Le teorie sulla struttura finanziaria
2.3. La teoria dell’ordine di scelta
2.3.1. La teoria manageriale
La teoria dell’ordine di scelta delinea una strategia di autosufficienza finan- ziaria, coerente con gli obiettivi manageriali di sopravvivenza e indipendenza.
Donaldson30 formula una teoria manageriale dell’impresa che pone in risalto
la distinzione tra l’obiettivo della direzione (la massimizzazione del patrimonio aziendale in un arco di tempo medio-lungo) e gli obiettivi degli altri gruppi di
stakeholders, tra cui i finanziatori, a titolo di proprietà o di credito. L’obiettivo
del management risponde alle motivazioni di sopravvivenza e salute dell’im- presa nel lungo termine, e di libertà nel prendere le decisioni strategiche senza subire influenze di soggetti esterni.
250 della classifica di “Fortune”, per un periodo di tempo esteso, costituiranno la base per la formulazione della teoria manageriale.
29 Il sondaggio effettuato da J.M. P
INEGAR-L. WILBRICHT, What managers think of capital
structure theory: a survey, in Financial Management, vol. 18, 1989, ha chiesto al management
delle imprese di elencare le fonti di finanziamento in ordine di preferenza; l’ordine di scelta in- dividua rispettivamente il capitale netto interno, il capitale netto esterno, il debito, le azioni pri- vilegiate ed i titoli ibridi (obbligazioni convertibili in azioni, ecc.).
30 Il contributo allo sviluppo della teoria manageriale si trova in G. D
ONALDSON, Corporate
Tradotto in termini operativi, l’obiettivo garantirebbe una gestione dell’im- presa orientata ad una crescita tale da sostenere la competitività delle combina- zioni prodotto-mercato vitali per i flussi di reddito dell’impresa. Il desiderio di autonomia, autosufficienza, controllo dell’investimento strategico, impongono il finanziamento della crescita con fonti di fondi continue, affidabili e libere da restrizioni discrezionali.
Tra queste è opportuno ricordare che gli utili non distribuiti sono la fonte di fondi sulla quale la direzione ha la migliore informazione possibile e un elevato controllo, mentre le fonti esterne sono caratterizzate da elevati gradi di incer- tezza in termini di tempi, costi e risorse acquisibili.
Nel campione esaminato, il ruolo dei mercati dei capitali è limitato nel senso che i dirigenti vi ricorrono in presenza di circostanze straordinarie, mentre, in linea generale i finanziatori dell’impresa hanno la tendenza a ritenere le proprie azioni sottovalutate: le aspettative di risultati futuri sembrano migliori per i soggetti interni che hanno la responsabilità di ottenerli, rispetto agli investitori esterni.
Per quanto riguarda il mercato del credito, si è rilevata la tendenza da parte delle imprese (del campione preso in esame) ad adottare una politica di indebi- tamento conservatrice: l’assunzione di debito entro limiti molto ristretti consen- te di considerare l’indebitamento un’estensione dei fondi generati internamente, quasi una riserva di attività liquide sicure e fuori bilancio, per fronteggiare fab- bisogni imprevisti.
Questa strategia di autosufficienza finanziaria, implica un vincolo alla cre- scita del fabbisogno dal momento che le fonti interne sono limitate nella di- mensione e diluite nel tempo.
Sulla base di queste considerazioni Donaldson31 esprime in termini analitici
l’obiettivo di crescita sostenibile, cioè il tasso di crescita delle vendite compati- bile con la strategia finanziaria delineata:
g(s) = r[RONA + d(RONA – i)]
con
RONA = redditività operativa dell’attivo al netto delle poste rettificative
del passivo e delle fonti di risorse non onerose;
r = tasso di ritenzione degli utili;
d = rapporto di indebitamento mezzi di terzi su mezzi propri;
i = tasso di interesse atteso sul debito, al netto delle imposte.
31 Si veda anche G. D
L’ipotesi manageriale evidenzia un divario in termini di obiettivi fra proprie- tà e controllo; infatti, non necessariamente l’obiettivo di massimizzazione della ricchezza degli azionisti coincide con l’obiettivo della massimizzazione del pa- trimonio aziendale.
Questo divario potrebbe essere spiegato da una non efficienza del mercato azionario; nell’indagine di Donaldson, l’obiettivo del valore di mercato, non compare mai esplicitamente come obiettivo della direzione, anche se la direzio- ne pone attenzione alle variabili da cui dovrebbe dipendere l’apprezzamento del mercato, quali il ROE, l’utile per azione e la sua crescita, i dividendi. La dire- zione è scettica sulla traduzione della buona gestione di queste variabili in un aumento della ricchezza per l’azionista32.
Nella teoria manageriale, il contrasto tra azionisti e management si risolve a favore dell’obiettivo manageriale come obiettivo superiore rispetto a quello de-
gli altri stakeholders: il management è portatore di interessi propri, ma è anche
mediatore dell’intera gamma di priorità di gruppi di interesse e dei gruppi so- ciali chiave che interagiscono con l’impresa e sono essenziali per la sua soprav- vivenza.
Va precisato, però, che la teoria manageriale di Donaldson nasce dall’inda- gine condotta su di un campione di imprese la cui struttura risulta piuttosto va- riegata: nel campione sono ricomprese sia aziende ad azionariato diffuso, sia aziende a proprietà azionaria concentrata, a carattere familiare; l’ipotesi tuttavia risulta validamente verificata33.
In Italia l’ipotesi manageriale ha trovato supporto empirico in un’indagine
condotta da Ravazzi34, il quale, con riferimento ad un campione Mediobanca di
1.207 società, ha rilevato che nel nostro paese, data la struttura proprietaria concentrata delle imprese, l’ipotesi manageriale si basa non tanto sui conflitti
32 Condivisibile, soprattutto con riferimento alla realtà finanziaria del nostro paese, risulta il
tema del divario tra valore economico e valore di mercato del capitale azionario, in ragione del- l’inefficienza del mercato dei capitali nazionale; a tal proposito si rimanda alla distinzione tra “creazione” e “diffusione” del valore ampiamente trattata in L. GUATRI, La teoria di creazione
del valore: una via europea, Egea, Milano, 1991, p. 139 ss.
33 Donaldson ha considerato l’aspetto della struttura proprietaria delle aziende del campione,
in ragione della sua rilevanza in termini di rapporto fra azionisti e dirigenti, ed ha osservato che i dirigenti delle imprese possedute da un gruppo familiare di riferimento sono lasciati addirittura più liberi nella scelta e realizzazione degli obiettivi economico-finanziari; ciò implica che la proprietà concentrata non comporta necessariamente il prevalere dell’interesse dell’azionista sul sistema degli obiettivi economico-finanziari dell’impresa. Nelle imprese ad azionariato diffuso è la dirigenza che fissa le sue priorità, l’azionariato si adeguerà ad esse.
34 P. R
AVAZZI, Strategia manageriale e vincoli finanziari: un’indagine sul comportamento
d’interesse tra management ed azionariato diffuso, quanto sul grado di identifica- zione tra impresa, gruppo di controllo e management, e gli azionisti minoritari.
L’indagine ha rilevato gli obiettivi degli azionisti di maggioranza come obiet- tivi di massima crescita (con il vincolo del reperimento delle risorse attraverso l’autofinanziamento interno); la strumentalità dell’obiettivo di elevata redditività con quello di autonomia finanziaria; una politica conservatrice di indebitamento, che consenta di ridurre la dipendenza dalla crescita dal debito, strumento di poli- tica monetaria restrittiva; una politica dei dividendi rispondente alla duplice esi- genza di segnalare al mercato lo stato di salute dell’impresa e le sue prospettive di performance, evitando shock sui mercati finanziari ed infine una maggiore onerosità del ricorso al capitale proprio rispetto dell’indebitamento che giustifica, almeno empiricamente, l’atteggiamento del management verso la politica di fi- nanziamento dell’impresa.