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IL PROGRAMMA DELLA TERZA VIA

1.3.1. Il welfare community in Italia

Nel nuovo scenario fin qui delineato, abbiamo visto come la maggior parte degli Stati europei ha cercato delle risposte alternative alla crisi che ha colpito i sistemi di welfare a più livelli, fornendo delle proposte che storicamente sono state accolte ora con l’attenzione al welfare mix, ora con l’attenzione al welfare societario. I nuovi modelli di Stato sociale testimoniano la scarsa propensione dei governi a smantellare un’istituzione sociale che, sebbene comporti numerosi costi e ingenti sforzi per mantenerla in vita, è indispensabile per garantire l’equità sociale e la redistribuzione delle risorse alla popolazione. Le proposte avanzate di welfare mix e welfare societario mettono in chiaro come il principio guida dei quattro attori del welfare state – Stato, mercato, Terzo Settore e famiglia – sia proprio il principio di sussidiarietà, quale tendenza a riconoscere e promuovere le capacità dell’altro, tanto a livello top-down quanto a livello bottom-up. Proprio il principio di sussidiarietà viene preso come corollario di una ridefinizione delle politiche pubbliche perché, nell’accezione di Rossi (2005: 92), «la sussidiarietà […] si fonda sul riconoscimento e sul rispetto dell’identità soggettiva, presuppone la capacità dell’attore sociale di far fronte al proprio bisogno e implica una conseguente responsabilità personale nel processo di azione». Nell’applicazione pratica del principio di sussidiarietà possiamo distinguere due dimensioni o orientamenti:

(a) la sussidiarietà verticale, che richiama il decentramento di alcune funzioni legislative e amministrative dallo Stato agli enti più vicini al cittadino, cioè Regioni e Comuni. Potremmo identificare la sussidiarietà verticale come la naturale applicazione del rescaling tanto sostenuto dall’UE;

(b) la sussidiarietà orizzontale, che riguarda invece l’impegno delle istituzioni di coinvolgere nelle attività di interesse collettivo i cittadini, singoli e associati, favorendo la loro piena autonomia.

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A livello nazionale, il principio di sussidiarietà è stato per la prima volta espresso dalla Legge 328/2000, Legge quadro per la creazione di un sistema integrato di interventi e servizi sociali, che ha rappresentato la legge di riforma dell’assistenza sociale e che, nel Capo I dedicato ai Principi generali e finalità, a) delinea la promozione del sistema integrato di interventi e servizi sociali da realizzarsi secondo i principi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia ed efficienza (art. 3); b) riconosce il ruolo degli organismi non lucrativi di utilità sociale nonché di tutti gli enti sociali con i quali lo Stato ha stipulato patti e accordi, operanti nel settore della programmazione, organizzazione e gestione del sistema integrato di interventi e servizi sociali (art. 4); c) riconosce la promozione della solidarietà sociale, con la valorizzazione delle iniziative delle persone, dei nuclei familiari, delle forme di auto-aiuto e di reciprocità e della solidarietà organizzata (art. 5); d) promuove la partecipazione attiva dei cittadini, il contributo delle organizzazioni sindacali, delle associazioni sociali e di tutela degli utenti per il raggiungimento dei fini istituzionali (art. 6).

Un anno dopo l’emanazione della L. 328/2000, la legge costituzionale 3/2001 riformava il Titolo V della Costituzione italiana, dedicato ai rapporti tra gli enti (Stato, Regioni, Comuni e città metropolitane), introducendo modifiche in favore del principio di sussidiarietà verticale attuando un più ampio decentramento amministrativo e introducendo l’accezione di sussidiarietà orizzontale nel nostro ordinamento giuridico.11

La Riforma del Titolo V della Cost. recepisce a pieno le direttive europee che spingevano verso un ridimensionamento del ruolo dello Stato e verso una maggiore allocazione di responsabilità agli enti locali per un partecipazione attiva alla vita della propria comunità. In questo scenario, la prospettiva federalista comporta l’acquisizione di strumenti in grado di riconoscere e potenziare le capacità e le risorse a livello locale

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Così recita l’art.118 della Costituzione riformato dalla legge costituzionale 3/2001:

Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.

I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell'articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia

della tutela dei beni culturali.

Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.

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per evitare quelle disfunzioni che lo Stato aveva creato a livello centrale. La sussidiarietà orizzontale, invece, «diventa la formula di governance idonea a valorizzare le condizioni di sviluppo di una cittadinanza attiva» (Antonini, 2005: 27). Il ruolo dello Stato è quello di individuare soggetti depositari di capitale sociale, economico e politico e di coinvolgerli nel processo di gestione delle politiche pubbliche. Come afferma Belardinelli (2005: 15):

viene introdotto infatti un codice simbolico diverso, attento non più e non solo a ciò che lo Stato elargisce dall’alto, ma anche a bisogni e strategie di soddisfacimento più personalizzati, alla capacità delle persone di stabilire autonomamente in che cosa consista il proprio benessere, alla pressante richiesta di vedere riconosciuta e promossa tale autonomia, e ad altri elementi ancora, i quali difficilmente sembrano gestibili con una cultura e meccanismi istituzionali, ispirati per lo più alla standardizzazione. A essere in gioco è il senso stesso dello Stato e del rapporto che esso deve intrattenere con i cittadini e con la società civile.

È in questa cornice teorica che prendono avvio nuove modalità organizzative che pongono l’attenzione sull’idea di cittadinanza inclusiva e rinnovati modelli di welfare che hanno a cuore lo sviluppo della dimensione comunitaria e la promozione delle capabilities12, per dirla con Amartya Sen. L’idea che si sta facendo strada è quella di un welfare community, molto vicino al welfare mix già sperimentato negli anni Ottanta, ma che prevede, oltre al mix tra i diversi attori che partecipano alla definizione delle policies, anche la pluralizzazione delle logiche di intervento di ciascuno di essi. Più volte abbiamo ricordato come i quattro attori del welfare utilizzino delle proprie logiche di azione: così la logica del mercato è quella di massimizzare il profitto in regime di concorrenza; la logica dello Stato è quella di assicurare il soddisfacimento dei diritti sociali; la logica del Terzo Settore è quella di perseguire determinati valori etici in regime non profit e la logica della famiglia è quella di assistere i propri membri in regime di reciprocità. Il mix di queste linee di azione, inteso come la possibilità di ciascun attore di utilizzare logiche diverse a seconda dell’utilità, dà vita proprio ad un intreccio di competenze e ad una fitta rete di relazioni dove non c’è un centro e dove

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Amartya Sen, professore di economia e filosofia ad Harvard, utilizza il termine capacitazioni o

capabilities per indicare l’insieme delle risorse relazionali di cui una persona dispone insieme alla

capacità, appunto, di saperle utilizzare all’occorrenza. Letteralmente il termine indica la “capacità di funzionare”, di “essere” e di “fare”.

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non è possibile stabilire ex ante delle gerarchie, nonostante una chiara divisione dei ruoli nella rete (Donati, 2005).

Belardinelli (2005:18) afferma a tal proposito:

Ciò che definisco welfare community, in quanto comunità sussidiaria, dovrebbe rappresentare precisamente l’alternativa al modello di società basato sull’asse individuo-Stato; un’alternativa, i cui pilastri dovrebbero essere enunciati nel modo che segue: a) i singoli individui, le singole persone, rappresentano il valore più alto della comunità politica; b) in quanto uomo, l’uomo ha dei diritti (diritto alla vita, alla libertà, alla proprietà, all’educazione dei figli) che vengono prima dello Stato e ne fondano la legittimità; c) essendo libere, le persone debbono poter perseguire liberamente i loro interessi, secondo criteri di benessere che essi stessi scelgono; d) non essendo la persona «un’isola», i legami con gli altri, gli usi e i costumi della comunità nella quale siamo nati incidono profondamente sulla nostra identità personale e sulla nostra capacità di essere liberi e felici; e) abbiamo dunque dei doveri nei confronti del bene comune, che si esprimono come «reciprocità»: dobbiamo promuovere le capacità dell’altro, favorire il suo empowerment, nella fiducia che anche l’altro farà lo stesso con noi.

Da questa definizione si può, quindi, dedurre che, in un clima caratterizzato dal welfare community, i diversi attori si posizionano lungo un asse di parità secondo un principio di reciprocità in cui il pubblico non viene visto come una sovra-struttura, ma al contrario come un agente di promozione (enabling state) che accompagna gli altri attori nella definizione del benessere sociale; il ruolo del cittadino muta da cliente/consumatore a produttore/attivatore di risorse, da spettatore passivo di assistenzialismo diventa stakeholder dell’organizzazione dei servizi a lui destinati; infine cambia il target: la comunità diventa il riferimento primario e ultimo del welfare, che cerca di accrescere il benessere dei suoi cittadini puntando a svilupparne il senso di appartenenza e di comunità (Ponzo, 2014).

Alla luce di quanto appena esposto, i tempi che stiamo vivendo richiedono il disegno di una nuova visione del sistema, capace di declinare in maniera sinergica le diverse dimensioni delle politiche pubbliche e di guardare al welfare con spirito propositivo. In questa visione, il “locale” non designa solo uno spazio geografico o amministrativo, ma rappresenta la comunità dei cittadini, un laboratorio di processi decisionali inclusivi e procedure partecipate di deliberazione pubblica (Devastato, 2008: 5). A livello europeo si sta facendo strada l’idea di un welfare abilitante , che si fonda sulla cooperazione e i rapporti di partnership tra istituzioni e cittadini con lo scopo di edificare nuovi processi e servizi in grado di rispondere in modo più efficiente ed efficace ai bisogni emergenti.

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Dopo anni di politiche di austerità, ci si è resi conto che il welfare non deve essere considerato come un costo e un peso incombente, ma come un investimento sociale, capace di spostare risorse sulle nuove generazioni, invertendo così la tendenza a scaricare su queste solo i costi necessari al finanziamento delle prestazioni per le generazioni anziane (Ranci, Pavolini, 2015).

In conclusione e per rafforzare la nostra analisi, utilizziamo un’immagine che, fungendo da metafora, può restituire un valore aggiunto a un tema, quello dello stato sociale, che coinvolge tutta la comunità. L’immagine è tratta dal Fedro di Platone, che può

essere attualizzata per rappresentare simbolicamente gli attori protagonisti del welfare state, Stato, mercato e Terzo Settore: «qualora un cavallo procedesse più velocemente dell’altro o se le direzioni fossero diverse, l’aratro non potrebbe avanzare».13

L’utilizzo di questa metafora può essere interpretato come un monito: non dobbiamo e non possiamo più pensare alle politiche pubbliche come ambiti settorializzati che concorrono a realizzare i propri obiettivi. Il loro fine ultimo deve essere quello di armonizzare e integrare interventi e prospettive creando nuove realtà e soluzioni.

È la prospettiva utilizzata anche dal Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali nel 2008 che, nella prefazione de La vita buona nella società attiva. Libro Verde sul futuro del modello sociale, afferma:

La sfida cui siamo chiamati non è solamente economica ma, prima di tutto, progettuale e culturale. Vogliamo riproporre la centralità della persona, in sé e nelle sue proiezioni relazionali a partire dalla famiglia. Pensiamo a un welfare delle opportunità che si rivolge alla persona nella sua integralità, capace di rafforzarne la continua autosufficienza perchè interviene in anticipo con un’offerta personalizzata e differenziata, stimolando comportamenti e stili di vita responsabili, condotte utili a sé e agli altri […] La principale sfida politica è la transizione verso un nuovo modello che accompagni le persone lungo l’intero ciclo di vita attraverso il binomio opportunità- responsabilità. 14

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Il Fedro è un’opera scritta da Platone probabilmente nel 370 a.C., e rappresenta il dialogo tra Socrate e Fedro sul tema dell‘amore utilizzata come metafora per discutere dell’uso della retorica.

14 Il presente testo è stato consultato sul sito http://www.bollettinoadapt.it/la-vita-buona-nella-societa-

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Capitolo II