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Efficacia/efficienza della partnership relativa al Progetto Homeless

Partnership pubblico-privato a Pisa: studio di caso sul Progetto Homeless

4.3. Studio di caso sul Progetto Homeless a Pisa: il disegno della ricerca

4.3.5. Efficacia/efficienza della partnership relativa al Progetto Homeless

L’ultima parte dell’intervista è stata dedicata alla realtà della partnership, nell’individuare punti di forza e di debolezza e nel fornire dei suggerimenti per migliorarne l’efficacia e l’efficienza. Le ultime domande, infatti, sono state poste in maniera molto personale, come una sorta di suggerimenti da dare ai due soggetti per poter seguire una traccia futura di azione condivisa.

Con riguardo ai punti di forza della partnership, i testimoni privilegiati hanno richiamato la sinergia che in questi vent’anni è stata creata da entrambi i soggetti; l’esperienza di co-progettazione e la volontà di tenere questa linea di lavoro fissa nell’esperienza del progetto ha rappresentato un potenziale in più per le attività svolte. Un altro punto di forza è sicuramente la volontà del soggetto pubblico di investire in un settore come quello della grave marginalità adulta in maniera continuativa, nonostante le resistenze che si rintracciano nell’opinione pubblica e nelle istituzioni. La continuità

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del progetto ha significato anche la volontà di fornire una risposta dovuta alle persone senza dimora, in risposta ad un diritto di civiltà, anche se non formalmente riconosciuto come livello essenziale.

Punto di forza in assoluto è il fatto che siamo nati co-progettando, ci siamo sviluppati sempre attorno a questo modello di progettazione condivisa. Non abbiamo mai avuto la necessità di adeguarci a direttive nate in contesti che non abbiamo coinvolto anche noi. Ovviamente il pubblico ha un punto di vista più ampio, di politica sul sistema, ma è altrettanto importante il punto di vista di chi lavora e mette a disposizione le proprio idee per la progettazione, perché il privato conosce il lavoro e il modo di lavorare. (Testimone n. 1)

Cito come prima cosa forse un elemento che si potrebbe dare per scontato, ma è quello di credere fino in fondo nella volontà di offrire delle risposte basate sui diritti delle persone. sia noi come ente gestore sia il committente abbiamo scritto un patto non formalizzato, ma che aveva come assunto di base quello che si stava dando una risposta dovuta che poi nella realtà italiana non è, perché questi livelli non sono Livelli essenziali delle prestazioni; in realtà offrire protezione a questa fascia di popolazione così esposta è un fatto di civiltà, attiene alla sfera dei diritti non esigibili ma reali delle persone. Quindi la consapevolezza che su questo non si potesse fare un passo indietro, che fosse un progetto a cui dare continuità […]Per cui l’idea che al centro ci fosse la persona e la comunità, il fatto che si investisse sulla persona ma anche su una volontà di non relegare a circuiti solo assistenziali e totalmente sganciata dalla vita ordinaria dei cittadini questo tipo di mondi (Testimone n. 3)

Con riguardo ai punti di debolezza, si avverte un cambiamento degli scenari di azione, soprattutto in riferimento ai rapporti tra i due soggetti: banalmente i rapporti si consolidano, le attività aumentano di numero e diminuiscono le occasioni di incontro. Il progetto ha bisogno di un continuo scambio di idee: se lasciato a sé stesso può rischiare di adagiarsi e rimanere alla logica emergenziale.

[…]Un punto di debolezza è che se il progetto lo lasci, non ci lavori sopra, come tutte le cose tende a diventare in certi casi disfunzionale rispetto ai bisogni. È un progetto che è riuscito sempre a dare una risposta, se ti distrai resti indietro. (Testimone n. 2)

Negli ultimi anni, rispetto alla fase di avvio del progetto, sono diventate meno intense le occasioni di confronto che nella prima fase erano molto frequenti. Ora sono diventate più spalmate nel tempo, anche perché è cresciuto molto il numero degli interventi sul versante socio-sanitario, sono cresciute le competenze della SdS, sono stati attivati nuovi progetti, le persone di riferimento sono sempre quelle che devono dividersi su più fronti. Questo un minimo di impatto lo provoca, perché più sono frequenti le occasioni di confronto meglio si riesce a lavorare; quindi ritornare ai ritmi di qualche anno fa sicuramente ci aiuterebbe ad ottenere risultati migliori che ora fatichiamo ad ottenere rispetto al passato, banalmente perché è più difficile incontrarci. Continuano ad esserci occasioni di incontro, però rispetto ala fase di avvio centrale sicuramente sono diminuite. Quindi una delle cose importanti da fare è provare a ritornare alla stagione in cui c’era un certo fermento. (Testimone n.1)

Un consiglio importante da dover seguire per migliorare l’efficacia e l’efficienza del servizio riguarda il conferimento di una valenza scientifica al lavoro svolto: i dati raccolti, le attività svolte, i numeri delle persone accolte, le risorse investite dovrebbero

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essere studiati e analizzati per fornire una base per migliorare il lavoro futuro e garantire sempre maggiori tutele per i destinatari finali.

quello che non abbiamo mai realmente fatto è dare una valenza scientifica all’esperienza che veniva condotta: non ci sono pubblicazioni, articoli, libri. Questo credo sia un grosso limite per un progetto come quello pisano che in realtà di innovazione ne ha fatta tanta. Siamo stati talmente impegnati nel lavorare che poi non abbiamo costruito quel sistema di lettura e analisi, quel comitato scientifico che ci serviva a osservarci meglio. Quello che è l’elemento di maggior criticità che bisognerebbe superare è questa incapacità nostra di, essendo assorbiti dalla gestione quotidiana, astrarci un attimo e rileggerci. (Testimone n. 2)

La capacità di astrarsi e vedersi con un’ottica critica rispetto al lavoro svolto dovrebbe interessare anche il versante degli operatori che hanno bisogno sempre di continui stimoli per osare nelle sperimentazioni di nuovi servizi da offrire per il raggiungimento dell’obiettivo dell’autonomia; inoltre molti operatori sono sottoposti ad uno stress da lavoro non indifferente nell’ambito di questi servizi, per cui c’è bisogno di un cambio generazionale, di energie fresche da impiegare in prima linea e operatori con esperienza da impiegare nel settore della progettazione.

[…]Si lavora meglio se si riesce a leggere quello che si fa e se lo si riesce a contestualizzare, lo facciamo bene come lavoro di equipe, un po’ meno come lettura di insieme. Tendenzialmente è mancato questo aspetto di analisi. Se poi si riesce a concentrare parte dell’energia e delle risorse in qualcosa di nuovo che si presenta come una sfida, viene anche più voglia: provare strade nuove, tentare, coinvolgere, allargare la partnership… bisogna un po’ sfidarsi e guardare nuovi orizzonti: con l’Housing First si vuole intraprendere questa via. (Testimone n.2)

Bisognerebbe intensificare le occasioni di confronto. C’è anche un tema da sottoporre alla nostra attenzione che riguarda l’età media dei nostri operatori, perché è chiaro che è un lavoro che comporta una certa fatica dal punto di vista emotivo. Ci sono operatori che ormai hanno parecchi anni di esperienza, e questa esperienza sarebbe bene riuscire a spenderla in maniera positiva sul versante del governo del progetto, portando all’inserimento di energie fresche sul versante operativo. (Testimone n. 1)

- 143 - 4.4. Prospettive e scenari futuri

Siamo arrivati al punto finale del nostro studio di caso ed è necessario tirare le somme sui risultati ottenuti. Le interviste effettuate e le notizie reperite sul Progetto Homeless offrono gli spunti per poter riflettere sull’argomento.

In definitiva il rapporto di partenariato che costituisce la base del Progetto Homeless rappresenta sicuramente una buona pratica da seguire e un modo innovativo di pensare la progettazione di questo tipo di servizio. La divisione dei ruoli e delle responsabilità all’interno della partnership è ben visibile, con il giusto grado di commistione tra i due soggetti che permette un dialogo continuo e che stimola al cambiamento di alcuni aspetti che si rivelano problematici (un esempio è costituito dall’attività di mediazione con il territorio non progettata fin dall’inizio ma intervenuta successivamente alla fase di avvio del progetto). Da questo punto di vista, il Progetto Homeless di Pisa è sicuramente uno degli esempi più interessanti che si possono rintracciare sul territorio nazionale, per la compresenza di tanti moduli di attività (Centro diurno, sportello di ascolto, punto PAAS) e per il lavoro di integrazione portato avanti con il territorio e con tutti i servizi. Il progetto nasce incardinato in una rete di servizi che permettono la realizzazione di molte attività (il rapporto solidale con il Pronto Soccorso, con la dimissione programmata dall’Azienda ospedaliera, con i servizi di salute mentale): sono tutti moduli attivati grazie all’apporto e supporto del soggetto pubblico che ha costruito un sistema che consente anche alla persona senza dimora di poter usufruire dei servizi territoriali.

Progetto Homeless a Pisa, oltre ad essere considerato un esempio di PPP, può anche essere ricondotto al paradigma della Social Innovation: l’innovazione sociale si è avuta con riguardo all’anticipazione di una modalità operativa, quella della co-progettazione, in un momento legislativo italiano contraddistinto ancora dalla fragilità delle politiche socio-assistenziali e da una ripartizione delle competenze a diversi livelli. Dunque c’è stata la volontà di progettare insieme un servizio necessario e di progettarlo in modo da renderlo efficace per i destinatari ultimi, le persone senza dimora, con tutti i limiti che un servizio di questo tipo può avere: è efficace dal punto di vista delle presenze in struttura, delle modalità di lavoro e del clima lavorativo, dei rapporti instaurati tra i vari

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soggetti promotori, ma perde di efficacia rispetto a quello che è il vero obiettivo, cioè promuovere percorsi di uscita. Osservato da questo versante il progetto ha gli stessi difetti che hanno tutti i servizi di questa natura, cioè non riesce da solo a fare quel salto di qualità, che porti le persone ad uscire dal ciclo dell’assistenzialismo e dall’ottica della tempestività dell’intervento. Da qualche anno a Pisa, come in altre zone di Italia, si sta sperimentando il progetto Housing First37 che si pone come obiettivo proprio la promozione dell’autonomia delle persone un tempo in strada, con un percorso mirato di reinserimento sociale e tutela dei diritti.

I risultati derivati da questa ricerca dunque coincidono con quanto discusso e affrontato nei precedenti capitoli: le trasformazioni in atto negli attuali scenari delle politiche sociali mettono a dura prova i servizi e le attività finora implementate per il versante del contrasto alla grave marginalità adulta, poiché paradossalmente aumentano le richieste e diminuiscono le risorse. In particolare, i servizi destinati alle persone senza dimora stanno vivendo un periodo di messa alla prova, dovuto al peso dell’opinione pubblica che si dimostra ancora restia a sostenere la necessità di attività da destinare a questa fascia di popolazione e al tema della sicurezza pubblica che incalza sempre di più in tutti i programmi politici e nelle scelte amministrative (un esempio è rappresentato dal daspo urbano38).

In questo scenario, Pisa e il Progetto Homeless rappresentano una voce fuori dal coro. Nato come partnership pubblico-privato e portato avanti con questa collaborazione, Progetto Homeless ha saputo unire la realtà dei senza dimora, offrendo un sistema di servizi ad hoc, alla realtà cittadina, grazie ad una sapiente attività di mediazione con il territorio che facesse avvicinare i cittadini alle attività realizzate all’interno dell’asilo notturno, con un impatto positivo sul quartiere e sulla città. Questo rapporto virtuoso tra soggetto pubblico e soggetto privato ha contribuito a dare stabilità

37 Per un approfondimento della sperimentazione in atto si rimanda al secondo paragrafo del capitolo. 38

Il daspo urbano è una misura contenuta nel decreto legge che ha come obiettivo migliorare la sicurezza urbana. In particolare, è finalizzato a infliggere una sanzione amministrativa da 100 a 300 euro e un ordine di allontanamento a chiunque venga trovato in stato di ubriachezza, compie atti contrari all’ordine e alla decenza pubblica, esercita il commercio abusivo o l’attività di parcheggiatore abusivo. La misura si applica anche a coloro che, per diverse ragioni, impediscono la fruizione degli spazi in prossimità di stazioni ferroviarie, aeroporti, trasporto pubblico urbano ed extraurbano. I provvedimenti vengono adottati dai sindaci dei comuni interessati e il ricavo delle sanzioni verrà utilizzato per i recupero del degrado ambientale.

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al progetto e a presentarlo come necessità a tutte le amministrazioni comunali succedutesi nel tempo, che non hanno mai messo in dubbio la necessità della presenza del servizio sul territorio e la volontà di continuare a mantenerlo in vita, nonostante i tagli alle risorse e alle attività. Questa fiducia ha permesso al progetto di fortificarsi sul territorio e di osare delle sperimentazioni approvate con grande entusiasmo (vedi progetto Housing First), il tutto nella piena consapevolezza di mantenere forte la tutela delle persone senza fissa dimora e di promuoverne il diritto di cittadinanza.

Una nota di contrasto rispetto alla buona riuscita del progetto è rappresentata dalla preoccupazione di quello che accadrà: gli scenari stanno cambiando rapidamente, non solo in riferimento al colore politico di chi potrebbe governare, ma anche al fatto che stanno attecchendo sempre di più nella testa delle coalizioni che hanno sostenuto questo tipo di interventi altre idee. C’è la convinzione che questi servizi spaventino i cittadini già scossi dal problema della sicurezza e questo porta Pisa lontano dalla tradizione di accoglienza che ha sempre avuto. Questo è il segno di un cambiamento importante, e quello che preoccupa sono le conseguenze di questo mutato atteggiamento da parte della politica e anche dei cittadini, perché la politica è spesso espressione di quello che il cittadino manifesta. Il tema della sicurezza rimane sempre un interrogativo pressante nella gestione quotidiana di chi lavora in strada o in struttura; sono servizi che hanno un impatto sull’opinione pubblica critico, perché sotto gli occhi del cittadino italiano, e pisano in questo caso, questi sono servizi che in qualche modo rischiano di sottrarre risorse a bisogni riconosciuti e più importanti. Pisa finora ha avuto un certo coraggio, mettendo a disposizione del progetto strutture e risorse importanti.

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Conclusioni

Questo lavoro ha l’ambizione di rappresentare un punto di partenza per una discussione sul tema delle partnership pubblico-privato, quali nuovi strumenti di governance per la programmazione e implementazione delle politiche sociali, offrendo all’attenzione dei lettori un esempio pratico di come impostare un servizio tramite un rapporto di partenariato pubblico-privato.

Il tema delle partnership pubblico-privato è entrato nel vocabolario delle politiche sociali in tempi recenti, ma ha fin da subito saputo conquistarsi un posto di rilievo.

La progressiva inadeguatezza dei sistemi di welfare e l’insostenibilità degli stessi sono apparsi sempre più evidenti. Come ampiamente discusso nel primo capitolo, in una situazione di profondi cambiamenti è stato utile avviare un processo di modernizzazione per rispondere alla crisi. I sistemi di welfare europei hanno avuto bisogno dell’uso di nuovi strumenti sotto forma di investimenti sociali e la creazione di sinergie tra settore pubblico e privato.

In particolare, si è provveduti a coinvolgere i soggetti del Terzo Settore nelle fasi di programmazione, gestione ed erogazione di servizi e prestazioni più efficaci ed efficienti, con la conseguente ridefinizione del ruolo dello Stato e il passaggio dal government a modelli di governance caratterizzati dalla pluralità di stakeholder. In questo clima di profondi mutamenti e nuovi ruoli, l’Italia ha avvertito la necessità di riformare l’impianto del Terzo Settore tramite una legge di riforma che potesse ricomprendere sotto un unico corpus i vari organismi non profit e fornire unicità e organicità nei rispettivi ambiti di intervento. Il sistema multi-livello e multi-attore delineato si porta dietro l’esigenza di riuscire a disciplinare in maniera organica questa materia non solo per arrivare ad una riaffermazione dell’identità del Terzo Settore proprio per la pluralità che esso presenta, ma anche per un’esigenza di democrazia, che il nuovo sistema deve essere in grado di assicurare.

Le trasformazioni dei sistemi di welfare e del Terzo Settore si inseriscono nel dibattito, promosso a livello europeo, sulla social innovation, che incoraggia il

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coinvolgimento degli stakeholder, per favorire la contaminazione tra elementi diversi, ugualmente interessanti e da cui trarre beneficio. Da questa contaminazione non può che derivare un prodotto nuovo, in grado di definire prassi operative e reti di intervento che possano fungere da stimolo per sperimentazioni future. Il rischio di fallire è sempre presente, ma dal fallimento si può trarre l’occasione per ideare nuove idee, progetti e per ricercare soluzioni che prima non erano previste.

In quest’ottica di cambiamento, le partnership pubblico-privato rappresentano la strada più adeguata e lo strumento migliore per promuovere nuovi modelli di organizzazione e programmazione di servizi e attività considerate innovative.

Un esempio è certamente rappresentato dal Progetto Homeless, che nasce e si sviluppa come partnership pubblico-privato e deve proprio a questa forma di organizzazione il suo successo. All’interno del Progetto Homeless il rapporto tra i due partner è orizzontale, di parità appunto, con momenti di co-progettazione che riguardano linee progettuali, risorse da impiegare, attività da sperimentare. Il rapporto di partenariato che costituisce la base del Progetto Homeless rappresenta sicuramente una buona pratica da seguire e un modo innovativo di pensare la progettazione di questo tipo di servizio.

I risultati derivati dallo studio di caso condotto sul Progetto Homeless testimoniano come sia necessario pensare ai servizi offerti in rapporto ai cambiamenti che si stanno verificando nei nostri territori; Pisa ha avuto il coraggio di farlo, interrogandosi su cosa bisognasse fare sul versante della grave marginalità adulta e sul come bisognasse intervenire per un dialogo con il territorio. Questo rapporto virtuoso tra soggetto pubblico e soggetto privato ha contribuito a dare stabilità al progetto, a non metterne in dubbio la necessità della presenza sul territorio e a continuare a mantenerlo in vita, nonostante i tagli alle risorse e alle attività.

Ovviamente il lavoro presentato non vuole essere un punto di arrivo, anzi rappresenta uno stimolo per poter continuare a osservare e descrivere realtà nuove e diverse che, sulla base dell’esempio fornito da chi ha già sperimentato un servizio innovativo, auspichiamo possano proliferare in tutti i campi delle politiche pubbliche.

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