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Social Innovation e Partnership pubblico-privato (PPP)

3.3. PPP: strumentalizzazione o tentativo di cooperazione?

Come abbiamo appena visto da questa sintetica presentazione, la PPP rappresenta uno strumento di gestione ampiamente utilizzato, considerato addirittura come la panacea per un insieme di problemi che negli ultimi decenni avevano contraddistinto il dibattito sulle amministrazioni pubbliche, a partire dalla mancanza dei finanziamenti in seno alle politiche pubbliche, ai limiti fiscali e di bilancio imposti dal patto europeo, fino ad arrivare alla difficoltà di progettare servizi di pubblica utilità. Le PPP rappresentano una delle manifestazioni più innovative del principio di sussidiarietà orizzontale prospettato della nostra Costituzione , espressione del passaggio da un sistema caratterizzato dal cosiddetto “mutuo accomodamento” fondato su particolarismo e clientelismo politico, ad un sistema che cerca di coniugare spinta competitiva e logica partecipativa (Ranci, 2017: 86). Gli aspetti che storicamente hanno contraddistinto il sistema di partnership pubblico-privato italiano sono tre e sono ben descritti da Ranci:

in primo luogo, il ruolo dello Stato nel sostegno finanziario alle organizzazioni che forniscono servizi sociali, anche se fondamentale per la loro attività, è stato nel complesso più limitato rispetto a quello presente negli altri Paesi europei continentali. In secondo luogo, la partnership è stata caratterizzata da un elevato livello di differenziazione e localismo, ed è stata regolata attraverso un peculiare mix di strumenti di governo di tipo coercitivo e negoziale. In terzo luogo, il sistema è stato tradizionalmente caratterizzato da una scarsa indipendenza politica delle organizzazioni volontarie e dalla loro scarsa capacità di influenzare le politiche sociali dei governi nazionali, regionali e locali (Ranci, 2017: 94).

Sotto questo punto di vista, l’impiego delle PPP rappresenterebbe una chance per realizzare dei servizi di pubblica utilità, raggiungendo l’obiettivo di apportare effetti positivi ai bilanci delle pubbliche amministrazioni. La PPP rappresenterebbe, quindi, un efficace rimedio per superare situazioni di stallo relative a vincoli di bilancio e di spesa imposti, impedire di ricorrere al debito pubblico dal momento che anche il privato investe la propria quota di risorse economiche nella realizzazione del progetto. Il coinvolgimento del partner privato determina risparmi economici per l’implementazione del progetto/servizio e, allo stesso tempo, il partner privato trae beneficio dalla partnership con la pubblica amministrazione investendo in un rapporto paritario, partecipando al processo decisionale (Bonfanti, 2016:4).

Osservata da questa prospettiva, la PPP non sembrerebbe essere quindi uno strumento di legittimazione dei rapporti pubblico-privato, ma uno strumento di

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sfruttamento delle risorse economiche del partner privato nei confronti di un’amministrazione pubblica in ristrettezze economiche e ampie falle nel programma sociale da adempiere. Gli ultimi due decenni, però, hanno rappresentato un momento di rinascita nel rapporto relazionale tra privato non profit e istituzioni pubbliche, tanto da innescare tre gradi cambiamenti rispetto alla situazione prospettata in precedenza (Ranci, 2017).

Il primo grande cambiamento riguarda una sempre maggiore attribuzione di un ruolo pubblico al Terzo Settore nel policy making. Come già molte volte sottolineato, la strada è stata spianata dalla legge 328/2000 che ha riconosciuto la natura mista del welfare italiano attribuendo uno specifico ruolo al Terzo Settore nella programmazione degli interventi e servizi sociali, e sembra essere completata dall’attuale legge 106/2016 e i suoi decreti attuativi che hanno accompagnato e reso possibile il processo di riforma del Terzo Settore, divenuto ormai materia organica e appositamente disciplinata dal suo Codice.

Il secondo grande cambiamento riguarda l’introduzione di meccanismi di concorrenza nell’esternalizzazione dei servizi nei confronti di soggetti terzi. Il vecchio sistema del “mutuo accomodamento” è stato scoraggiato dall’introduzione dei nuovi meccanismi portati dal NPM tra cui il rispetto del requisito di trasparenza nella gestione delle gare d’appalto, procedure di controllo amministrativo e di rendicontazione, assunzione di responsabilità da parte dei fornitori di servizi per conto dell’amministrazione pubblica. Tutto questo per garantire una certa qualità dei servizi offerti e tutelare il destinatario ultimo del prodotto finito, ossia il cittadino/utente.

Il terzo, ed ultimo, grande cambiamento riguarda la creazione di nuove forme di coordinamento tra organizzazioni di Terzo Settore e istituzioni pubbliche, attraverso il coinvolgimento del settore privato nella presa di decisioni inerenti la pianificazione e progettazione degli interventi, così come prospettato dalla normativa nazionale. Questo nuovo modo di collaborare ha reso più efficace l’individuazione degli obiettivi da perseguire, nonché le risorse da allocare, rendendo possibile un processo di pianificazione congiunta e la possibilità per il Terzo Settore di partecipare in maniera attiva, assumendosi rischi e responsabilità (ibidem, 100-104).

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Se questo è, in qualche modo, lo scenario attuale di maggiore propositività nel campo delle collaborazioni tra i due settori, è altrettanto importante mettere in evidenza alcuni “campanelli d’allarme” delle partnership pubblico-privato, perché è vero che questa modalità sta avendo successo e continuerà ad averne sempre di più, ma è anche vero che accanto alle opportunità si presentano anche dei problemi che possono essere riassunti in tre punti (Guidi, 2011; Bonfanti, 2016).

La prima questione riguarda la distribuzione delle responsabilità dentro la partnership. Quando un sistema di welfare è a dominanza pubblica, allora la responsabilità è da attribuire chiaramente al pubblico; ma adesso con un sistema costituito da un governo che assume un ruolo pubblico, un protagonismo del privato non profit e un ruolo crescente degli utenti che si cercano di responsabilizzare nei confronti della loro situazione, le responsabilità del caso in che modo vengono ripartite? L’impressione è che la forma della partnership abbia assistito ad un percorso di deresponsabilizzazione del pubblico in molti casi e di responsabilizzazione sempre più verso il basso, verso l’utente. La partnership è sicuramente uno strumento alternativo e partecipativo rispetto al primato dell’istituzione pubblica e certamente rientra nel paradigma della governance ampiamente auspicato per un cambio di rotta della gestione delle politiche. Spesso, però, l’appello alla partecipazione risulta giustificativo, se non addirittura restrittivo, di spazi e poteri concessi alla cittadinanza, perché la partnership il più delle volte rappresenta una élite di soggetti e la comunità finisce per identificarsi con una stretta cerchia di persone selezionate sulla base degli interessi che possiedono le personalità sedute intorno al tavolo delle trattative pubbliche; per cui le istanze dei soggetti più deboli tendono a rimanere inascoltate (Bifulco, de Leonardis, 2002). Pensando ai limiti della partecipazione balza alla mente anche il tema delle limitate competenze tecniche dei cittadini: molti di loro non hanno dimestichezza con gli argomenti affrontati nelle partnership, per cui queste dovrebbero aprirsi al “sapere cittadino” e renderlo partecipativo al processo (ibidem).

La seconda questione riguarda il riconoscimento delle identità degli attori nella partnership, cioè in che modo vengono riconosciute le identità dei soggetti che giocano. Osservando si può notare che alcune partnership nascono su stimolo dell’ente locale che coinvolge il privato sociale e viceversa; ci possono essere partnership verticali, basate

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su una scala multilivello, e partnership orizzontali che nascono in un territorio, in un quartiere, in una città. Ancora differenti possono essere i livelli di delega tra i vari soggetti: alcune partnership possono affidare al privato solo funzioni di governo altre anche poteri nella predisposizione dei programmi. Infine può variare la densità delle relazioni reciproche tra i diversi attori, con un maggiore coinvolgimento dei cittadini destinatari dell’intervento o un minore coinvolgimento, a seconda dei casi. In tutti questi casi si osserva che a volte, quando è il pubblico che coinvolge il privato, il coinvolgimento viene pensato e agito considerando il privato come un fornitore di manodopera più o meno a basso costo e a propria disponibilità. Se questo è il riconoscimento di identità del Terzo Settore che il pubblico promuove, non abbiamo i fondamentali per costruire una partnership virtuosa, forse non è nemmeno una partnership, è un acquisto di manodopera più o meno legale. Viceversa, quando è il privato non profit a coinvolgere nelle partnership il pubblico, in questo caso è il privato che stenta a riconoscere i vincoli in cui il pubblico si muove e stenta a riconoscere che quei vincoli sono il segno dell’inerzia dei processi. Quindi perché le partnership siano virtuose bisogna lavorare sul riconoscimento delle identità specifiche di ogni soggetto che è all’interno di essa. Solo in questo modo la partnership diventa una relazione intersettoriale, in cui ogni attore apporta il proprio contributo cosicché l’intero diventa un qualcosa di più e di diverso dalla somma delle sue parti. Brinkerhoff (2011) riconosce due elementi fondamentali in ogni partnership: mutualità e identità organizzativa. La mutualità si riferisce all’impegno per un obiettivo condiviso, nella misura in cui i partner operano nello spirito di un controllo e responsabilità condivisi. Dunque la mutualità si riferisce ad una dipendenza reciproca e a un grado di uguaglianza tra i diversi soggetti, tralasciando le dinamiche di dominio di un partner su un altro. Tutto questo serve a migliorare le prestazioni, a riconoscere uguali diritti e responsabilità e a raggiungere in maniera più efficace ed efficiente gli obiettivi prestabiliti. L’identità organizzativa, invece, dipende dal singolo apporto che ogni partner darà all’organizzazione generale; questo perché il mantenimento dell’identità di un’organizzazione dipende in prima istanza dall’adesione ai principi e agli scopi per i quali l’organizzazione è nata, ma anche dal rispetto del settore e dei principi organizzativi di ogni singolo partner.

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La terza questione riguarda i fondamentali, cioè la partnership pubblico-privato nello spazio e nel tempo. Lo strumento delle PPP può essere usato in una scala più ampia, con partner autorevoli e progetti molto più ampi, ma può essere impiegato anche nella piccola scala, a livello locale. Ovviamente, in una dimensione a cascata, il livello più alto condizionerà il livello più basso. Anche il tema del tempo sembra offrire un’importante chiave di lettura: si ha come l’impressione che molte partnership lavorino costantemente sotto un’ottica della temporaneità dell’intervento e dell’emergenza. Questo è un grosso problema perché avere orizzonti temporali di medio-breve termine nella progettazione di interventi sociali nei confronti di chi sperimenta dei deficit di capacità grossi è abbastanza problematico. Affrontare la sfida dello spazio e del tempo significa ritagliare all’interno delle pratiche di programmazione sociale, un posto alle partnership pubblico-privato, siano esse top-down, cioè richieste dal livello più alto, o bottom-up, cioè formare su iniziativa di cittadini o organizzazioni non profit/private. Questa promozione rientra perfettamente nella logica della partecipazione e inclusione di tutto e tutti nei processi di innovazione descritti sopra.

Il rilievo dato a questi campanelli d’allarme non ha, sia beninteso, lo scopo di depotenziare questo strumento, ma serve a renderci più consapevoli su come fortificare nuove pratiche di PPP, per aumentarne l’impiego sociale. Interrogarsi su queste problematiche e su queste “ferite aperte” nel discorso sulle PPP offre senza ombra di dubbio uno spazio significativo di riflessione verso margini di miglioramento, con la consapevolezza di apportare un vantaggio ad una quota di popolazione a cui si devono delle risposte. In accordo con questa sfida sembra essere Maino (2017:33), quando afferma che:

In quest’ottica le partnership locali tra attori pubblici e privati appaiono la strada più adeguata per sostenere i tentativi di risposta alle domande non adeguatamente coperte dall’offerta standard di politiche e/o possono essere finalizzate all’individuazione di nuovi modelli di regolazione e produzione di beni pubblici in grado di fronteggiare meglio i problemi legati all’implementazione delle politiche.

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Capitolo IV

Partnership pubblico-privato a Pisa: