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Costo del capitale, rischio e rendimento

Struttura finanziaria e creazione di valore

4.3. Costo del capitale, rischio e rendimento

Il principio della gestione del capitale d’azienda, sia che questo provenga dai soci, sia che questo provenga da soggetti terzi finanziatori, è quello, più volte richiamato, in base al quale il rendimento di un investimento deve essere alme-

no sufficiente a coprire il costo del capitale impiegato per lo stesso.

Il costo del capitale rappresenta dunque un elemento cruciale per l’impresa, indispensabile per la valutazione delle decisioni di investimento e di finanzia- mento. Nell’economia della gestione dell’impresa il costo del capitale rappre- senta il benchmark che il management deve superare: maggiore è il rischio che

20 In tal senso si veda G. D

ONNA, Struttura finanziaria e creazione di valore, in Analisi Fi-

un’impresa chiede di sopportare ai suoi finanziatori, maggiore è il costo del ca- pitale da sostenere e maggiore dovrà essere il rendimento.

Sulla base delle connessioni evidenziate, per descrivere il costo del capita- le21 giova associare tale grandezza al concetto di rischio. È infatti proprio il ri-

schio a spiegare i meccanismi di formazione del costo del capitale; qualunque investimento presenta un aspetto di “opportunità” (il rendimento) ed uno di pe- ricolo (il rischio): esiste naturalmente un trade-off fra maggiori rischi e maggio- ri rendimenti, e l’obiettivo della finanza è quello di assicurare un’adeguata re- munerazione all’investitore che si espone al rischio22.

La presenza di rischio è connessa al fatto che il rendimento effettivo di un investimento può essere differente dal rendimento atteso; tale differenza può es- sere legata al rischio specifico del progetto (project-specific risk, diversificabi- le), al rischio-concorrenza (competitive risk), al rischio-settore (industry-speci-

fic risk, che comprende, a sua volta tre fonti di rischio: la tecnologia, technolo- gical risk, le leggi, legal risk, e la variazione dei prezzi delle materie prime e

dei servizi utilizzati nel settore, commodity risk), al rischio internazionale (in-

ternational risk) ed al rischio-mercato (market risk) o rischio sistematico (syste- matic risk, quest’ultimo non diversificabile).

Costo del capitale e rischio operativo

Il rischio, inteso come variabilità della distribuzione dei risultati che vengo- no conseguiti attraverso la gestione operativa; risulta dunque scomponibile in due componenti:

– rischio diversificabile;

– rischio non diversificabile o sistematico.

Il primo rappresenta la componente di rischio legata alla specificità del busi- ness aziendale. È indipendente dalla forma di struttura finanziaria adottata dal management e dipende dalla volatilità dei risultati economici che verranno con- seguiti in funzione delle caratteristiche dei prodotti, dei mercati di sbocco e dall’organizzazione aziendale.

Il secondo trae origine dalle condizioni generali macroeconomiche sul busi- ness gestito dall’impresa e costituisce una componente di rischio fisiologica le- gata al mercato finanziario; è una variabile esogena, influenzata da più fattori che agiscono sui valori mobiliari di tutte le società quotate, ed inevitabile. Per

21 Il celebre articolo di Modigliani e Miller del 1958, più volte richiamato, che segna l’inizio

delle studio sistematico della Finanza Aziendale, recita, in apertura, «what is the cost of capital?».

22 In tal senso e sulle modalità di analisi del rischio, sulla misura e conversione in una soglia

quanto un investitore riesca a diversificare il proprio portafoglio, ci sarà sempre

una componente d’incertezza legata alla presenza del rischio sistematico.

Tralasciando gli aspetti legati alla misurazione del rischio-mercato23, giova

tuttavia ricordare l’indicatore di questo tipo di rischio, rappresentato dal coeffi-

ciente beta.

Il beta di un’attività misura, per un investitore, il rischio aggiunto, da quel- l’attività, all’interno del suo portafoglio di mercato; statisticamente questo ri- schio addizionale è misurato dal rapporto tra la covarianza dell’attività con il mercato e la varianza del portafoglio di mercato.

Le aziende con un coefficiente beta superiore all’unità, sono classificabili come soggetti che propongono rendimenti maggiormente volatili rispetto a quelli di mercato, di conseguenza caratterizzati da una componente maggiore di ri- schio. Al contrario, le aziende con un beta inferiore all’unità, alle quali è asso- ciato un rischio più basso di quello di mercato, presentano una minore volatilità dei rendimenti attesi.

Il coefficiente beta non misura il rischio, esprime in che modo le variabili legate all’organizzazione e al modo di operare dell’azienda attenuino od ampli- fichino l’evoluzione dei rendimenti attesi dagli shareholder.

Il costo del capitale riferito a tale categoria di rischio è definito costo per il

business risk che non dipende dalla struttura finanziaria dell’azienda, ma dai

rischi impliciti nelle scelte strategiche relative agli investimenti intrapresi dal management.

Costo del capitale e rischio finanziario

Con riferimento alla struttura finanziaria dell’impresa si sviluppa il rischio che l’azienda possa trovarsi in una situazione di incapacità di far fronte al costo o addirittura al rimborso del capitale impiegato; tale situazione si riflette sul co- sto del capitale e si collega alle scelte di composizione della struttura ovvero al mix fra capitale di rischio e capitale di debito.

A tal proposito giova ricordare che il capitale di rischio è denaro esigente ma flessibile alle scadenze, mentre il capitale di debito è denaro meno costoso ma impone scadenze e rimborsi.

Il mix fra debt and equity deve essere deciso sulla base del profilo strategi- co d’impresa; in genere le imprese la cui rischiosità operativa è alta non pos- sono permettersi elevati livelli di rischio finanziario, mentre le imprese a ri-

23 I modelli più famosi per la misurazione del rischio-mercato, ossia il capital asset pricing

model (CAPM), l’arbitrage pricing model (APM), i modelli multifattoriali e quelli basati sulla

regressione, concordano sugli effetti della diversificazione e si differenziano proprio sul rischio non diversificabile.

schiosità operativa bassa possono concedersi una struttura finanziaria forte- mente indebitata.

Il rischio connesso alla struttura finanziaria può essere analizzato separata- mente dal rischio specifico di business ed il costo del capitale inteso sia come remunerazione attesa dell’investitore, sia come rischio derivante dall’incertezza dei redditi dell’attività imprenditoriale, può essere scomposto in due configura- zioni di costo: la prima riferita al debito e la seconda al capitale proprio, l’equity.

Costo del debito

È la remunerazione richiesta dai soggetti terzi che finanziano l’impresa a co- pertura del rischio da loro sopportato; esprime il costo medio atteso del debito al netto dello scudo fiscale rappresentato dalla deducibilità degli oneri finanzia- ri. In formula avremo che:

Kd = i × (1 – t).

Dove:

i = tasso lordo pagato a terzi; t = aliquota fiscale.

Per determinare il tasso i è necessario distinguere fra debiti a breve e debiti a medio e lungo termine. Ai debiti a breve si applica un tasso pari a quello di mercato, aggiustato dalle eventuali aspettative di rialzo o ribasso. Per i debiti a lungo termine è necessario considerare il tasso di interesse applicato a finan- ziamenti con identiche caratteristiche, aventi scadenze e ratings equivalenti. Il livello corrente dei tassi di interesse per un’azienda è funzione di tre componen- ti, e dipende, in particolare:

– dal tasso ufficiale di sconto;

– dallo spread tra il costo del denaro ed il prime rate, rappresentativo del ri- carico medio che il sistema bancario effettua sulla sua migliore clientela;

– da una terza componente rappresentata da un altro spread che l’azienda deve pagare per finanziare le proprie attività con capitale di debito.

A queste condizioni generali, se ne aggiungono poi altre di carattere specifi- co: il tasso di interesse deve essere valutato in coerenza con la struttura finan- ziaria che l’impresa intende adottare e in funzione delle modalità scelte per trat- tare le imposte. Secondo la relazione diretta esistente tra leverage e costo del debito, quest’ultimo può essere identificato come segue:

Kd = ⎟ ⎠ ⎞ ⎜ ⎝ ⎛ +δ× K D i × (1 – t).

Dove:

i = tasso di interesse unlevered (rappresenta il tasso minimo applicabile

in relazione alle dimensioni dell’impresa ed alle garanzie offerte); δ = coefficiente di variazione del costo del debito al variare del leverage24;

D/K = leverage dell’impresa.

Costo dell’equity

È il costo di opportunità sostenuto dagli azionisti che investono capitali in un’attività rischiosa; nonché la remunerazione richiesta a copertura del rischio finanziario e del business risk.

Facendo riferimento al Capital Asset Pricing Model (CAPM) il costo del ca-

pitale proprio è dato dalla somma tra il rendimento di attività prive di rischio e il premio per il rischio operativo e finanziario dell’impresa.

Ke = rf + Betalevered × MP.

Dove:

rf = è il tasso di interesse risk free;

MP = è il premio di mercato (Market Premium), inteso come differenza tra

il rendimento atteso ed il tasso di interesse risk free.

Il Beta, come già accennato, rappresenta il rischio sistematico legato all’in- vestimento, ed esprime la variazione del prezzo di un titolo al variare dell’indi- ce di mercato.

Tale coefficiente è legato alla struttura finanziaria dalla seguente relazione: Betalevered = Betaunlevered

⎥⎦ ⎤ ⎢⎣ ⎡ + E D t) 1 ( 1 . Dove:

Betalevered = beta dell’impresa indebitata;

Betaunlevered = beta dell’impresa non indebitata.

Il costo del capitale proprio, esplicitato in funzione della struttura finanzia- ria, diventa: Ke = rf + Betaunlevered ⎥⎦ ⎤ ⎢⎣ ⎡ + E D t) 1 ( 1 MP.

24 Per la stima di tale coefficiente si può ricorrere al metodo statistico dei minimi quadrati,

Il wacc: Weighted Average Cost of Capital

La media ponderata delle due componenti di costo analizzate rappresenta il

c.d. wacc, ossia il costo complessivo che l’impresa sostiene per raccogliere le

risorse finanziarie dai soci e da terzi finanziatori. In formula: wacc = K D K K E Ke + d 25 Dove:

Ke = costo dell’equity; Kd = costo del debito;

K = capitale investito netto = D + E.

che, sviluppando Ke e Kd, diventa:

K D t K D i K E MP E D t r wacc f unlevered ⎥ ⎦ ⎤ ⎢ ⎣ ⎡ − × ⎟ ⎠ ⎞ ⎜ ⎝ ⎛ +δ× + ⎭ ⎬ ⎫ ⎩ ⎨ ⎧ ⎥⎦ ⎤ ⎢⎣ ⎡ + β + = 1 (1 ) (1 ) 26.

Il costo medio ponderato del capitale dipende dunque dalla struttura finan- ziaria ed in particolare può essere esplicitato in funzione dell’indice di indebi-

tamento; ne consegue che il mix tra debito ed equity determina un suo maggior

o minor valore e tale assunto assegna un ruolo determinante alla politica finan- ziaria dell’impresa.

Tralasciando le comprensibili difficoltà di percorso che affronta chi deve stimare il wacc di un’impresa (obiettivo del presente lavoro è quello di eviden- ziare gli effetti incentivanti della struttura finanziaria, in relazione alle connes-

25 Si vedano F. M

ODIGLIANI-M. MILLER, The Cost of Capital, Corporate Finance and The

Theory of Investment, in American Economic Review, n. 48, 1958.

26 Tale formulazione permette di ricavare, esclusivamente da un punto di vista matematico, il

rapporto di indebitamento che rende minimo il costo medio ponderato del capitale; si veda, in tal senso, E. CASTELLANI, Struttura finanziaria ottimale di impresa e creazione di valore, in Analisi

Finanziaria, n. 42, p. 13 ss. L’autore descrive l’andamento di una parabola, del tipo y = ax2 + bx + c,

in cui la variabile indipendente (x) è rappresentata dal rapporto D/K e la variabile dipendente (y) è il wacc; il rapporto di indebitamento che rende minimo il costo medio ponderato del capitale coincide con l’ascissa del vertice della parabola (– b/2a); l’allineamento della struttura finanziaria a tale rapporto di indebitamento comporta un risparmio sul costo del capitale e, con riferimento alla valutazione del capitale economico, un incremento variabile in ragione dell’orizzonte temporale preso come riferimento per la valorizzazione. Giova ricordare, tuttavia, come tale approccio risulti valido con riferimento ad un “rischio” legato ad una specifica attività dell’impresa, ovvero ad un’opportuna combinazione di rischi legati ad attività differenti, e come comprensibilmente possa risultare arduo stabilirne la variazione in funzione di un impiego del capitale legato allo sviluppo di nuove attività; in tal senso si veda A. DAMODARAN, Finanza Aziendale, cit., p. 331 ss.

sioni di quest’ultima con la creazione di valore ed alle influenze sulla redditivi- tà operativa), giova tuttavia ricordare un principio generale da seguire, che è quello di determinare un costo del capitale che rispecchi le caratteristiche della configurazione scelta.

Per la determinazione del wacc, è opinione unanime che sia necessario deli- neare la struttura finanziaria prospettica d’impresa cioè quella struttura che sarà punto di riferimento per il management in futuro, tenendo conto del settore in cui opera l’impresa e del rischio operativo a cui è esposta.

Si dovrà stimare un ricorso all’indebitamento caratterizzato da profili tempo- rali e forme tecniche compatibili agli impieghi, al fine di raggiungere la soste- nibilità nel medio – lungo periodo della struttura finanziaria.

La definizione del wacc, introducendo il legame tra rendimento, costo del ca- pitale e creazione di valore (intesa come grandezza residuale), apre, in un certo

senso, il dibattito sulla la ricerca di un rapporto ottimale di debito/equity che,

intuitivamente, sembrerebbe coincidere con la minimizzazione del costo di ap- provvigionamento della risorsa capitale.

Tuttavia le argomentazioni inerenti la ricerca di una struttura finanziaria o- biettivo non si esauriscono nell’individuazione di un indice, ma riguardano ri- flessioni di ben più ampia portata sulla combinazione che meglio si adatta al ri- schio implicito di business ed al fabbisogno finanziario richiesto dalle strategie

operative; come meglio sarà chiarito nel prosieguo del lavoro27 anche i vantag-

gi derivanti da una riduzione della pressione fiscale costituiscono un effetto in- centivante alla determinazione delle fonti di finanziamento dell’impresa.

In conclusione giova sottolineare, in linea con le considerazioni svolte sulla creazione di valore per l’impresa, il ruolo delle decisioni sulla struttura finan- ziaria, in particolare dando una risposta ai seguenti quesiti: quale composizione delle fonti permette di ottenere il differenziale più elevato? È la struttura che corrisponde al costo medio ponderato del capitale minimo, ovvero quella che consente il più ampio respiro finanziario in termini di flessibilità dell’impresa? Quanto conta il profilo strategico dell’impresa in questo processo di determina- zione della struttura e nelle scelte di politica finanziaria?