finanziamento pubblico16. Questa
16
- 50 -
classificazione permette di suddividere le OTS in base a criteri puramente oggettivi, che hanno a che fare, cioè, con caratteristiche strutturali e organizzative che le proiettano ora nell’una, ora nell’altra categoria, favorendo così una catalogazione strumentale a cui il Terzo Settore ha dovuto adattarsi. Si dovrebbe piuttosto osservare il fenomeno dal punto di vista della mission, delle finalità che le organizzazioni perseguono e del diverso grado dei risultati raggiunti: quello immediatamente percettibile sotto forma di prestazione e servizi (output), e uno più sottile, che riguarda la capacità delle organizzazioni stesse di farsi promotrici di solidarietà sociale (outcome). In particolare, proprio la funzione di promozione della solidarietà sociale si scontra con delle sfide che il Terzo Settore si trova ad affrontare e si propone di superare. La crescente disgregazione del tessuto sociale, la crisi dei sistemi di welfare con le trasformazioni a livello economico, sociale e culturale, la crescente segmentazione sociale dovuta anche alla pluralizzazione delle etnie e religioni, la crescita di rischi e patologie e le continue richieste di condizioni di lavoro e di vita dignitose sono le sfide che il Terzo Settore si trova oggi ad affrontare nelle nostre società (Donati, 2015). L’apporto del Terzo Settore nell’affrontare queste sfide ha fornito prova di validità per la costruzione di risposte sempre più complesse e articolate rispetto alla complessità dei problemi, reclamando a gran voce l’implementazione di un sistema di welfare che sia caratterizzato dalla varietà di opportunità di analisi e di risposta con una progettazione sinergica e integrata tra Stato, mercato e comunità. Infatti, il contributo che le OTS possono fornire al miglioramento della qualità dei sistemi di welfare è profondamente legato alle relazioni instaurate con l’ente pubblico e gli altri attori impegnati nella costruzione del benessere sociale (mercato e comunità). Ne consegue, come afferma Fazzi (2007: 1) che «una effettiva valorizzazione del contributo di queste organizzazioni può avvenire solo a condizione che esistano idonei sistemi istituzionali di valorizzazione e promozione del terzo settore sia a livello nazionale che locale».
Come afferma bene Zamagni (2011), ne Il Libro Bianco sul Terzo Settore,:
all’approvazione della Riforma del Terzo Settore del 2016, che propone un rinnovamento delle funzioni e dei ruoli affidati ai soggetti ricompresi nella categoria non profit. Uno degli scopi della normativa di riforma è, appunto, quello di affermare un’identità organica del Terzo Settore, superando le divisioni e le dicotomie esistenti prima della sua approvazione. Per cui la classificazione qui proposta ha lo scopo di supportare l’analisi storica del Terzo Settore.
- 51 -
il Terzo Settore deve capire di essere a pieno titolo soggetto di sistema, non pensarsi con una logica vittimistica, come fosse una ruota di scorta rispetto ad altri: ma può influenzare la società contribuendo ad un miglior funzionamento di tutti i soggetti che a vario titolo intervengono nelle comunità.
Se il Terzo Settore è da considerare come un complesso di organizzazioni che si colloca in una posizione intermedia tra Stato e mercato con caratteristiche affini ad entrambi i settori ma non esattamente riconducibili all’uno e all’altro, se viene considerato un soggetto di sistema, allora è bene sottolineare una serie di caratteri che, seppur non in maniera definitiva e severa, definiscono gran parte delle OTS.
1. assenza dello scopo di lucro e perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale: abbiamo già ribadito il fatto che le OTS nascono sulla spinta di gruppi sociali che, autonomamente, decidono di interrogarsi sulla qualità della vita e di dare delle risposte sotto forma di prestazioni e servizi collettivi. L’assenza di lucro, che viene riportata come una, anzi la caratteristica fondamentale delle OTS, non significa che queste organizzazioni non possono avere profitti, ma il profitto non deve essere la finalità che ne giustifica la creazione. In ogni caso il profitto che potrebbe derivare dalle attività svolte viene reinvestito in altre attività e in nessun caso distribuito agli associati in forma di utili.
2. volontarietà nell’associarsi da parte dei componenti: nelle OTS i volontari sono considerati parte necessaria dello staff operativo, a differenza delle organizzazioni di mercato in cui la presenza dei volontari è considerata accessoria e in ogni caso la legislazione vieta la possibilità di collaborazioni gratuite a qualsiasi titolo. Nelle OTS, data la prevalenza dell’elemento personale su quello patrimoniale, i volontari sono impegnati in attività ispirate a principi mutualistici e solidaristici, con finalità psicologiche e/o relazionali che vanno dal sentirsi utili nella società, al bisogno di socializzazione, alla volontà di cambiare in meglio la società.
3. governance ispirata a democrazia e partecipazione: i principi guida delle organizzazioni stesse sono la democrazia e la partecipazione, che si traducono in uno spirito egualitario che permette a tutti di partecipare e prendere parte alle decisioni e alla vita dell’organizzazione (Colozzi, 1998: 111-114, Santillo, 2013: 638-639).
- 52 -
Le caratteristiche sopra elencate denotano una specificità di quello che comunemente chiamiamo Terzo Settore che si configura essenzialmente come un fenomeno sociale, che ha una radice relazionale, basandosi sulle relazioni, appunto, che le persone e i gruppi instaurano nella loro interazione.
Adottando la prospettiva sociologica di Donati (1998:15), il Terzo Settore appare come generatore di relazionalità, prima ancora di essere un fenomeno economico, culturale e politico. La seconda caratteristica peculiare del Terzo Settore, secondo il pensiero di Donati, è il fatto che esso produce beni relazionali. I beni relazionali hanno un propria specificità, in quanto sono beni sociali che non ricadono né sotto il dominio dello Stato né sotto il dominio del mercato. I beni prodotti dal Terzo Settore non sono pubblici perché non assomigliano agli altri beni collettivi nei confronti dei quali lo Stato ha potere di disposizione e non sono accessibili in modo universalistico allo stesso modo in cui lo Stato è tenuto a produrli e distribuirli; questi stessi beni non sono privati, poiché il soggetto proprietario non ha un pieno potere di disposizione per crearli e poterne fruire in maniera discrezionale. Possiamo affermare che i beni prodotti dal Terzo Settore hanno la caratteristica pubblica, in quanto sono creati per finalità sociali, e una caratteristica privata, in quanto sono gestiti da privati, ma vanno al di là di queste categorie, possiedono una vita propria perché possono essere generati solo attraverso la relazione sociale che si instaura tra i membri che possono godere di questi beni solo in minima parte, attraverso la compartecipazione. Ecco perché vengono chiamati beni relazionali, perché nessuno li produce da sé e anche il godimento non può essere individuale (ibidem: 16). Infine, il TS ha una sua particolare logica di sviluppo endogena che «consiste nella creazione di nuove forme di integrazione e solidarietà sociale fra dimensioni relazionali che si vanno differenziando entro un contesto di crescente complessità della società» (ibidem:17). Per poter sfruttare a pieno queste specificità nella comprensione del ruolo giocato dal Terzo Settore nelle nostre società, Donati utilizza lo schema AGIL17 (ibidem:17; 25-42) che guarda alla società come un
17 Lo schema AGIL è stato introdotto dalla sociologia funzionalista di Talcott Parsons e
successivamente ripreso da Donati nella sua teoria di sociologia relazionale. In base alla formulazione originale, ciascun sistema sociale, per garantire la sua stessa sopravvivenza, deve rispondere a quattro ordini di problemi legati alle quattro lettere dell’acronimo: la lettera A sta per funzione adattiva (adaptation) e indica l’adattamento appunto del sistema al contesto esterno e il relativo controllo in modo da garantire al sistema le risorse e i beni necessari per vivere. Per questo la funzione adattiva viene
- 53 -
sistema di sistemi in relazione tra di loro, ognuno dei quali persegue un proprio obiettivo. In base a questo ogni sistema sociale presenta quattro dimensioni: la dimensione economica (con riferimento ai mezzi utilizzati per accrescere la ricchezza utilizzando il metro dell’utilità); la dimensione politica (con riferimento agli scopi da perseguire tramite il potere); la dimensione normativa (con riferimento alle regole – giuridiche e sociali – che sovrintendono a un ordine sociale) e la dimensione culturale (con riferimento al sistema di valori e principi che orientano le azioni e i comportamenti