• Non ci sono risultati.

Social Innovation e Partnership pubblico-privato (PPP)

3.1. La prospettiva della Social Innovation

Negli ultimi anni stiamo assistendo a profonde trasformazioni circa il ruolo che i governi locali svolgono nella realizzazione delle politiche sociali. Come abbiamo già avuto modo di osservare, da una parte tutta l’Europa è interessata da spinte verso la localizzazione e regionalizzazione dei regimi di welfare, affidando agli enti locali le risorse e i poteri di gestione; dall’altra, però, i governi centrali sottraggono tali risorse alla dimensione locale, in virtù di un ridimensionamento e di una razionalizzazione efficiente, costringendoli a reperire le risorse in altro modo.21 La crisi che interessa i nostri giorni presenta scenari inediti, ma la sostanza rimane sempre la stessa, cioè l’esigenza di individuare «un nuovo equilibrio tra efficienza e crescita economica, tutela dei diritti e coesione sociale» (Ascoli, Sgritta, 2014: 499). Si è già discusso nel primo capitolo dell’attuale rischio per i nostri sistemi di welfare, invasi dalle logiche razionalizzatrici del paradigma neoliberista che impone tagli considerevoli delle politiche sociali in vista di una maggiore efficienza economica del sistema, con un investimento dello Stato a lungo termine sugli individui, spostando le responsabilità del successo delle politiche sugli stessi. È la prospettiva del social investment, che si propone l’obiettivo fondamentale di prestare attenzione ai nuovi bisogni sociali e puntare sulle politiche attive con il coinvolgimento della collettività interessata. È ovvio che la prospettiva del social investment richiede ingenti risorse – umane ed economiche

21

Questa doppia faccia della medaglia è particolarmente presente in Italia, laddove i Comuni non godono di autonomia impositiva e devono ricorrere agli oneri di urbanizzazione per reperire le risorse necessarie e coprire la spesa prevista per i servizi erogati.

- 85 -

– capaci di riorientare le politiche pubbliche verso strategie innovative e l’Italia, che presenta un welfare mediterraneo caratterizzato da una presenza ingombrante di familismo e una lunga tradizione di clientelismo, si trova in una posizione di inferiorità rispetto ad altri sistemi di welfare europei che da tempo hanno cominciato ad investire in questa nuova prospettiva. La questione cruciale, dunque, riguarda il delicato rapporto esistente tra innovazione e tradizione. È all’interno di questo scenario che si inserisce tutto il dibattito relativo alla social innovation.

Con l’avvento della crisi finanziaria, economica e sociale del 2008, il concetto si innovazione sociale entra nel linguaggio dell’Unione Europea come strumento cardine, in grado di «immaginare e valorizzare nuove esperienze e modelli per combattere le povertà e la vulnerabilità sociale, favorire l’inclusione sociale e per promuovere un nuovo tipo di sviluppo non solo per i cittadini ma insieme ai cittadini» (Maino, 2017:19). Quindi, l’innovazione sociale comporta cambiamenti nel prodotto e nei processi di quelle attività che mirano a migliorare la qualità della vita delle persone. Essa trova forza nella capacità delle persone di unirsi in reti significative (a cui partecipano istituzioni pubbliche, private e non profit) e di trovare una soluzione condivisa a problemi che interessano la maggior parte di loro, soprattutto in un momento di riduzione delle risorse come quello attuale. Questo sforzo produce anche l’effetto di accrescere l’empowerment della persona, ponendolo nella condizione di possedere strumenti e strategie di fronteggiamento di situazioni di difficoltà senza dipendere dall’assistenza pubblica e cadere in situazioni di cronicità (povertà o esclusione sociale).

L’innovazione sociale, dunque, «rafforza quindi la capacità di agire e reagire della società» (ibidem).

Parlando di social innovation, è opportuno fare una distinzione doverosa tra due termini – sperimentazione e innovazione - che potrebbero essere usati come sinonimi, ma che, nella realtà terminologica e operativa, sono una causa dell’altra. Le sperimentazioni, una volta riconosciute, discusse, collaudate e messe a sistema si trasformano in innovazioni, cioè delle novità di sistema che immettono interventi e servizi in forma continuativa.

- 86 -

Il discorso sulla Social Innovation approda nell’ambito europeo solo nel 2000, quando il Bepa (Bureau of European Policy Advisers) ne fornisce una definizione precisa, anche se non ufficialmente riconosciuta come la definizione UE:

Le innovazioni sono sociali sia in relazioni ai fini che ai mezzi. Si tratta di nuove idee (prodotti, servizi e modelli) che contemporaneamente soddisfano esigenze sociali (in modo più efficace delle alternative) e creano nuove relazioni sociali e collaborazioni. In altre parole sono innovazioni che non sono solo buone per la società ma migliorano anche la capacità della società di agire” (Bepa, 2010: 33).

Nel discorso scientifico relativo alla social innovation è necessario delimitare il campo di osservazione, e cercare di capire chi sono i soggetti coinvolti, che cosa si intende innovare e con quali risultati.

Con riguardo ai soggetti che possono essere coinvolti in un processo di innovazione sociale, a cooperare sono attori appartenenti ad arene diverse che tradizionalmente non hanno operato insieme. Il criterio guida è, infatti, quello secondo cui non conta l’origine ma la destinazione dell’innovazione, cioè agire per affrontare i bisogni sociali generando efficacia ed efficienza – in termini di risorse, partecipazione, costi – in modo innovativo (ibidem, 281). Come afferma bene Montinari (2008):

La molteplicità dei soggetti e la pluralità di relazioni che possono crearsi tra essi e con i soggetti espressione della sfera del mercato e dello Stato sembrano essere un ingrediente importante per creare un ambiente in grado di promuovere la sperimentazione e aumentare la capacità di rispondere ai bisogni emergenti in ambito sociale, ossia la capacità di innovare. […] l’innovazione prende le mosse da una particolare capacità di lettura della realtà, diversa rispetto alle letture esistenti, e in tal senso la molteplicità di posizioni e le occasioni di confronto costituiscono un terreno fertile e in grado di ampliare lo spazio delle sperimentazioni, aumentando dunque la probabilità di realizzare innovazioni sociali ed economiche (Montinari, 2008: 15-16).

In questo modo si assottigliano i confini che separavano le sfere del welfare pubblico, degli enti senza scopo di lucro, degli enti del privato for profit. Come afferma Maino (2017:22): «l’innovazione sociale non può quindi essere considerata solo uno strumento di cambiamento delle relazioni tra gli attori coinvolti nell’erogazione di servizi sociali; è piuttosto una fonte di trasformazione del sistema di welfare nel suo complesso».

Dopo aver passato in rassegna i soggetti coinvolti nell’agire innovativo, bisogna analizzarne i contenuti, cioè che cosa si intende innovare. Nella definizione proposta e

- 87 -

adottata in ambito europeo si fa riferimento all’innovazione di nuove idee sotto forma di prodotti, servizi e modelli; è proprio questo soffermarsi su prodotti, servizi e modelli che ci permette di affrontare una possibile tipologia delle diverse forme di innovazione sociale. Non è tanto l’immissione di nuovi prodotti o servizi che rende possibile un’innovazione sociale, quanto la possibilità degli stessi di raggiungere risultati certi, siano essi un miglioramento delle condizioni di vita dei destinatari di questi servizi, o un allargamento della platea dei destinatari a parità di costo o comunque attraverso un attento calcolo costi-benefici, o un aumento della produttività delle risorse impiegate; dunque innovazione sociale è tutto ciò che apporta un miglioramento quantitativo o qualitativo ai destinatari finali, gli utenti (Sgritta, 2017:283). Ovviamente in tutte queste forme di social innovation risulta fondamentale l’apporto della tecnologia che di per sé non è un elemento innovativo, ma va considerato in quanto sempre più importante in tutti i processi delle economie moderne.

Parlando di social innovation e in particolare dei contenuti della stessa, si possono mettere in luce diversi ambiti in cui questa viene utilizzata che gravitano intorno ad uno dei soggetti considerati fondamentali nelle nuove pratiche innovative, ovvero il Terzo Settore. Le OTS, visto il notevole e recente impulso che hanno avuto in Italia22, sono diventate le protagoniste degli attuali scenari di welfare e rappresentano il nodo cruciale di qualsivoglia attività che abbia come tema il sociale e gli interessi dei territori di cui sono rappresentanti. In questa prospettiva, Sgritta (2017:285-290) ci parla di innovazioni di settore, innovazioni di governance e innovazioni di advocacy, ognuna delle quali presenta caratteristiche specifiche.

Le innovazioni di settore, come suggerisce la definizione stessa, riguardano l’ambito in cui si esercita l’azione volontaria. Proprio perché al centro di questi processi si trova il settore, il volontariato è stato il principale protagonista di queste innovazioni e ha anticipato le risposte a problemi sociali emergenti (ci si riferisce al settore delle tossicodipendenze, dell’Hiv, dei senza fissa dimora). Sono questi settori molto spesso

22 L’Italia, per la prima volta, ha voluto affrontare in maniera organica il discorso relativo alle

organizzazioni di Terzo Settore e alla disciplina giuridica che le orientava nella loro attività, attraverso la legge 106/2016 recante “Delega al Governo per la riforma del Terzo Settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale”, divenuta operativa grazie ai decreti attuativi 112/2017 in materia di impresa sociale, 117/2017, istitutivo del Codice del Terzo Settore e 40/2017, che disciplina il servizio civile universale. Per un approfondimento della normativa si rimanda al capitolo secondo.

- 88 -

abbandonati dai servizi pubblici o scoperti solo in seguito a interventi del settore non profit. Dunque l’innovazione risiede, in questi casi, nell’intervento del volontariato in settori non coperti dai servizi pubblici. Ora le innovazioni di settore rendono necessarie due considerazioni. La prima è che si può parlare di innovazione solo all’inizio dell’intervento perché, quasi sempre, il settore di interesse viene gestito in maniera più adeguata ed efficiente dal servizio pubblico; quindi l’innovazione ha un tempo limitato, riguarda l’interesse dimostrato verso un determinato settore che prima non c’era e si connota essenzialmente per il suo carattere emergenziale. La seconda considerazione è che non c’è nulla di innovativo con riguardo a quelli che la Commissione Europea, nella sua definizione, ha definito prodotti, servizi o modelli, poiché si tratta di impiegare metodologie e strumenti esistenti in un settore in cui questi strumenti e metodologie non venivano impiegati prima.

Le altre due tipologie di innovazione sociale sono quelle di governance e di advocacy, l’una strettamente legata all’altra. L’innovazione di governance riguarda la divisione, o meglio condivisione, delle responsabilità di governo e gestione tra i diversi attori coinvolti ai vari livelli. In questo tipo di innovazioni non importa tanto il settore o i servizi che vengono erogati, quanto il sistema di relazioni che si vengono a creare tra le varie soggettività coinvolte. Questo tipo di innovazione sociale vede molto meno della prima l’intervento del settore non profit, poiché a volte la partecipazione delle OTS alle decisioni politiche si è tradotta in semplice consultazione e non in partecipazione alle attività di programmazione.

Fortemente legata a questa tipologia di innovazione è l’ultimo tipo, quella di advocacy; come richiama lo stesso termine, il volontariato e in generale il Terzo Settore non può limitarsi ad intervenire in situazioni di emergenza e a supplire le inefficienze di Stato e mercato, ma in qualche modo deve dar voce alle problematiche sociali che vengono vissute da chi voce non ha, cioè i destinatari finali degli interventi. L’innovazione di advocacy è legata indissolubilmente a quella di governance perché questo dar voce alle istanze dell’utenza dipende dal grado di coinvolgimento che gli OTS hanno nelle fasi di programmazione e progettazione degli interventi stessi (Sgritta, 2017: 285-290).

- 89 -

L’ultimo tassello da analizzare sono i risultati. I risultati dell’azione di innovazione sociale, come già sottolineato, riguardano il prodotto, quindi la natura dei servizi offerti, e il processo, quindi il percorso impiegato per arrivare al prodotto finale, fatto di risorse, persone impiegate, interazioni instaurate, interessi posti in gioco. L’attenzione al processo nell’innovazione sociale è giustificata dal fatto che tale processo si distingue da tutte le altre azioni sperimentali che possono essere poste in atto in quanto riesce a migliorare in maniera duratura la qualità della vita degli individui e della società.

La definizione sopra riportata sottolinea chiaramente che il risultato, oltre ad essere un prodotto innovativo, deve anche condurre a creare nuove relazioni sociali e collaborazioni: in questo modo si evidenzia l’importanza di produrre innovazione sociale utilizzando nuove forme di organizzazioni e relazioni tra gli attori coinvolti (Maino, 2017:22).

Dunque l’innovazione si definisce sociale con riferimento prioritario alla categoria di bisogni cui intende dare risposta e solo secondariamente in riferimento allo scopo del soggetto che la mette in pratica. Infatti, l’innovazione sociale si riferisce alla sapiente combinazione di interventi e servizi sociali destinati alla collettività che, dinnanzi alle nuove esigenze e ai nuovi rischi sociali, pretende sempre maggiori risposte che sappiano coniugare il loro essere utenti, portatori di un dato bisogno sociale, e la loro identità di cittadini e appartenenti ad un sistema culturale specifico. L’insoddisfazione sociale, o meglio la mancanza di risposte a determinati bisogni sociali definiti “nuovi”, rappresenta l’input per l’innovazione sociale: quando si verifica un distacco tra bisogno sociale e servizio offerto, lì si insinua l’agire autorganizzato di singoli e/o associati in maniera più o meno formale per dar vita a possibili e interessanti forme di partnership. Ogni attore, sia esso sociale o economico, è in grado di innovare singolarmente, ma il punto di forza è dato proprio da queste partnership che si possono creare tra soggetti appartenenti a diversi domini, che hanno anche l’opportunità di osservare il problema da angolature diverse, fornendo un’analisi completa della situazione e convergendo in una soluzione che si presenti il più possibile esaustiva al bisogno osservato.

Da questa premessa, tre sembrano essere gli elementi fondanti di un processo di innovazione sociale: a) generalmente esso si configura come un’ibridazione di elementi già esistenti; b) si presenta trasversale rispetto alle pratiche organizzative e gestionali

- 90 -

considerate convenzionali; c) è un mezzo per rafforzare i legami sociali e le relazioni tra i vari soggetti che, a vario titolo, contribuiscono a diffondere l’esito di tale processo (Montinari, 2008:25).

In questo scenario rappresentato, l’innovazione sociale rappresenta secondo Sgritta (2017):

l’annuncio che «altro è possibile», nella sostanza non meno che nella forma, per non rinunciare a contrastare le derive di un sistema di welfare sempre più in difficoltà nell’affrontare e dare risposte adeguate alle nuove esigenze di una società in rapido cambiamento. L’ipotesi è che si possa andare ben oltre nello «sfruttamento» dei giacimenti di solidarietà in capo a famiglie e comunità e nel recupero di capitali umani e sociali altrimenti sprecati o inutilizzati; mentre il messaggio implicito è che né lo Stato né il mercato, protagonisti pressoché assoluti della divisione del benessere nei «trenta gloriosi», siano più in grado di affrontare e farsi carico delle responsabilità e dei costi delle trasformazioni demografiche, economiche, sociali e culturali degli ultimi decenni (Sgritta, 2017: 280).

Maino (2017:24) individua quattro dimensioni che possono fungere da fattori facilitanti o da vincoli a seconda della prospettiva di riferimento. Il primo fattore riguarda il quadro legislativo di un Paese e del sistema di welfare: ci possono essere quadri legislativi più o meno favorevoli ad aprirsi all’innovazione sociale o, al contrario, arroccati al modello di welfare incentrato sul protagonismo dell’ente pubblico e delle sue risorse per attuare le politiche pubbliche.

Il secondo fattore riguarda i finanziamenti e le risorse esistenti: tanto maggiori sono le occasioni di incontro tra risorse pubbliche, degli enti non profit o degli enti privati, quanto maggiore sarà la possibilità di utilizzare queste risorse per attivare processi di innovazione sociale per servizi che il pubblico da solo non riesce ad attivare.

Il terzo fattore riguarda, invece, la struttura organizzativa in cui rientrano gli interessi, i ruoli e le responsabilità di tutti gli attori coinvolti nel processo. Abbiamo già sottolineato che l’innovazione sociale riguarda i processi e diventa virtuosa laddove vengono utilizzate forme di partnership tra i diversi attori che partecipano al processo, che siano favorevoli al cambiamento e a mettersi in gioco per creare una rete sinergica di relazioni. Secondo Maino (2017:24):

tanto più i sistemi di welfare e le organizzazioni sono intrappolate in regole e routine stratificate e consolidate (in alcuni casi anche esemplificatrici di successo della macchina amministrativa) tanto meno c’è spazio per l’innovazione. Viceversa sistemi caratterizzati da una bassa performance presentano “crepe” nel sistema che possono favorire aperture inattese e opportunità per affrontare le

- 91 -

nuove sfide con strumenti e modalità di azione nuove che facciano appunto perno sull’innovazione sociale.

L’ultimo fattore riguarda l’adozione di azioni di innovazione sociale che portino ai risultati attesi, ma che siano facilmente riconoscibili e replicabili, con una diffusione di sperimentazioni in grado da stimolare sempre maggiori attività e azioni di sistema.

Questa presentazione del tema dell’innovazione sociale ci fa comprendere come, nel nostro contesto caratterizzato dalla crisi dello stato sociale, i sistemi di welfare hanno bisogno di idee innovative in grado di favorire la trasformazione e l’adattamento alle nuove esigenze sociali ed evitare il collasso. In questo senso i sistemi di welfare devono reagire ed essere resilienti, cioè devono essere capaci di cogliere il cambiamento e trasformarlo in un’opportunità di crescita: la social innovation può essere utilizzato come uno strumento di policy in questa direzione, in modo da fornire in modo continuativo soluzioni efficaci a problemi sempre più pressanti. Come afferma Maino (2017:26):

la teoria della resilienza ha a che fare con il flusso continuo di sfide e fattori di crisi, processi di riorganizzazione, messa in campo di risposte, processi di sviluppo e crescita, consolidamento e di nuovo sfide. Ha sostanzialmente a che fare con la ricerca di un equilibrio tra continuità e cambiamento. Possiamo ipotizzare che i sistemi sociali si “servano” dell’innovazione sociale per accrescere la loro resilienza.

Per riuscire nell’arduo compito di innovare occorre innanzitutto riconoscere gli sforzi fatti verso la prospettiva di sperimentare nuovi modelli di intervento e nuove strategie di contrasto ai problemi sociali. Riconoscere vuol dire anche ascoltare la voce di chi, per un motivo o per un altro, si trova a vivere in prima persona tali bisogni (parliamo di utenti in prima persona o anche delle OTS che hanno la capacità di stare sui territori) nelle sedi e nei tempi opportuni. In questo senso, riconoscere e ascoltare significa un po’ incoraggiare, promuovere le sperimentazioni, condividere i successi ma anche i fallimenti, monitorare strada facendo l’intervento, ammettere di aver calcolato male tempi e risorse e cercare di far meglio. La teoria, purtroppo, si trova a dover fare i conti con la realtà in cui si sta sempre di più assottigliando, o meglio sta scomparendo, la capacità di ascolto non solo delle OTS impegnate in prima linea nell’analisi dei bisogni sociali, ma di tutta una serie di soggetti che ormai sono considerati parte integrante del

- 92 -

nostro regime di welfare (parliamo delle famiglie, dei gruppi di auto-mutuo aiuto, dei sindacati, delle organizzazioni a tutela dei cittadini e consumatori). È su questo fronte che si deve intervenire in primis, si deve recuperare la capacità della sfera politica di ascoltare e valutare le istanze provenienti dalla società civile e trasformarle in innovazioni in grado di fornire beni e servizi consoni alle richieste.

Ecco perché, come si affermava prima, la social innovation incoraggia il coinvolgimento degli stakeholder, per favorire la contaminazione tra elementi diversi, ugualmente interessanti e da cui trarre beneficio. Da questa contaminazione non può che derivare un prodotto nuovo, in grado di definire prassi operative e reti di intervento che possano fungere da stimolo per sperimentazioni future. Il rischio di fallire è sempre presente, ma dal fallimento si può trarre l’occasione per ideare nuove idee, progetti e per ricercare soluzioni che prima non erano previste.

- 93 -