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Esiste una struttura finanziaria ottimale?

La struttura finanziaria limite e quella obiettivo

5.2. Esiste una struttura finanziaria ottimale?

Nel precedente Capitolo 2 si è visto come il dibattito dottrinale sviluppatosi in relazione al tema della struttura finanziaria ottimale, abbia prodotto un’ab- bondante letteratura che, tuttavia, non è riconducibile ad un modello generaliz- zabile; ciò poiché il mix ideale delle diverse fonti di finanziamento rappresenta il momento di sintesi di un processo decisionale più ampio e connesso alle scel- te di governo dell’impresa.

Tradizionalmente, secondo la teoria classica, l’analisi della struttura finan- ziaria è strettamente collegata al costo medio ponderato del capitale, sintesi dell’onerosità delle fonti di finanziamento delle attività d’impresa.

Tale visione della finanza trova nel costo del capitale l’unico parametro per la misurazione del valore creato dalla gestione dell’impresa ed individua la struttura finanziaria ottimale nella combinazione di fonti di finanziamento che rendono minimo il costo del capitale, consentendo di massimizzare il valore del capitale economico dell’impresa.

Le note proposizioni di Modigliani e Miller, frutto di una lunga ricerca sul- l’argomento, conclusero, anche in presenza di imposte, sull’inesistenza di una struttura finanziaria ottimale, dimostrando l’irrilevanza che differenti combina-

zioni delle fonti di finanziamento avevano nei confronti del costo medio ponde- rato del capitale e, di conseguenza, del valore dell’impresa.

Lo studio, che valse agli autori il premio Nobel per l’Economia, è entrato a far parte integrante di qualunque manuale di Finanza Aziendale ed ha stimolato ricerche e teorie successive che, considerando lo scenario utilizzato da Modi- gliani e Miller per dimostrare le famose proposizioni, analizzarono, talora an- che in una diversa ottica, fattori e circostanze che le proposizioni avevano tra- scurato.

In particolare il fattore fiscale, prima, ed il rischio del dissesto, successiva- mente, furono le determinanti principali per lo sviluppo della teoria del trade-off. Le imposte ed i costi diretti ed indiretti di un probabile fallimento dell’im- presa rappresentano fattori legati all’indebitamento e ne descrivono, insieme ad altri, i vantaggi e gli svantaggi; esisterebbe quindi un trade-off che permette di giungere alla determinazione di una struttura finanziaria ottimale in cui l’im- presa, in modo differente a seconda del trade-off relativo, sceglie il proprio in- debitamento ottimizzando il bilanciamento dei costi e dei benefici connessi.

Secondo la teoria del trade-off non esiste una struttura finanziaria ottimale per tutte le imprese, ma ogni impresa deve ricercare il massimo valore con rife- rimento alla massimizzazione del differenziale tra vantaggio fiscale e costo del dissesto. In tal senso le imprese con attività tangibili ed imponibili elevati do- vrebbero tendere ad elevati rapporti di indebitamento, mentre le imprese con attività rischiose ed intangibili troverebbero maggiore convenienza a finanziarsi attraverso capitale proprio2.

Le imperfezioni dei mercati finanziari e l’esistenza di asimmetrie informati- ve tra impresa ed ambiente esterno ha sviluppato filoni di ricerca orientati a chiarire il comportamento delle imprese in base allo studio dei segnali inviati dal management al mercato ed alle esigenze di controllo che l’organo di gover- no, anche con riferimento agli assetti proprietari, tenderebbe a realizzare, anche in conflitto con i fornitori del capitale (teoria manageriale, teoria delle asim-

metrie informative e teoria dei segnali).

Le diverse reazioni del mercato suggerite da tale filone teorico, confermano ed integrano i risultati raggiunti, anche sotto il profilo empirico, dalla teoria dell’or-

dine di scelta (pecking order hypotesis), in relazione alla quale si è dimostrato

come le imprese seguano delle specifiche “preferenze” nel ricorrere a fonti di fi- nanziamento esterne.

2 Come noto la teoria del trade-off non è supportata empiricamente da un riscontro oggetti-

vo: le imprese con redditi imponibili elevati farebbero maggior ricorso all’autofinanziamento, mentre quelle dove lo scudo fiscale è rappresentato da elementi diversi dagli oneri finanziari, ricorrerebbero maggiormente al debito.

Secondo la teoria dell’ordine di scelta, priorità sarebbe data all’autofinan- ziamento per sviluppare i progetti e le attività aziendali: solo in mancanza di fonti interne il management farebbe ricorso al mercato, esponendosi al suo giu- dizio ed alle valutazioni sulla percentuale di flessibilità finanziaria dell’impresa stessa.

In caso di ricorso al mercato, i titoli obbligazionari, eventualmente e subor- dinatamente “convertibili”, sarebbero preferiti dalle imprese rispetto all’emis- sione di nuove azioni o altri incrementi del capitale proprio.

La separazione tra proprietà e controllo dell’impresa, nonché, ancora una volta, le asimmetrie informative, riflesse nei costi che i fornitori del capitale do- vrebbero sostenere per garantirsi una copertura dei rischi derivati dal conflitto di interessi con il management, sono alla base della teoria dell’agenzia.

Indebitamento e capitale proprio rappresentano leve significative nella gestio- ne del controllo del potere all’interno della società, e l’identità fra gestori e pro- prietari o la separazione azionisti/managers genera situazioni di sub-ottimalità ri- spetto agli obiettivi di crescita del valore che dovrebbero caratterizzare una ge- stione orientata all’ottimizzazione dei molteplici interessi degli stakeholders.

Le decisioni di overinvestment, giustificate da logiche di crescita dimensio- nale ovvero di underinvestment, supportate unicamente da azionisti privi di controllo, generano i cosiddetti costi d’agenzia connessi al capitale di rischio, mentre i conflitti tra azionisti ed obbligazionisti sono la base del costo d’agen- zia del debito.

La combinazione debito/equity, sarebbe quindi la risultante, secondo la teo- ria dell’agenzia, della necessità di limitare decisioni sub-ottimali; in particolare, attraverso il rapporto di indebitamento l’impresa può aumentare il vincolo della restituzione del capitale imponendo al management una gestione più efficiente e comunicando indirettamente al mercato una capacità di rispettare gli impegni assunti con i portatori di capitale3.

La struttura finanziaria ottimale risulterebbe dalla combinazione di debito e capitale proprio in grado di minimizzare i relativi costi d’agenzia connessi.

In sintesi giova sottolineare come, al di là della posizione assunta da Modi- gliani e Miller4, la maggior parte delle teorie sviluppatesi sulla struttura finan- 3 Sotto questo profilo ed in relazione al meccanismo disciplinare del debito, la teoria dell’agen-

zia concorda con la teoria della creazione di valore che considera il rapporto di indebitamento un indicatore dell’ammontare di denaro “impaziente” dell’impresa, che dovrebbe essere aumentato da quelle imprese che, trovandosi in settori caratterizzati da scarsa volatilità e/o business stabili e ci- clici, potrebbero in tal senso meglio orientare la struttura finanziaria con il profilo strategico assunto.

4 Modigliani e Miller dimostrano l’irrilevanza della struttura finanziaria basandosi sul ren-

dimento del capitale proprio. In realtà costo e rendimento del capitale non coincidono poiché, a

ziaria, riconosca l’esistenza di un rapporto ottimale tra il capitale di debito ed il capitale proprio dell’impresa; gli elementi unificanti sono rappresentati dal co- sto del capitale, dal rendimento, dal profilo strategico dell’impresa e dagli as- setti proprietari e di governance, oltre che, come meglio sarà chiarito nel pro- sieguo del capitolo, dal rischio.

Se è vero infatti che la struttura finanziaria ottimale debba essere collegata al costo ed al rendimento del capitale proprio, cioè da variabili di tipo finanziario, la loro dinamica, rispetto alla combinazione delle fonti assunta dall’impresa, dipende da variabili reali, cioè collegate alla gestione operativa dell’impresa.

Attraverso lo sviluppo concettuale del rischio operativo e delle relazioni con la struttura finanziaria, andremo ad identificare un comportamento decisionale che, in presenza di capacità distintive, porterebbe l’impresa ad assumere una compo- sizione delle fonti di finanziamento compatibile con i processi di ottimizzazione della creazione di valore e dell’approccio sistemico al governo dell’impresa.

Per definire tale struttura giova ripercorrere i meccanismi che regolano la de- finizione della struttura finanziaria attraverso il modello della leva finanziaria.