1.2 LE TEORIE SULL’INTERNAZIONALIZZAZIONE D’IMPRESA 21
1.4.1 LE MODALITÀ DI INGRESSO 47
In quanto descritto finora, si è potuto notare come il commercio internazionale –
tramite specifiche attività di export – e gli investimenti diretti esteri (IDE)40 siano
le principali modalità che le imprese spesso utilizzano per approcciarsi con il mercato estero ed espandere i confini delle proprie attività aziendali oltre quelli nazionali. Come vedremo nelle prossime righe, invece, il commercio e gli IDE sono solamente due delle molteplici soluzioni che le imprese adottano per finalità di internazionalizzazione, ognuna delle quali impatta in maniera differente sui processi decisionali interni.
La tabella 1.3 riassume efficacemente il set di modalità di entrata in un mercato estero “a disposizione” di un’azienda, definita home-‐country, in virtù della decisione di partire con l’analisi prendendo in considerazione un’impresa il cui mercato è inizialmente interamente domestico, e per poi studiarne le possibilità di sviluppo sia geografico sia di mercato.
Tabella 1.3 – LE MODALITÀ DI ENTRATA IN UN MERCATO ESTERO
Categoria Modalità Caratteristiche
Nazionale Nessuna
L’impresa home-‐country è un’azienda puramente domestica che fa affidamento solamente sulle vendite nei mercati del Paese d’origine.
Esportazione Esportazione indiretta L’impresa home-‐country, per chiudere transazioni export, si appoggia su un’altra azienda, spesso un agente di vendita o una società di commercio. Esportazione Esportazione diretta L’impresa home-‐country realizza transazioni export in maniera autonoma.
Contrattuale Licensing
L’impresa home-‐country concede ad un’impresa straniera la licenza per permetterle di adottare il suo processo produttivo (compresi loghi, marchi, design, e brand) nel Paese estero.
Contrattuale Franchising
L’impresa home-‐country concede ad un’impresa straniera la licenza per permetterle di adottare il suo processo produttivo nel Paese estero, ma esercita un maggiore controllo su produzione e marketing, col fine principale di assicurare compattezza lungo i mercati esteri. L’impresa home-‐ country, inoltre, per assicurare questa compattezza, fornisce all’impresa straniera servizi di assistenza.
Contrattuale Subcontracting
L’impresa home-‐country stipula un contratto con un’impresa straniera per la produzione di un prodotto avente specifiche caratteristiche (materiali, processi, e qualità). Forma d’accordo anche conosciuta sotto il nome di «outsourcing» e «contract manufacturing».
IDE Joint Venture (JV)
L’impresa home-‐country costituisce nel Paese estero una separata sede, congiuntamente posseduta da un’impresa straniera.
IDE Mergers and Acquisition (M&A)
L’impresa home-‐country acquista parte (merger) o la totalità (acquisition) delle azioni di un impianto di produzione estero già esistente.
IDE Investimento Greenfield L’impresa home-‐country costruisce nel Paese estero un nuovo impianto di produzione, con un nuovo marchio, e interamente posseduto.
Fonte: basato su Root F. R. (1998), Entry Strategies for International Markets, Jossey-‐Bass, e su Hill J. S. (2009),
International Business: Managing Globalization, Sage
Le scelte di internazionalizzazione, come visto anche in precedenza, possono partire dalla percezione di stimoli interni ed esterni all’impresa. Un eccesso di capacità produttiva, l’entrata di un concorrente nazionale sui mercati esteri, ordini
casuali provenienti da altri Paesi, sono tutte motivazioni alla base del bisogno primordiale di un’impresa ad internazionalizzarsi.
Le operazioni commerciali via export sono considerate essere l’approccio solitamente adottato da una azienda che per la prima volta decide di affacciarsi al mercato estero. Secondo Bernard, economista americano dell’Università di Stanford, avviare un percorso di commercializzazione tramite un processo di esportazione non è una decisione del tutto semplice da prendere, ed i costi aggiuntivi possono confinare tali attività solamente ad una cerchia relativamente
stretta di imprese41. Infatti, si stima che delle aziende localizzate negli Stati Uniti,
ad esempio, solamente il 4% esporta beni; percentuale che cresce al 15% se si
considerano solamente i settori tradable42.
Passando ad un’analisi più approfondita, l’esportazione commerciale è
distinguibile in due tipologie; essa può essere43:
• indiretta: l’impresa home-‐country agisce per mezzo di intermediari di mercato (imprese di export nazionali, trading companies), che svolgono il
lavoro in nome proprio ma per conto di terzi44, poiché esperti del mercato
internazionale. In questo caso le imprese non trasferiscono alcuna attività della propria catena del valore all’estero, e pertanto esercitano un controllo limitato o nullo sulle operazioni di transazione estera, producendo inoltre una bassa conoscenza del o dei Paesi target;
• diretta: l’impresa home-‐country intraprende autonomamente le transazioni di mercato internazionale, quindi non più affidandosi ad intermediari specializzati, e pertanto facendosi carico di tutto il necessario per far sì che gli scambi vadano a buon fine, da un punto di vista di marketing, ricerca, finanza e logistica. Tecnicamente, per raggiungere il Paese destinatario, l’azienda sfrutta principalmente due canali, rappresentati rispettivamente da agenti di commercio, soggetti indipendenti distributori rappresentanti il
41cfr. Bernard A. B., Jensen J. B., Redding S. J., Schott P. K. (2007), Firms in International Trade, Journal of Economic Perspectives
42 Un tradable è un prodotto o un servizio che nasce per essere venduto in un’area geografica differente rispetto a quella in cui è stato prodotto.
43 cfr. Demattè C., Marafioti E., Perretti F. (2013), Strategie di Internazionalizzazione, Egea
44 Alcune volte tali intermediari di mercato possono operare anche in nome e per conto proprio, comprando dal venditore nazionale e acquisendosi il rischio dell’invenduto.
Paese estero, o filiali estere, invece collegate all’azienda. Comunque, nonostante i costi aggiuntivi, i vantaggi derivanti dalla gestione diretta dei propri flussi di mercato export sono molteplici: innanzitutto aumenta il grado di controllo, principalmente su prezzi e distribuzione del prodotto, poi l’impresa beneficia di un accesso più facile alle informazioni, necessarie per competere al meglio, ed infine ha una gestione più efficace degli elementi intangibili, tra i quali marchi e brevetti.
E’ possibile, comunque, che un’impresa, ad un certo punto della propria crescita internazionale, possa sentire il bisogno di espandere la produzione all’estero, poiché magari insoddisfatta del metodo via export. Questa scelta può derivare da motivazioni differenti, ma principalmente la necessità primaria è quella di seguire il prodotto nel percorso di distribuzione e vendita, potendo gestire al meglio costi e prezzi finali, le relazioni con i protagonisti del mercato e garantendo gli opportuni servizi ai consumatori. In ogni caso, la mancanza di esperienza nei processi di produzione oltreconfine può indurre l’impresa home-‐country anche a dubitare di portare avanti in solitudine progetti come questo, e quindi a considerare la possibilità di utilizzare modalità contrattuali di presenza estera. Tali sistemi di entrata nel mercato internazionale, seppure ancora non si basino su relazioni di proprietà, fanno leva su rapporti di mercato e sulla stipulazione di precise condizioni commerciali tra imprese situate in Paesi differenti.
Le tre tipologie di forme contrattuali più diffuse in termini di adozione sono45:
• il licensing: accordo in cui il licensor (licenziante) concede al licensee (licenziatario) il diritto di distribuire o produrre un bene a fronte del pagamento di royalty, ovvero un compenso economico legato alle specifiche condizioni del contratto stipulato. Solitamente, infatti, sono previste molte clausole, che disciplinano i rapporti delle parti in termini di minimi garantiti, possibilità di recesso, e diritti e doveri in generale. La licenza è normalmente concessa per quei marchi, prodotti o processi produttivi, legati a uniche specificità tecnologiche o di immagine, e che consentono al proprietario di godere di esclusivi vantaggi di costo o di differenziazione rispetto ai
45 cfr. Reinert K. A. (2012), An Introduction to International Economics, New Perspectives on the World
concorrenti 46 . Tali accordi, inoltre, spesso sono considerati essere
l’alternativa agli IDE più adottata, per la vendita di prodotti oltre i confini nazionali soprattutto qualora le strategie di esportazione possano rivelarsi economicamente poco vantaggiose;
• il franchising47: accordo in base al quale il franchisor, un’impresa leader ben
conosciuta sul mercato, concede al franchisee il diritto a utilizzare un prodotto o un modello di business in cambio di royalty. Solitamente è un contratto impiegato per la gestione dei processi distributivi – rispetto a quelli produttivi – nei quali il franchisee è legittimato ad operare usando marchi, nome, insegna, brevetti e know-‐how del franchisor, che nella maggior parte dei casi fornisce anche i prodotti destinati a finire sui mercati target. Questa modalità di ingresso offre buoni vantaggi, garantendo all’impresa home-‐ country un elevato controllo sulle attività delle subordinate, incentivate tra l’altro ad un attento rispetto delle regole, e dando la possibilità di sviluppare velocemente la rete estera di distribuzione, con relativamente bassi investimenti. Ciononostante, lo svantaggio principale è rappresentato da una limitazione nei profitti del franchisor, che virtualmente consegna parte dei propri redditi alle aziende satellite;
• il subcontracting: modalità di entrata in un mercato estero mediante l’utilizzo di contratti – perlopiù di produzione – con imprese estere, che attivano processi di creazione di prodotti secondo indicate specificità, in termini qualitativi, di processo e di materiali utilizzati. Trattasi di una forma di penetrazione dei mercati che negli ultimi anni ha fatto registrare aumenti significativi, soprattutto nei settori del tessile-‐abbigliamento e dell’elettronica. Spesso al subcontracting si associano il «contract
manufacturing» ed il «foreign outsourcing», accordi secondo cui un’impresa
internazionale instaura rapporti con produttori locali48 per servire i
46 In molti casi decisioni riguardanti la stipulazione di contratti di licensing impattano con la scelta di difendere determinate tecnologie. Si parla di “technology licensing agreements”, accordi le cui finalità sono di proteggere specifiche tecniche produttive, amministrative e distributive dal pericolo che aziende straniere possano usufruirne indebitamente.
47 In Italia il contratto di franchising trova regolamentazione con la legge 6 maggio 2004, n. 129, titolata “Norme per la disciplina dell’affiliazione commerciale”, che identifica le controparti nelle figure dell’affiliante (franchisor) e dell’affiliato (franchisee).
medesimi mercati, trasferendo tutte le istruzioni secondo cui agire, anche tecniche.
Le forme contrattuali appena analizzate sono considerate essere le più utilizzate e comuni in campo internazionale. Comunque, seppure con minore frequenza, esistono ulteriori accordi che le imprese possono stipulare, e tra questi si citano: il «management contract» (l’impresa entrante figura nel comitato manageriale dell’azienda estera, occupandosi delle sue attività e supervisionandone la gestione) ed il «turnkey contract» (adoperato per la costruzione di impianti da parte di terzi, pronti per essere utilizzati alla consegna).
In ogni modo, la contrattazione non è l’unica via percorsa dalle imprese home-‐ country per produrre all’estero. Esistono, infatti, modalità di presenza internazionale che prevedono la costituzione ex novo o l’acquisizione di strutture produttive/distributive – interamente possedute dall’impresa o congiuntamente con altri soggetti – direttamente nei Paesi esteri target, pertanto considerati ospitanti. Ci si riferisce ad operazioni di investimento diretto estero, già
precedentemente analizzate da un punto di vista prettamente storico e teorico49,
ora invece descritte secondo le particolari modalità esistenti per portarle a compimento.
Come evidenziato in tabella 1.3, è possibile distinguere fra tre differenti tipologie di IDE50:
• la Joint Venture (JV): trattasi di un ente societario che nasce dalla collaborazione di due o più imprese. Nella giurisprudenza comune si distinguono due variabili, definendo “incorporated” la nuova società indipendente che prende vita dall’unione di più soggetti giuridici, “unincorporated”, invece, qualora l’impresa home-‐country entri a far parte di una JV estera per godere dei vantaggi derivanti dai local asset già presenti di quest’ultima. Nel secondo caso, infatti, l’impresa del Paese d’origine beneficerebbe di un set di vantaggi molto ampio, potendo utilizzare sin da subito un pacchetto di risorse chiave già acquisito, come ad esempio una
49 Vedi par. 1.2 (pag. 21).
50 cfr. Reinert K. A. (2012), An Introduction to International Economics, New Perspectives on the World
conoscenza specifica del contesto, del mercato locale, del sistema normativo, e nondimeno un impianto produttivo già esistente. In entrambi casi, invece, i vantaggi sarebbero comunque consistenti, vista la possibilità per tutti i soggetti coinvolti di poter suddividere i rischi derivanti dalla gestione della JV, e l’ammontare totale dell’investimento, sia esso rappresentato da risorse finanziarie, immobilizzazioni o specifiche tecnologie. In ogni caso, comunque, una JV appare come il mezzo utilizzato da quelle imprese aventi finalità di presenza globale, con l’obiettivo ultimo di conseguire importanti vantaggi competitivi, sia in contesti più maturi sia in quelli ancora in via di sviluppo;
• Mergers and Acquisitions (M&A)51: è possibile che un’impresa possa decidere
di inserirsi in un contesto straniero attraverso la rilevazione di una parte (merger) o della totalità (acquisition) di un altro soggetto aziendale già presente nell’area-‐obiettivo. Trattasi dell’approccio maggiormente utilizzato, la forma di investimento estero più comune. Come sottolinea Dicken, economista inglese, il M&A offre infatti la possibilità di poter acquisire un business già funzionante, un’opzione plausibilmente più attrattiva del dover compiere un investimento partendo da zero e magari in un ambiente poco
familiare, scelta probabilmente più difficile e rischiosa52. I vantaggi insiti a
queste decisioni riguardano, quindi, la potenzialità di godere di una situazione aziendale già avviata, sia in termini di presenza nel mercato sia territoriale, consentendo inoltre l’impresa acquisitrice di compiere un investimento globale maggiormente accurato;
• l’investimento greenfield: è l’opzione pocanzi citata, ovvero quella di compiere un investimento in un Paese straniero partendo da zero, e costruire un impianto estero ex novo, sia esso semplicemente una filiale oppure uno stabilimento brand-‐new. È chiaramente la forma di investimento che richiede più impegno, sia economicamente sia in termini di rischio posseduto, ma rappresenta anche la possibilità più concreta di entrare in un mercato estero con un progetto pienamente di proprietà e totalmente controllato.
Ogni modalità di ingresso, pertanto, possiede specifici vantaggi e svantaggi. L’elemento certo è che l’entrata in un mercato estero richiederà sempre un costo, e
51 Forma di IDE anche conosciuta come «brownfield».
toccherà all’imprenditore o ai manager decidere per quale forma propendere. Ciò dipenderà dalle particolari esigenze di ogni impresa, ma senza dubbio ogni valutazione non potrà prescindere dal considerare fattori quali Paese, settore, prodotto e risorse economiche a disposizione.