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Partnership pubblico-privato a Pisa: studio di caso sul Progetto Homeless

4.1. Nota metodologica: lo studio di caso

L’analisi della teoria effettuata nei primi tre capitoli ci permette, ora, si affrontare a livello empirico quello che il cambiamento dei sistemi di welfare ha comportato nelle dinamiche delle politiche sociali e quanto le trasformazioni del Terzo Settore in atto in Italia, soprattutto in tempi recenti, abbiano impattato sui metodi innovativi di pensare i servizi offerti alla cittadinanza; tra questi metodi innovativi, le partnership pubblico- privato, come abbiamo visto, rappresentano una modalità ormai consolidata di gestione di prestazioni e servizi nell’ambito degli interventi sociali. In questo scenario mutato abbiamo visto acquisire sempre maggiore forza a idee di Stato sociale più inclusivo, più partecipativo e partecipato27, capace di inglobare dentro di sé soggetti diversi in grado di collaborare e fornire una risposta quanto più adeguata ai bisogni della popolazione, bisogni anch’essi mutati, sotto la spinta di sfide interne ed esterne al sistema28

che hanno cambiato, inevitabilmente, la morfologia dei contesti e la tipologia degli attori impegnati nel processo di cambiamento delle politiche sociali. Uno di questi attori, in particolare, ha ricevuto uno slancio nel modo di pensare e interpretare le esigenze di un

27 Per un approfondimento sui temi della partecipazione al welfare si rimanda al primo capitolo. 28Le sfide esterne che hanno minato le basi del welfare sono la globalizzazione, l’aumento della

concorrenzialità dei mercati e l’integrazione europea; le sfide interne riguardano, invece, l’invecchiamento della popolazione, la trasformazione dei sistemi familiari, l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro e la rimodulazione dei sistemi produttivi. Per un approfondimento di queste tematiche si rimanda al capitolo primo.

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sistema che richiede di andare al passo con i tempi: è il Terzo Settore che, sotto la spinta di un rinnovamento legislativo in Italia, ha modificato il suo volto pur rimanendo fedele all’impostazione originaria di realtà vicina alle persone e ai loro bisogni, facendo dialogare i tradizionali soggetti del settore non profit con nuove modalità di gestione e organizzazione degli stessi, ridisegnando l’identità di un settore unitario. Ovviamente la forza con cui il Terzo Settore si è ritagliato uno spazio importante in tutti i settori delle politiche pubbliche non deve fare pensare ad un’onnipotenza nel fornire le risposte adeguate, poiché queste dipendono sempre dal livello di complementarietà e dalle collaborazioni virtuose che riescono a crearsi tra Stato, mercato e settore non profit.

Per avvalorare questo postulato teorico, obiettivo del capitolo è quello di presentare i risultati di uno studio di caso condotto per analizzare una partnership pubblico-privato nel territorio pisano che interessa il settore della grave marginalità adulta: il Progetto Homeless. Nato sotto la spinta di una particolare contingenza verificatasi nel territorio pisano, il progetto, come si avrà modo di vedere in seguito, rappresenta un chiaro esempio di partnership pubblico-privato efficace ed efficiente nell’ambito dei servizi offerti alla popolazione senza fissa dimora, che si pone come obiettivo fondamentale l’accoglienza e la condivisione di un percorso che portino all’autonomia e al reinserimento sociale della persona senza tetto; il tutto inserito all’interno di una cornice concettuale e legislativa che ha posto in primo piano la volontà dei partner del progetto di co-progettare ogni singolo intervento in modo da fornire una risposta sinergica a uno spaccato di popolazione “invisibile” che sempre di più richiede maggiori diritti e maggiori tutele, nell’ottica di una presa in carico integrata della persona e del suo bisogno e nella consapevolezza che oggi il problema della grave marginalità adulta è sempre più complesso e multidimensionale, che richiede un’attenzione particolare rispetto ai cambiamenti delle biografie che si incontrano e alle novità che vengono sperimentate dai contesti vicini, in modo da prendere quanto di buono è stato fatto e fungere da esempio per fornire davvero una risposta di sistema.

Per descrivere in maniera opportuna questa esperienza, la scelta è ricaduta sullo studio di caso, quale metodologia più adatta per osservare e descrivere in maniera significativa eventi reali della vita quotidiana.

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Prima di presentare in maniera dettagliata lo studio di caso sul Progetto Homeless a Pisa, sembra doveroso descrivere, per sommi capi, questa metodologia di ricerca e l’ambito della ricerca sociale, in modo da anticipare il perché della scelta di questo strumento piuttosto che di un diverso metodo di indagine.

La ricerca sociale può essere considerata un ambito particolare della ricerca scientifica che si avvale del metodo sistematico, «in cui i casi vengono cercati ed estratti dal mondo, non riprodotti in laboratorio, con tutto ciò che consegue sul piano dell’isolamento delle variabili e dell’evidenza delle asserzioni» (Bruschi, 2005:V). In questo senso, quando si progetta una ricerca ci si deve porre nella condizione di «fornire la soluzione di un problema scientifico in una particolare situazione» (ibidem:VI) data dall’obiettivo, dalle risorse utilizzate e dagli eventi in cui ci si trova. Compito del ricercatore, dunque, sarà quello di ottimizzare il proprio obiettivo partendo dai mezzi di cui usufruisce e dai vincoli che dovrà rispettare; dalla stessa opera di ottimizzazione dipenderanno anche le strategie, i metodi e le tecniche da scegliere, senza farsi trasportare da preferenze personali (ibidem:VI). Anche la ricerca sociale, come parte della più ampia ricerca scientifica, è necessaria per produrre conoscenza scientifica, cioè una conoscenza basata sull’esperienza empirica del mondo che, tramite i sensi, viene descritto e spiegato e che viene modellata anche sulla base della personalità e della cultura che porta con sé il ricercatore che si accinge a conoscere un certo tipo di realtà. Dunque, nella costruzione scientifica di una data realtà possiamo sempre rintracciare due componenti: quella oggettiva e quella soggettiva. La prima riguarda i metodi, gli strumenti e le tecniche utili per studiare il fenomeno; la seconda riguarda invece il mondo personale del ricercatore. Entrambe vanno tenute in equilibrio quando si legge un certo fenomeno, altrimenti il rischio è quello di fornire una lettura orientata più in un verso o nell’altro (ibidem:4).

Nell’ambito della ricerca, per lungo tempo c’è stata una contrapposizione tra ricerca quantitativa e ricerca qualitativa29; addirittura veniva identificata la sola ricerca

29 Come afferma bene Corbetta (1999:43), nella ricerca sociologica il dibattito tra ricerca quantitativa

e qualitativa ha vissuto periodi alterni: dal vivace confronto avvenuto tra gli anni ’20 e ’30 dove entrambi gli approcci fornirono elementi degni a favorire l’avanzamento della disciplina (per la ricerca qualitativa il riferimento di quegli anni è fornito dalla “Scuola di Chicago”), si è passati ad una fase di latenza intorno agli anni ’40,’50 e inizio anni ’60 in cui il predominio era nelle mani della ricerca quantitativa. È nella seconda metà degli anni ’80 che la ricerca qualitativa torna sugli scenari della ricerca sociale,

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quantitativa come la metodologia più idonea da applicare alla ricerca scientifica, perché basata sul rigore del metodo (rilevazione e trattamento statistico dei dati) e dei modelli di causazione riconosciuti, mentre la ricerca qualitativa era vista come carente di metodo e meno rigorosa (Bellucci, 2008:120).

La dicotomia quantità-qualità è stata favorita, nel panorama delle metodologie delle scienze sociali, dalla distinzione di due paradigmi: il primo neopositivista e il secondo costruttivista/interpretativo (Bruschi, 2005:4).

La tradizione neopositivista trae origine proprio dal positivismo e dalla metodologia di studio delle scienze naturali, che usavano l’esperimento e i dati statistici per formulare leggi universali. Dunque il paradigma neopositivista ha sempre privilegiato la componente oggettiva, e cioè i metodi e le tecniche.

La tradizione costruttivista, o antipositiva, invece ha tratto origine dalla filosofia, dalla storia, dalla letteratura e ha dato maggiore impulso alla componente soggettiva, fidandosi delle capacità personali del ricercatore, quindi il suo intuito, la sua personalità, la sua capacità riflessiva.

Queste due tradizioni hanno da subito dato vita a contrapposizioni forti, come quelle tra scienze della natura e dello spirito o scelta tra metodi quantitativi o qualitativi.

Per fortuna, questa diatriba in Italia non è stata molto forte, in quanto venne privilegiato un approccio comparato, almeno per lo sviluppo della scienza politica, «ponendosi l’obiettivo di coniugare rigorosa elaborazione concettuale, prospettiva e consapevolezza storica, osservazione empirica dei sistemi politici e partitici» (Bellucci, 2008: 120).

Bruschi (2005:4), a proposito, utilizza una metafora calzante, individuando i due paradigmi come «due grandi fiumi con molte sorgenti ed emissari, che si intersecano tra di loro e confluiscono in un unico letto». Quindi più che rivali, i due paradigmi sono complementari, aggiungendo alla ricerca un valore diverso ma parimenti importante, senza per forza riconoscere la supremazia di uno sull’altro.

affermando con forza la sua presenza in ambito metodologico ed empirico, portando dietro di sé una mole impressionante di ricerche e proposte riflessive senza precedenti.

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Tab. 7 – Confronto tra ricerca quantitativa e ricerca qualitativa Ricerca quantitativa Ricerca qualitativa

Impostazione della ricerca

Relazione teoria-ricerca Strutturata, fasi logicamente sequenziali

Deduzione (la teoria precede l’osservazione)

Aperta, interattiva Induzione (la teoria emerge dall’osservazione) Funzione della letteratura Fondamentale per la

definizione della teoria e delle ipotesi

Ausiliaria Concetti

Rapporto con l’ambiente Interazione psicologica Studioso-studiato Ruolo del soggetto Studiato

Rilevazione

Disegno della ricerca Rappresentatività

Strumento di rilevazione Natura dei dati

Analisi dei dati

Oggetto dell’analisi Obiettivo dell’analisi Tecniche matematiche e statistiche Risultati Presentazione dati Generalizzazioni Portata dei risultati

Operativizzati Approccio manipolativo Osservazione scientifica, distaccata, neutrale Passivo

Strutturato, chiuso, precede la ricerca

Campione statisticamente rappresentativo Uniforme per tutti i soggetti. Obiettivo: matrice dei dati Hard, oggettivi e strandardizzati La variabile Spiegare la variazione Uso intenso Tabelle Correlazioni. Modelli causali. Leggi Generalizzabilità Orientativi, aperti, in costruzione Approccio naturalistico Immedesimazione empatica nella prospettiva del soggetto studiato

Attivo

Destrutturato, aperto, costruito nel corso della ricerca

Singoli casi non statisticamente rappresentativi Varia a seconda dell’interesse dei soggetti. No strandardizzazione Soft, ricchi e profondi

L’individuo

Comprendere i soggetti Nessun uso

Brani di interviste, testi Classificazione di tipologie, Tipi ideali

Specificità

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All’interno dell’approccio qualitativo, il cui valore euristico «si misura in termini di comprensione sul campo dei problemi, di trattamenti dei dati che si rilevano in uno specifico contesto storico-culturale ed in termini di propensione verso il cambiamento» (Yin, 2005:14), la metodologia dello studio di caso non è stata presa molto in considerazione, addirittura stereotipata come «il fratello minore fra i metodi delle scienze sociali, poiché le ricerche sono considerate prive di precisione (cioè di quantificazione), oggettività e rigore» (ibidem:27). Nonostante questo stereotipo, del tutto ingiustificato, lo studio di caso continua ad essere ampiamente utilizzato sia nelle scienze tradizionali (sociologia, storia, scienze politiche, psicologia) sia in settori pratici quali la pubblica amministrazione, l’urbanistica, la pedagogia, l’analisi delle politiche pubbliche. Questo perché lo studio di caso dovrebbe essere considerato come uno dei tanti metodi da utilizzare per condurre una ricerca che, come tutti gli altri (esperimenti, indagini, storie, analisi dei dati di archivio) presenta vantaggi e svantaggi che Yin riconduce a tre condizioni: «1) tipo di problema della ricerca; 2) controllo che il ricercatore ha sui comportamenti reali; 3) attenzione sui fenomeni contemporanei piuttosto che su quelli storici» (ibidem:33). A seconda del metodo di ricerca scelto, queste tre condizioni possono essere esaudite o disattese.

Tab. 8 – Situazioni rilevanti per le diverse strategie di ricerca

Strategia Forma della

domanda di ricerca Richiede controllo dei comportamenti? Attenzione su eventi contemporanei?

Esperimento Come, perchè

Indagine

Chi, che cosa, dove, quanti,

quanto

No

Analisi di archivio

Chi, che cosa, dove, quanti,

quanto

No Sì/No

Storia Come, perchè No No

Studio di caso Come, perchè No

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Nel caso preciso dello studio di caso, come si può desumere dalla tabella soprastante, il suo utilizzo è altamente consigliato quando «la domanda “come” e “perchè” sta per essere fatta su una serie di eventi contemporanei sui quali il ricercatore ha poco o nessun controllo» (Yin, 2005:41). Dunque, lo studio di caso ha come obiettivo quello di descrivere in maniera diretta eventi reali che difficilmente possono essere manipolati dal ricercatore, poiché riesce ad osservarli e a studiarli direttamente nel contesto e nel tempo in cui si manifestano.

Volendo utilizzare la definizione di studio di caso proposta da Yin (2005:44-45):

uno studio di caso è un’indagine empirica che studia un fenomeno contemporaneo entro il suo contesto di vita reale, particolarmente quando i confini tra fenomeno e contesto non sono chiaramente evidenti. L’indagine dello studio di caso affronta tecnicamente la situazione particolare nella quale ci saranno molte più variabili di interesse che problemi di dati; di conseguenza si avvale di molteplici fonti di prova, con la necessaria triangolazione dei dati e di conseguenza trae vantaggio dallo sviluppo delle precedenti proposizioni teoretiche per guidare la raccolta e l’analisi dei dati (Yin, 2005:44-45).

Questa definizione chiarisce perfettamente il fatto che lo studio di caso rappresenta un metodo da preferire per prestare attenzione al contesto considerato particolarmente importante per il fenomeno oggetto di studio. Inoltre lo studio di caso è da considerarsi un metodo di indagine completo, poiché ingloba in esso l’intero progetto di ricerca (dalla raccolta all’analisi dei dati), e non una tecnica che può essere utilizzata in tutti i metodi di ricerca. Ovviamente ci può essere una sovrapposizione di tecniche quantitative e qualitative da utilizzare anche all’interno dello studio di caso.

Come tutti i metodi di ricerca, anche lo studio di caso ha bisogno di una solida progettazione circa le operazioni da intraprendere; questo perché le attività da compiere per il raggiungimento dell’obiettivo della ricerca sono diverse e complesse e hanno bisogno di un chiaro disegno per poterle organizzare. Come afferma bene Bruschi (2005:30) «progettare significa organizzare le attività a livello simbolico prima di realizzarle a livello pratico», per cui un’attenta progettazione dello studio di caso parte dalla domanda di ricerca che si vuole soddisfare, la sollecitazione arriva da domande del tipo “come” e “perchè”. La sollecitazione proposta da queste domande concentra l’attenzione su un elemento che si vuole esaminare e descrivere all’interno dello studio di caso, che è collegato alla rappresentazione teorica che sta a monte della ricerca. Nel caso specifico dello studio di caso proposto sul Progetto Homeless, l’elemento che si

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vuole esaminare e descrivere è come e perché il Progetto Homeless costituisce un buon esempio di partnership pubblico-privato e perché i partner dovrebbero scegliere questa organizzazione nella gestione dei servizi. Ecco perché per condurre uno studio di caso è importante sviluppare una teoria, anche attraverso la letteratura scientifica di riferimento, per arrivare a confermare o disconfermare la stessa.

La definizione della teoria non è che il passo iniziale della ricerca, il punto di partenza da cui formulare le domande e non il punto di arrivo dove trovare le risposte. Per far questo, il ricercatore di studio di caso deve possedere alcune abilità fondamentali per condurre la sua ricerca: 1) deve essere in grado di porre buone domande; 2) deve essere un buon ascoltatore, libero da preconcetti e pregiudizi; 3) deve essere flessibile a fronteggiare nuove situazioni come opportunità e non come vincoli: 4) deve avere una buona conoscenza della problematica oggetto dello studio di caso; 5) non deve farsi influenzare da nozioni preconcette, anche derivate dalla teoria di riferimento; in questo caso rimarrà aperto anche alla possibilità di contraddire tale teoria (Yin, 2005:87).

Una volta definito in maniera simbolica il progetto delle operazioni da svolgere e le abilità richieste al ricercatore, si può procedere a concretizzare tali operazioni attraverso la raccolta dei dati che, come abbiamo già detto, devono essere raccolti sul campo e non nel chiuso di un laboratorio o di una biblioteca, da individui e istituzioni esistenti (ibidem, 98). In questo senso lo strumento privilegiato nello studio di caso è l’intervista, che permette una certa vicinanza del ricercatore ai testimoni privilegiati e al contesto in cui operano, consentendo un buon grado di osservazione delle dinamiche in atto. L’intervista è una delle fonti più importanti nella conduzione di uno studio di caso perché permette quella vicinanza e indissolubilità tra l’oggetto di studio e il suo contesto. Accanto all’intervista può, sicuramente, essere utilizzata la documentazione per avvalorare le informazioni raccolte; infatti i documenti possono avere il duplice scopo di verificare la correttezza di nomi, titoli, istituzioni che sono stati nominati all’interno dell’intervista e di fornire maggiori dettagli per potenziare le informazioni raccolte (ibidem:112).

Dopo aver raccolto i dati, è utile passare all’analisi degli stessi: il processo di analisi dei dati «consiste nell’esaminare, dividere in categorie, valutare o combinare le prove in maniera diversa per orientare le ipotesi iniziali dello studio» (ibidem, 133). Si tratta,

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quindi, di una fase molto delicata e importante da cui dipende l’intero risultato dello studio di caso. Una delle strategie da utilizzare consiste nell’effettuare quella che Yin chiama il «raffronto delle configurazioni» (Yin, 2005:137), ossia confrontare i dati raccolti con le proposizioni teoriche poste alla base dello studio di caso, per capire se queste coincidono o si discostano, per cui è necessario prevedere dei percorsi alternativi. Questa strategia si ricollega perfettamente con l’abilità, richiesta al ricercatore, di essere flessibile e aperto rispetto alla domanda teorica inziale e di accogliere i risultati derivanti dall’analisi dei dati sempre come un’opportunità per continuare sul versante della ricerca e non come un vincolo.

L’ultimo passo da compiere è la costruzione di un report d’indagine, che permetta alla platea di destinatari interessati di leggere e studiare i risultati dello studio di caso svolto dal ricercatore. Anche in questo caso ci può essere una varietà rappresentata dai modi di presentazione, poiché una relazione finale può essere scritta o orale (anche se è quasi sempre preferibile la forma scritta), dal pubblico di destinazione, che può essere costituito da colleghi di lavoro, istituzioni e organizzazioni particolari interessate dallo studio di caso o oggetto dello stesso, gruppi speciali come le commissioni poste in essere per le dissertazioni di tesi (ibidem:161). La precisazione del pubblico di destinazione è importante, dal momento che da questo dipenderà il linguaggio utilizzato e l’impostazione adottata per produrre la relazione finale. L’approccio più utilizzato per la redazione della relazione finale è quello analitico-lineare, in cui si predispone una sequenza di sotto-argomenti che presentano la domanda di ricerca, la letteratura di riferimento e le scoperte derivate dall’analisi dei dati raccolti, per giungere quindi a delle conclusioni (ibidem, 170). Un aspetto importante da tenere in considerazione è che la relazione finale non è il punto di arrivo dello studio di caso, o almeno lo è nella fase circostanziata alla restituzione dei risultati della ricerca, poiché costituisce un nuovo punto di inizio con nuove domande che possono essere il trampolino di lancio per una nuova ricerca; ecco perché è preferibile che la relazione venga costruita passo passo assieme alle fasi che compongono lo studio di caso, in modo da sistemare, modificare, integrare quanto fin dall’inizio era stato predisposto.

L’ultimo aspetto da analizzare in merito allo studio di caso riguarda una delle maggiori critiche che vengono imputate a questo metodo di ricerca, cioè la

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generalizzazione dei risultati. Il tema della generalizzazione dei risultati di una ricerca ha da sempre alimentato le divergenze tra quantitativo e qualitativo e ricade sotto il dominio della validità esterna della ricerca. Innanzitutto, occorre chiarire che per validità «si intende la solidità e l’attendibilità di un’indagine, ossia la vera corrispondenza tra mondo reale e conclusioni di una ricerca» (Yin, 2005:16). Dunque la validità esterna non è altro che la possibilità di poter generalizzare i risultati della ricerca in tempi e luoghi diversi da quelli presi in considerazione dal ricercatore. Questo risultato è difficile da conseguire, poiché significherebbe riuscire a trovare la legge che spiega l’accadimento di certi fenomeni in maniera universale. Ma se già le leggi della fisica o della matematica hanno dimostrato che esiste una certa gradualità e che valgono a determinate condizioni, figuriamoci leggi che hanno a che fare con eventi sociali che hanno al centro l’uomo. Come afferma bene Yin:

la generalizzabilità dei risultati dovrebbe essere invocata partendo da tale interesse conoscitivo, attraverso l’uso di metodi e quindi di regole procedurali rigorose e che controllino l’interpretazione soggettiva e arbitraria dei fenomeni e soprattutto attraverso il costrutto teorico che definisce le ragioni