1.2 LE TEORIE SULL’INTERNAZIONALIZZAZIONE D’IMPRESA 21
1.3.2 IL GLOBAL POSITIONING 37
Le scelte di global ambition sono generalmente susseguite da quelle di «global
positioning». Infatti, una volta determinate le aree geografiche di interesse, è
necessario sia scegliere in quali specifici Paesi competere sia definire una value
proposition35 in linea con il Paese stesso e il segmento di clientela che si è pronti a
servire.
La decisione del mercato geografico in cui insidiarsi è generalmente frutto di un processo articolato in due fasi, dove prima si scelgono i Paesi “candidati”, poi si
selezionano i “vincitori”36. Nella prima fase, i manager, attraverso criteri di macro-‐
segmentazione, cercano di individuare un gruppo di nazioni simili tra loro, per caratteristiche e peculiarità, e conformi alle specificità dell’azienda e dei suoi obiettivi. Tali manovre si raggruppano nel cosiddetto processo di ”clustering delle
nazioni”37, ovvero nel considerare un insieme di Paesi che risultino essere
congruenti alle finalità di internazionalizzazione dell’impresa: sarà scelta una nazione piuttosto che un’altra in base all’obiettivo prefissato, sia esso di raggiungere un nuovo mercato di sbocco per i propri prodotti, di acquisire fattori produttivi a minor costo o di qualità superiore, o ancora per ragioni di localizzazione per il coordinamento della attività transnazionali. Si differenziano, pertanto, cinque tipologie di Paese-‐destinazione:
• key countries: Paesi che, in virtù della propria dimensione, di un elevato tasso di crescita e/o per la presenza di risorse naturali, umane o geografiche strategiche, risultano essere il contesto adatto per sviluppare un rilevante vantaggio competitivo sui propri competitor nel medio-‐lungo periodo;
35 In Business Model Generation (2010), di Alexander Osterwalder e Yves Pigneur, con la definizione value
proposition (o proposta di valore) si “indica il pacchetto di prodotti e servizi che rappresenta un valore per uno specifico segmento di clienti”.
36 cfr. Sanguigni V. (2007), Lo Sviluppo della Competitività Internazionale delle Imprese, Giappichelli
37 Uno degli studi più popolari sui cluster è stato condotto dall’accademico ed economista statunitense Michael Eugene Porter (Ann Arbor, 23 maggio 1947). Secondo la sua definizione un cluster altro non è che
«un’agglomerazione geografica di imprese interconnesse, fornitori specializzati, imprese di servizi, imprese in settori collegati e organizzazioni associate che operano tutti in un particolare campo, e caratterizzata dalla contemporanea presenza di competizione e cooperazione tra imprese.». Trattasi di un fenomeno che porta un
gruppo o un insieme di enti ad agire come se fossero un tutt’uno, sviluppando così un particolare «vantaggio
competitivo che deriva dalla presenza di economie esterne locali e di azioni congiunte». Innovativo è il concetto
di economie esterne locali come mezzo di unione e come boost alla competitività, vantaggi conquistati specialmente per via di spiccate economie di specializzazione e collaborazione.
• emerging countries: Paesi contraddistinti da enormi tassi di crescita, che si rivelano altamente attrattivi per quelle aziende alla ricerca di un ambiente confacente ad obiettivi di sviluppo specialmente in ottica futura;
• platform countries: Paesi caratterizzati da specifiche condizioni politiche socio-‐economiche e geografiche tali da indurre i manager a considerarli nazioni “hub”, particolarmente attrattivi per localizzare cespiti e organizzare la propria attività produttiva in termini di base strategica. Tali specificità spesso sono di ordine legale e finanziario, ma anche logistico;
• marketing countries: Paesi che mostrano buoni livelli di domanda e di mercato ma che, seppur ancora insediabili da questo punto di vista, non appaiono essere strategicamente e competitivamente rilevanti come i key
countries;
• sourcing countries: Paesi con ingenti disponibilità di risorse, materie prime e fattori produttivi in generale, ma con limitate opportunità di mercato. Nello specifico, in base alle risorse presenti, si differenziano tre principali tipologie di sourcing country: labour intensive, capital intensive o research intensive.
Il passo successivo sarà determinare quali Paesi, all’interno del gruppo di quelli scelti − i “candidati” − potrebbero diventare una base idonea per ospitare l’attività dell’azienda in fase di internazionalizzazione. In questa seconda fase, le principali analisi studiano il grado di attrattività di ogni singola nazione, specialmente utilizzando un particolare framework, detto CAGE, che considera le distanze culturali, amministrative, geografiche ed economiche.
La distanza risulta essere un buon metro per valutare l’adattabilità dei e tra i Paesi perché esamina allo stesso tempo differenze e similitudini in maniera multidimensionale, facilitando inoltre il compito dei decisori aziendali, che avranno la possibilità di poter valutare ogni variabile anche a livello di settore industriale. In figura 1.4 si leggono riassunti i caratteri costituenti le possibili distanze, o vicinanze, tra nazioni. E’ in base a questi, e ad approfonditi studi di micro-‐segmentazione e di contesto, che un’azienda percepisce il potenziale grado di adattabilità e accessibilità dell’ambiente ospitante; dalle relazioni con gli stakeholder chiave, al livello di organizzazione interna tra headquarter e sussidiarie, sino ad arrivare ai rapporti con clienti e competitors. La selezione dei
“vincitori”, pertanto, fa parte di un processo di selezione basato sull’analisi di variabili oggettive e soggettive, quest’ultime dipendenti dalle priorità dell’impresa soprattutto in termini di confacenza CAGE.
Figura 1.4 – IL FRAMEWORK CAGE
DISTANZA CULTURALE Lingua, etnicità, religione, sistemi del lavoro, tradizioni,
valori, norme sociali
DISTANZA AMMINISTRATIVA Legami coloniali, accordi commerciali, moneta, sistema legale, politiche di governo,
ostilità politiche, richieste di visti e permessi di lavoro, corruzione
DISTANZA GEOGRAFICA
Distanza fisica, confini territoriali comuni, fusi orari, clima, sbocchi sul mare,
trasporto, comunicazione
DISTANZA ECONOMICA Reddito pro-‐capite, costo del lavoro, disponibilità di risorse umane, capacità
organizzative, dimensione economica
I processi di posizionamento aziendale, in ogni caso, non si saturano alla scelta dei Paesi in cui stabilirsi, ma talvolta, soprattutto in caso di aziende con finalità commerciali, e non solo di insediamento produttivo, proseguono nella definizione del posizionamento anche all’interno del particolare mercato estero. Infatti, oltre ad un piazzamento geografico, è necessario modificare, o alle volte creare, l’offerta di valore con cui presentarsi alle porte del mercato, e quindi al cliente finale. Le principali decisioni coinvolgono la sfera aziendale in primis a livello di value
attributes, se attuare una strategia base di leadership di costo o differenziazione,
poi a livello di customer segments, quindi se orientare la value proposition verso un particolare segmento di mercato o attuare politiche ad ampio raggio d’azione, e infine a livello di standardization, ovvero comprendere il grado di adattamento (o al contrario di standardizzazione) delle caratteristiche dell’offerta del prodotto/servizio a ogni singolo contesto in cui l’impresa opera. Queste scelte, e le varie combinazioni di livello, inevitabilmente porteranno l’azienda ad interpretare globalmente e nei mercati di riferimento un ruolo piuttosto che un altro. Nella figura 1.5 sono elencate otto interpretazioni di ruolo in base all’ambito globale
scelto dall’impresa, ampio o focalizzato che sia, e alle strategie di attuazione scelte, così come descritto per i livelli decisionali uno e tre.
Figura 1.5 – I RUOLI DEL GLOBAL POSITIONING
DIFFERENZIATO STANDARD DI COSTO LEADER DIFFERENZIATO ADATTIVO LOW-‐COST ADATTIVO
Ambito globale ampio Differenziatore standardizzato globale (es. Apple)
Leader di costo
globale
(es. Electrolux, Bic)
Differenziatore
adattivo globale
(es. Unilever, P&G)
Leader di costo
adattivo ampio (es. Mc Donald’s) Ambito globale focalizzato Differenziatore di nicchia standardizzato (es. Kartell) Nicchia standardizzata low-‐cost (es. Ryanair)
Adattivo di nicchia
differenziato
(es. Reggiani Illuminazione)
Adattivo di nicchia
low-‐cost
(es. Lidl)
Fonte: Demattè C., Marafioti E., Perretti F. (2013), Strategie di Internazionalizzazione, Egea
Alla fine dei processi di global positioning, un’impresa in fase di internazionalizzazione sarà in grado di recitare una parte specifica, sia a livello di identità geografica, sia commercialmente, servendo la propria clientela secondo le peculiarità dell’offerta proposta e in base alle caratteristiche della strategia di posizionamento selezionata. Fondamentale, per raggiungere finalità del genere, sarà quindi cercare di sfruttare efficacemente le risorse possedute, e combinare al meglio forze interne ed esterne all’impresa, nell’ordine di generare una forte
customer loyalty, raccordare positivamente ogni componente di rete e soprattutto
garantire un vantaggio competitivo che sia sostenibile nel tempo e che poi porti al raggiungimento degli obiettivi ultimi prefissati.