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Terzo Settore: nuovi scenari in Italia

2.4. La Riforma del Terzo Settore in Italia: cosa cambia?

Dopo aver affrontato la questione relativa a che cosa è il Terzo Settore e qual è il ruolo che gli viene attribuito nello scenario sociale, è opportuno puntare l’attenzione sullo stato attuale delle cose, e cioè sul percorso legislativo che ha portato, in Italia, a discutere di Terzo Settore per la prima volta in maniera organica e olistica, attuando la tanto auspicata Riforma del Terzo Settore. Quando si pensa ad un’Italia moderna, capace di affrontare le sfide dei nuovi mercati e delle nuove categorie della democrazia che siamo chiamati a declinare, niente come il Terzo Settore può essere in grado di avviare un welfare state moderno, che veda la partecipazione di cittadini attivi in grado di dare un contributo vero per l’ammodernamento del nostro Paese.

La Riforma del Terzo Settore è, dunque, il risultato di una presa di coscienza relativa al fatto che le condizioni attuali dello Stato del benessere italiano si trovano in un punto di non ritorno al passato, ma anzi di spinta verso l’innovazione che vede nuovi strumenti e nuovi attori impegnati in questa mission; per fare questo si sentiva l’esigenza di porre chiarezza in questi scenari nuovi e di regolamentarli per produrre l’effetto desiderato. Il processo legislativo legato alla riforma ha preso in considerazione due elementi di forza:

1. l’indispensabilità del Terzo Settore: siamo di fronte ad una rete di estrema ricchezza per la capacità di collaborare sinergicamente con l’ente locale per migliorare la qualità dei servizi offerti e senza la quale molti servizi e prestazioni forse non esisterebbero;

2. la crescita del Terzo Settore come motore di sviluppo economico: la realtà del settore non profit è cresciuta tanto dal punto di vista quantitativo delle associazioni presenti sul nostro territorio, quanto dal punto di vista delle persone, siano esse volontari o dipendenti, che lavorano in esse. Questo comporta un impegno e la creazione di uno spazio che diventa importante anche per la dimensione economica promossa.

Dunque, il Terzo Settore nel nostro Paese rappresenta un interlocutore importante non solo da un punto di vista della quantità dei soggetti che fanno parte di questo mondo, ma anche da un punto di vista della capacità e possibilità di esprimere anche

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aspetti di carattere innovativo e sperimentale rispetto al normale sistema di erogazione delle prestazioni e servizi.

L’eterogeneità del mondo del Terzo Settore ha reso necessaria, da parte del Parlamento, l’approvazione di una legge che introducesse delle regole che rispondessero a esigenze di chiarezza ma anche di rigore nei confronti di un settore che presenta problemi e difficoltà, per individuare in maniera chiara e precisa ruoli e funzioni all’interno del sistema di servizi. Le forme di rapporti tra il Terzo Settore e gli enti locali in questi anni si sono significativamente evolute ed hanno contribuito a far sì che, accanto alla classica committenza, si sviluppassero forme di programmazione e progettazione partecipata che già ponevano il Terzo Settore fuori dal ruolo di semplice erogatore. Si è già discusso del ruolo del Terzo Settore nel processo di cambiamento del welfare state: dagli anni 90 in poi si è verificato un cambio di rotta, in quanto il Terzo Settore, da semplice erogatore di servizi, dopo l’approvazione della legge 328/2000 e poi del D.P.C.M. 200120, si trasforma in soggetto concorrente insieme alla Pubblica Amministrazione al raggiungimento dello stato di benessere, con l’introduzione di un sistema integrato di interventi e servizi sociali da realizzarsi mediante politiche e prestazioni coordinate nei diversi settori della vita sociale, integrando servizi alla persona e al nucleo familiare con eventuali misure economiche, e mediante la definizione di percorsi attivi volti a ottimizzare l’efficacia delle risorse e a impedire sovrapposizioni di competenze e settorializzazione delle risposte.

Abbiamo già avuto modo di definire il welfare come un sistema di relazioni costruite attraverso l’interazione tra più soggetti. Questa interazione fa sì che la modalità di esercizio del potere venga definita come governance, cioè un sistema orizzontale che coinvolge più soggetti nel realizzare il bene comune. La scelta di coinvolgere il Terzo Settore deriva dalle finalità intrinseche di questa realtà, dalla mission che è quella di realizzare delle attività che sono tese a migliorare la condizione di terzi per il raggiungimento del benessere dell’individuo. Il Terzo Settore non è una semplice riserva, ma un nuovo spazio sociale e giuridico in cui la società civile emerge come soggetto collettivo, quindi è una risorsa preziosa da coinvolgere.

20 D.P.C.M. 30 marzo 2001, recante “Atto di indirizzo e coordinamento sui sistemi di affidamento dei

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Da queste premesse è abbastanza chiaro come l’obiettivo del legislatore della riforma fosse quello di creare un sistema, definirlo e precisarlo valorizzando il potenziale di crescita sociale proprio perché il Terzo Settore è un soggetto presente nel campo dell’economia sociale. La legge ha come obiettivo principale affermare un’identità del Terzo Settore, sviluppare una fotografia all’interno della quale devono essere chiari i contorni e i ruoli.

Abbiamo visto che gli OTS si caratterizzano per la presenza di tre elementi: la natura privata dei soggetti, l’assenza di scopo di lucro e l’impegno nello svolgimento di attività socialmente rilevanti. Questi tre elementi pongono il mondo del Terzo Settore in una condizione tale da diventare oggetto di una disciplina organica, specifica e particolare anche per svincolarlo dalle logiche di appropriatezza, trasparenza , imparzialità tipiche del mondo del mercato.

Il percorso legislativo che ha portato all’approvazione della Riforma in tempi recenti ha un lungo lavoro di gestazione alle spalle: era il 2014 quando l’allora neo Presidente del Consiglio Renzi, in occasione del Festival del Volontariato a Lucca, intervenne con un discorso che auspicava a dare una svolta al Terzo Settore attraverso un disegno di legge delega per il riordino della materia. Il 12 Maggio 2014 il Governo lancia la consultazione pubblica delle Linee Guida del Terzo Settore, che illustrano i principali interventi e ambiti toccati dalla riforma in materia di Terzo Settore. Alla consultazione hanno partecipato soggetti privati, OTS, ordini professionali e sindacati allo scopo di valorizzarne i punti di forza e risaltarne quelli di debolezza. Il Consiglio dei Ministri approva il disegno di legge delega il 10 luglio 2014; da questo momento il disegno di legge passa alle due Camere parlamentari per l’esame delle rispettive Commissioni (Affari sociali per la Camera dei Deputati e Affari costituzionali per il Senato della Repubblica) e, discussi i rispettivi emendamenti, il provvedimento è stato approvato dal Senato nella seduta del 30 marzo 2016 e dalla Camera nella seduta del 25 maggio 2016 (Di Diego, Tosi, 2017:15). L’iter legislativo sopra descritto ha portato all’emanazione della legge “Delega al Governo per la Riforma del Terzo Settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale”, n. 106 del 6 giugno 2016, entrata in vigore il 3 luglio 2016. È una legge delega formata da 12 articoli, che definiscono la finalità e l’oggetto del provvedimento, i principi e i criteri generali, la revisione del

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titolo II del Libro I del codice civile, la necessità di introdurre e approvare, con i provvedimenti successivi, un apposito codice del Terzo Settore, definire cosa si intende per impresa sociale. All’interno dell’impianto della legge viene disciplinato anche il settore del servizio civile, introducendo il concetto del servizio civile universale. La legge delega contiene anche una serie di disposizioni che hanno lo scopo di garantire vigilanza, controllo, monitoraggio, misure fiscali a cui fare riferimento con la garanzia di criteri di trasparenza e imparzialità. Il programma delle riforma ruota intorno alla necessità di garantire partecipazione e condivisione del nuovo welfare attraverso una riorganizzazione del Terzo Settore che parte da tre linee direttrici: favorire un processo di partecipazione allargata alla rimodulazione del welfare ridefinendo il rapporto tra Stato e cittadini ispirato a principi di equità, efficienza e solidarietà sociale, valorizzare il potenziale di crescita e occupazione dell’economia sociale e premiare con incentivi i comportamenti associativi e filantropici di cittadini e imprese (Di Diego, Tosi, 2017:16). Per perseguire questi obiettivi, la legge delega 106/2016, all’art. 2, elenca i principi e i criteri direttivi generale a cui attenersi:

a) riconoscere, favorire e garantire il più ampio esercizio del diritto di associazione e il valore delle formazioni sociali liberamente costituite, ove si svolge la personalità dei singoli, quale strumento di promozione e di attuazione dei principi di partecipazione democratica, solidarietà, sussidiarietà e pluralismo, ai sensi degli articoli 2, 3, 18 e 118 della Costituzione;

b) riconoscere e favorire l'iniziativa economica privata il cui svolgimento, secondo le finalità e nei limiti di cui alla presente legge, può concorrere ad elevare i livelli di tutela dei diritti civili e sociali; c) assicurare, nel rispetto delle norme vigenti, l'autonomia statutaria degli enti, al fine di consentire il pieno conseguimento delle loro finalità e la tutela degli interessi coinvolti;

d) semplificare la normativa vigente, garantendone la coerenza giuridica, logica e sistematica.

Essendo una legge delega, per la piena messa in opera della riforma si è dovuti attendere un altro anno per l’emanazione dei decreti attuativi: il d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117, recante “Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106”, entrato in vigore il 3 agosto 2017 e il d.lgs. 3 luglio 2017, n. 112, recante “Revisione della disciplina in materia di impresa sociale, a norma dell'articolo 2, comma 2, lettera c) della legge 6 giugno 2016, n. 106” e il d.lgs. 6 marzo 2017, n. 40 recante “Istituzione e disciplina del servizio civile universale, a norma dell'articolo 8 della legge 6 giugno 2016, n. 106”. Esaminiamoli più da vicino.

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Il d.lgs. 117/2017 istituisce il Codice del Terzo Settore con l’obiettivo di dare sistematicità e organicità ad una disciplina, quale quella del TS, che veniva disciplinata da leggi particolari (legge 266/1991, legge 381/1991, legge 383/2000, d. legislativo 460/1997 ). Siano dinanzi ad un intervento legislativo di portata rivoluzionaria, che ha decretato il passaggio da un insieme disordinato di discipline specifiche riferite a varie categorie di enti non commerciali ad un unico codice di norme che disciplini un’altrettanta unica categoria di enti, quelli appunto definiti enti del Terzo Settore (Di Diego, Tosi, 2017:23).

Il decreto legislativo 117/2017, dopo aver definito l’oggetto e le finalità del Codice del Terzo Settore in attuazione ai principi costituzionali contenuti negli artt. 2,3,4,9,18,118 della Costituzione italiana, i principi generali e il campo di applicabilità delle relative disposizioni, all’art. 4 enuncia una definizione di Terzo Settore, da adottare come perimetro guida per tutti gli enti che vogliano essere inclusi in questa grande famiglia. L’art. in questione recita:

Sono enti del Terzo settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore. Non sono enti del Terzo settore le amministrazioni Pubbliche, […], le formazioni e le associazioni politiche, i sindacati, le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche, le associazioni di datori di lavoro, nonché gli enti sottoposti a direzione e coordinamento o controllati dai suddetti enti […]. Sono esclusi dall’ambito di applicazione del presente comma i corpi volontari dei vigili del fuoco delle Province autonome di Trento e di Bolzano e della Regione autonoma della Valle d’Aosta.

L’art. 4, dunque, fornisce un elenco delle realtà da considerare all’interno del Terzo Settore, con la distinzione di quelli che potremmo definire soggetti tipici – quali organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale, imprese sociali (al cui interno figurano le cooperative sociali), società di mutuo soccorso – e soggetti atipici o, meglio, nuovi tra cui figurano gli enti filantropici e le reti associative, cioè soggetti che raggruppano almeno altri 100 soggetti il cui scopo è di rappresentanza, coordinamento e controllo degli enti che ne fanno parte. Con una clausola residuale poi si lascia aperto lo scenario ad eventuali novità, affermando che è ente del TS qualsiasi

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ente costituito in forma di associazione riconosciuta o non riconosciuta, o di fondazione, per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi o di mutualità o di produzione di scambio di beni o servizi, purché iscritto nel registro nazionale del TS.

L’altra grande novità introdotta dal decreto legislativo 117/2017 riguarda la creazione, all’art. 45, di un unico registro nazionale in cui tutti gli enti devono essere iscritti, superando, anche in questo caso, la settorializzazione dei registri su base regionale e provinciale previsti dalle norme precedenti.

L’art. 5 del decreto legislativo, invece, riguarda le attività di interesse generale che devono essere esercitate in via esclusiva o principale dagli enti del TS, cosa che si ricava dai loro atti costitutivi. L’articolo si presenta come un lungo elenco di 26 punti, che acquisisce importanza perché amplia gli ambiti di intervento del Terzo Settore previsti dalla legge 328/2000 dove si faceva menzione solo del comparto sociale e socio-assistenziale. Questo articolo ha una portata considerevole poiché ci dà la misura di quanto poi gli enti del TS possono stringere rapporti e relazioni con la PA e gli ambiti di co-programmazione di coinvolgimento attivo del TS. Conseguentemente, questa inclusione/ampliamento porta con sé due considerazione: da una parte la considerazione che l’interesse generale è fatto di ambiti che riguardano la quotidianità delle persone, dall’altra il riconoscimento al TS di un ruolo specifico, sussidiario, concorrente a quello delle istituzioni rispetto alla capacità di costruire questa prospettiva di benessere diffuso all’interno delle nostre comunità.

Strettamente legato all’art. 5 è l’art. 55 del decreto legislativo 117/2017, che definisce le modalità di coinvolgimento degli enti del TS nelle funzioni di programmazione e in quelle di riorganizzazione a livello territoriale di interventi e servizi che sono connessi alle attività di interesse generale. È interessante la scelta della parola “coinvolgimento” da parte del legislatore: il Terzo Settore non viene sono consultato o portato a conoscenza di, ma viene coinvolto, reso partecipe, impegnato attivamente, attraverso la propria sensibilità e la propria presenza sul territorio, a determinare la costruzione delle priorità politiche dell’intervento. Sempre in base alle disposizioni dell’art. 55, il coinvolgimento attivo degli ETS avviene attraverso forme di:

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1. co-programmazione, finalizzata all’individuazione, da parte della pubblica amministrazione procedente, dei bisogni da soddisfare, degli interventi a tal fine necessari, delle modalità di realizzazione degli stessi e delle risorse disponibili.

2. co-progettazione, finalizzata alla definizione ed eventualmente alla realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare bisogni definiti, alla luce degli strumenti di programmazione di cui al precedente comma 2.

Con riferimento a queste due attività prospettate dalla Riforma, l’esperienza fin qui sviluppata ha visto la fase di co-programmazione più come fase di consultazione che di coinvolgimento dei soggetti del Terzo Settore. Senza una definizione delle modalità e delle procedure attraverso cui i soggetti del Terzo Settore sono chiamati a co- programmare con la Pubblica Amministrazione questo continua ad essere un elemento di criticità, perché non vi è alcun riferimento alla fase di selezione dei soggetti che partecipano alla co-programmazione. Le funzioni di co-progettazione, invece, non sono una novità dal momento che sono già previste dalla legge 328/2000 anche se non ne fa espressa menzione mentre per la co-progettazione la legge stessa ci dice che dobbiamo selezionare i soggetti che diventeranno partner della PA, nella fase di co- programmazione.

Dall’art. 17 all’art. 44, il Codice del Terzo Settore disciplina in maniera singola i diversi enti che ne fanno parte, come disciplinato dall’art. 4, definendone oggetto, finalità e risorse e abrogando qualsiasi altra disposizione contenuta nelle leggi di settore.

Il Capo IV del Titolo IX e il Titolo X del Codice del Terzo Settore, in particolare gli artt. 72- 89, contengono le disposizioni in materia di contabilità e fiscalità. Innanzitutto è previsto l’obbligo di bilancio sociale per tutti gli enti che superano un milione di euro di ricavi ed entrate, da redigere secondo le linee guida adottate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali (Di Diego, Tosi, 2017:33). Per tutti gli altri enti, invece, si dispone che pubblichino annualmente sul proprio sito internet eventuali compensi attribuiti agli organi dell’ente stesso. Sono previste delle opportunità concrete per i soggetti del Terzo Settore: 1) fiscalità di vantaggio per chi dona: che donino persone fisiche o persone giuridiche il codice del Terzo Settore crea dei grandissimi spazi di defiscalizzazione per chi decide di donare a enti di Terzo Settore iscritti al registro; aumenteranno in questo caso le risorse disponibili per realizzare i progetti del TS; 2) fiscalità di vantaggio per il cosiddetto social lending, ossia il prestito fatto ai soggetti di Terzo Settore attraverso delle piattaforme on line, una pratica ancora in

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rodaggio in Italia, più usata nei paesi anglosassoni; 3) importanti formazioni strutturali di risorse: l’art. 72 prevede un fondo di circa 60/70 milioni l’anno destinato alle associazioni di volontariato e di promozione sociale. Queste sono tutte misure volte a potenziare l’attività del Terzo Settore negli ambiti di interesse generale proposti dalla legge e a migliorare la qualità dei rapporti con la Pubblica Amministrazione, nel rispetto dei principi di trasparenza e imparzialità, attuando una serie di interventi che, seppur esplicitati nella presente riforma, sono ancora in fase di perfezionamento e approfondimento.

Il decreto legislativo 112/2017, invece, dispone in materia di impresa sociale, anche qui introducendo delle novità importanti. È opportuno sottolineare che l’impresa sociale non deve essere immaginata come l’ingrediente nuovo perchè è un soggetto in più, la novità sta nel fatto di consentire ai diversi soggetti del Terzo Settore di avere uno strumento in più per realizzare interventi, di porre in essere realtà che difficilmente da soli riuscirebbero a concretizzare. L’art. 1 del decreto legislativo 112/2017 afferma infatti:

Possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutti gli enti privati, inclusi quelli costituiti nelle forme di cui al libro V del codice civile, che, in conformità alle disposizioni del presente decreto, esercitano in via stabile e principale un'attività d'impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, adottando modalità di gestione responsabili e trasparenti e favorendo il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alle loro attività. […] Le cooperative sociali e i relativi consorzi acquisiscono di diritto la qualifica di impresa sociale.

Stando al dettato della riforma, tutti gli enti del Terzo Settore possono ambire a realizzare un’impresa sociale, dal momento che si predilige il lavoro di rete sia all’interno del proprio organico, sia tra soggetti del territorio, dal momento che lavorare in sinergia con gli altri attori produce più impatto che non lavorando da soli.

L’art. 2 del decreto 112/2017 richiama l’art. 5 del decreto 117/2017, dal momento che elenca anche in questo caso le attività di interesse generale a cui le imprese devono attenersi, attività che spaziano dal tempo libero alla cultura, dalla difesa dell’ambiente all’educazione, dal comparto sociale a quello sanitario e socio-assistenziale. Anche per le imprese sociali è fatto divieto dello scopo di lucro e della distribuzione agli associati degli utili o avanzi di gestione; in questo caso le somme devono essere riutilizzate per

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altre attività o per incrementare il patrimonio. Con riguardo alla struttura, ogni impresa sociale, a norma dell’art. 5, è costituita tramite atto pubblico che deve contenere l’oggetto sociale e l’assenza di scopo di lucro. L’atto costitutivo o lo statuto devono contenere anche specifiche direttive per quanto riguarda la governane dell’impresa sociale, con la previsione dell’organo di controllo e il coinvolgimento di lavoratori, utenti e qualsivoglia soggetto interessato all’attività dell’impresa stessa (Di Diego, Tosi,