1.2 LE TEORIE SULL’INTERNAZIONALIZZAZIONE D’IMPRESA 21
2.4.1 IL COSTO DEL LAVORO 104
Il periodo storico attuale è considerato essere un periodo transitorio per molti Paesi e zone geografiche dell’intero pianeta. La situazione economico-‐sociale di molte nazioni, infatti, sta cambiando a vista d’occhio, crescendo, e permettendo a sempre più Stati di poter concorrere all’interno dei mercati internazionali con le economie più sviluppate. Di conseguenza ai processi di globalizzazione economica – la cui efficacia assoluta ai fini della lotta alle disuguaglianze è tutt’oggi messa in dubbio da molti – il panorama del mercato del lavoro ha subito forti evoluzioni. È in corso un processo di redistribuzione economica e dei redditi, i cui effetti hanno condotto i Paesi emergenti ad aumentare il livello medio interno dei salari, ed i Paesi sviluppati a mantenerlo quasi inalterato, specialmente a causa dell’ultima crisi economica. Questa situazione, ovviamente, ha capovolto gli interessi di tutti quegli imprenditori che avevano delocalizzato la produzione in quelle nazioni i cui vantaggi comparati stavano appunto nell’offerta di manodopera a basso costo.
COSTO DEL LAVORO VICINANZA COSTI DI TRASPORTO REGOLAMENTAZIONI HIDDEN COSTS (costi nascosti) PRODUTTIVITÀ MANODOPERA SPECIALIZZATA TASSAZIONE RESHORING
Da questo punto di vista, uno dei mercati del lavoro più intensi è quello asiatico, con la Cina a capo della classifica dei Paesi-‐destinazione dei processi di delocalizzazione produttiva. Soprattutto in questa area geografica, pertanto, si è registrato un importante aumento dei salari, come peraltro indicato nella figura 2.4, in cui si evidenzia la crescita percentuale dei salari di dieci Paesi asiatici nel decennio che va dal 2000 al 2010.
Figura 2.4 – CRESCITA PERCENTUALE DEI SALARI NEL MERCATO DEL LAVORO ASIATICO
Fonte: Asian Development Bank
L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), per l’appunto, afferma che i salari reali asiatici dal 2000 al 2008 siano aumentati per una percentuale che va dal 7.1% al 7.8% annuo, a differenza della crescita dei Paesi industrializzati che invece stagna tra lo 0.5% e il 0.8%. Particolari, inoltre, sono i dati inerenti ai salari dei top manager, che in Paesi come Cina, Brasile e Turchia hanno raggiunto quelli americani ed europei, in alcuni casi persino superandoli. Infatti, dopo la crisi economica del 2008, nel nord del mondo si è potuto assistere ad una contrazione – di livello differente in base alle specifiche nazioni, ma comunque generalizzata – sia delle economie sia dei salari.
Contrazioni che per nulla hanno interessato la Cina, al mondo la nazione che più di tutte ha fatto registrare una crescita dell’economia e dei salari, con medie del 10% annuo tra il 2000 e il 2005, sino ad arrivare persino al 19% nei cinque anni successivi. In figura 2.5 è possibile notare l’aumento del livello salariale medio
0% 5% 10% 15% 20% Filippine Sri Lanka Malesia Singapore India Tailandia Corea del Sud Indonesia Vietnam Cina
cinese, basato sui dati forniti dalle più grandi città del Paese, Shangai, Pechino e Tientsin, poli attrattivi degli investimenti esteri provenienti da tutto il mondo.
Figura 2.5 – CRESCITA MEDIA DEI SALARI IN CINA (su base annua)
Fonte: National Bureau of Statistics of China
Un progresso, quindi, determinato prevalentemente proprio dalla massiccia presenza di multinazionali europee ed americane che hanno portato in Cina ingenti investimenti diretti e lavoro, favorendo così la produzione interna e la spesa. Tutto questo ha inoltre facilitato l’aumento del benessere, dei costi della vita ed incoraggiato la nascita di nuovi modelli di consumo propriamente occidentali, che richiedono elevati salari e creano maggiori aspettative nei lavoratori, non più disposti a sottostare alle ferree leggi del lavoro, che tutt’oggi in alcune aree geografiche ancora impongono orari e condizioni di impiego ai limiti dello sfruttamento.
Tale quadro ambientale in evoluzione, però, specialmente considerata la riduzione della forbice tra i livelli salariali occidentali ed orientali, negli ultimi anni ha condotto le stesse multinazionali a ripensare alle proprie strategie di offshoring, portando alcune di queste a propendere per scelte di ri-‐localizzazione, in altre nazioni – in cui il costo del lavoro ancora si mantiene piuttosto basso (Bangladesh, Sri Lanka, ecc.) – oppure nel Paese d’origine (reshoring).
Questa seconda opzione, ormai dalle aziende è considerata proprio per via della stabilizzazione del costo del lavoro dei Paesi avanzati; condizione che se associata ai vari vantaggi legati al produrre internamente, diventa più che rilevante per il rimpatrio produttivo. Nella figura 2.6, per l’appunto, è possibile notare il trend
0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 2004 2008 2012 2013 2014
della crescita – molto basso – del livello medio dei salari europei, calcolato sui dati di ventotto Paesi dell’Unione Europea, nel periodo che va dal 2004 al 2014.
Figura 2.6 – CRESCITA MEDIA DEI SALARI IN UE (su base annua)
Fonte: Eurostat
Nel 2014 il livello di crescita medio supera di poco il 24%, dato numerico che nulla a che fare con quello cinese, il cui tasso attuale tocca il 209%. Ovviamente, c’è da considerare che in termini assoluti il costo del lavoro in Europa è ancora molto più elevato rispetto a quello cinese (figura 2.7), ma la riduzione della forbice comunque rende meno importanti i vantaggi acquisibili delocalizzando.
Figura 2.7 – CONFRONTO DEL LIVELLO MEDIO DEI SALARI TRA UE E CINA (su base annua)
0% 5% 10% 15% 20% 25% 30% 2004 2008 2012 2013 2014 0% 5% 10% 15% 20% 25% 30% 2004 2008 2012 2013 2014
Unione Europea (EU) Cina
Ponendo il focus sul costo del lavoro in Europa, interessante, inoltre, è un
confronto effettuato da Eurostat111, che prende in considerazione il trend salariale
medio (generale) pocanzi analizzato, con quello di cinque nazioni europee:
Germania e Regno Unito112 (Paesi leader dell’UE), Finlandia (l’unico Paese
scandinavo ad aver adottato l’euro), Grecia (Paese in crisi) ed Italia.
Figura 2.8 – CONFRONTO DEL LIVELLO MEDIO DEI SALARI TRA CINQUE PAESI DELL’UE (su base annua)
Fonte: Eurostat
Tutti questi dati, comunque, sono in costante e continua evoluzione, e nel corso del tempo potrebbero cambiare anche radicalmente, in virtù della nascita di nuovi ed inaspettati trend economici. In ogni caso, è innegabile che allo stato attuale delle cose esista un fenomeno di convergenza dei salari tra nord e sud del mondo, e Paesi emergenti ed industrializzati, che gioca un ruolo più che importante nei processi di ripensamento delle strategie di offshoring e nelle conseguenti ri-‐ localizzazioni delle produzioni. Gli imprenditori lungimiranti, seppure guidati dalla ricerca e dal perseguimento di obiettivi di economicità, devono sì prendere in considerazione il mero risparmio nei costi complessivi aziendali, ma devono anche
111 Ufficio Statistico dell’Unione Europea (Eurostat).
112 Il Regno Unito, attualmente ancora Paese europeo, nei prossimi anni potrà non esserlo più. La decisione è stata presa dal popolo britannico stesso, che, in data 23 giugno 2016, ha votato un referendum – di tipo consultativo – sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea (referendum conosciuto anche sotto il nome di “Brexit”). Il “leave”, stante a significare l’uscita dall’Europa, ha vinto con il 51.9%, a discapito del “remain”, fermo al 48.1%. Ad oggi la situazione pare essere bloccata nella fase delle trattative, in cui Regno Unito ed Europa negoziano le condizioni dell’exit.
0% 5% 10% 15% 20% 25% 30% 35% 2000 2004 2008 2012 2013 2014
Media europea (28 Paesi) Finlandia
Germania Italia Regno Unito Grecia
calcolare gli effettivi vantaggi di lungo-‐periodo e cosa sia realmente importante per il successo dell’impresa.
Per completare l’analisi circa i costi del lavoro, però, è necessario approfondire anche il concetto di produttività, tematica di assoluta rilevanza ai fini di una maggiore comprensione.