• Non ci sono risultati.

In seguito alle modifiche al Titolo V della Parte Seconda della Costituzione, l'adozione internazionale costituisce materia di competenza esclusiva dello Stato, poiché riguarda settor

2.1 La “crisi adottiva”

2.1.1 Le parole che definiscono il problema

Molto spesso può accadere che, inconsapevolmente, le famiglie immaginino l'adozione come un legame simile a quello della nascita biologica. In realtà, come ben sappiamo, l'adozione rappresenta l'inserimento di un soggetto, in un nucleo familiare, che possiede un patrimonio genetico e comportamentale maturato altrove.

Vi sono esperienze di adozione dove possono primeggiare sentimenti di disagio o sofferenza per il bambino, o per i genitori, o anche per entrambi.

Il gruppo di lavoro CISMAI, Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l'Abuso all'Infanzia, definisce con il termine “crisi adottiva” “la manifestazione di un disagio

acuto a carico di un minore adottato e/o di altri membri della famiglia adottiva, associato da impossibilità o impotenza a farvi fronte, da parte dei genitori, tale da compromettere il buon esito dell'adozione. La crisi può essere in continuità con un disagio presente sin dall'inizio dell'adozione oppure può esplodere improvvisamente a fronte di un percorso apparentemente non problematico” (CISMAI)55.

Lo stesso gruppo di lavoro definisce anche il concetto “distruption”, ovvero interruzione dell'adozione, una crisi che si trasforma gradualmente verso una sofferenza relazionale così elevata da comportare l'interruzione della convivenza tra genitori adottivi e figlio, ed il successivo allontanamento del minore dal nucleo familiare, sia nella fase dell'affido preadottivo (distruption) sia successivamente, in questo caso definito dissolution56.

La Commissione per le Adozioni Internazionali, nel 2003, ha definito “fallimento adottivo” come “l'interruzione transitoria o definitiva di un rapporto difficile tra genitori e figli adottivi

che culmina con l'effettivo allontanamento del minore dalla famiglia oppure con il suo collocamento in una struttura residenziale di accoglienza” (Commissione Adozioni

Internazionali, 2003)57.

Alcune esperienze adottive, infatti, possono arrivare a tal punto da concludersi con la restituzione del bambino all'istituto o ad un'altra famiglia.

55 www.cismai.org 56 www.minori.it

57 M. Tartari, Le crisi dell'adozione: rappresentazioni ed esperienze di operatori, genitori e ragazzi, Progetto di ricerca

42 Appare utile quindi fare una distinzione tra il concetto di “crisi” e quello di “fallimento”. Il termine crisi viene riferito, in ambito medico, al rapido cambiamento, in meglio o in peggio, del corso di una malattia, oppure, in ambito generale, si riferisce ad una fase della vita individuale o collettiva particolarmente difficile da superare e soggetta a sviluppi più o meno gravi. L'essere in crisi viene definito come attraversare un periodo difficile, pieno di incertezze. Con il termine fallimento si fa riferimento ad un esito negativo, disastroso, un insuccesso totale. È come se questo secondo termine indicasse un carattere di irreversibilità e attribuisse maggiori responsabilità all'attore coinvolto rispetto al termine crisi che ha, invece, carattere di reversibilità e sposta in un certo senso la responsabilità dai singoli attori alla situazione58.

Oltre ai fallimenti adottivi veri e propri, ovvero le esperienze che si concludono con l'intervento del Tribunale per i Minorenni che decreta l'impossibilità nel proseguire l'adozione perché contrario all'interesse del minore, esiste un più esteso ventaglio di esperienze adottive caratterizzate da una forte complessità e/o problematicità. Sono situazioni in cui spesso avviene un mancato riconoscimento reciproco dei ruoli di genitore e di figlio senza arrivare mai necessariamente alla rottura totale e definitiva della convivenza. In questi casi si può parlare di “insuccessi adottivi”. Oppure, ancora, con il termine “adozioni impossibili” si fa riferimento alle situazioni in cui, nel nucleo adottivo in formazione non si sono create le condizioni per decretare o proseguire l'adozione stessa59.

2.1.2 Le ricerche in materia

Una delle questioni che è stata affrontata dalla letteratura in materia è se l'adozione costituisca di per sé un fattore di rischio per lo sviluppo psicologico e relazionale del minore. David M. Brodzinsky, docente di psicologia clinica e dello sviluppo presso la Rutgers University (USA), insieme ai suoi collaboratori, attraverso una serie di ricerche, ha cercato di rispondere a tale quesito, individuando tre filoni di studi:

• studi epidemiologici: hanno esaminato l'incidenza dei soggetti adottati tra gli utenti dei servizi psichiatrici;

• studi clinici: hanno confrontato la sintomatologia manifestata da soggetti adottati e da quelli non adottati;

• studi su campioni non clinici: hanno focalizzato l'attenzione sulle caratteristiche di

58 M. Tartari, “Le crisi dell'adozione: rappresentazioni ed esperienze di operatori, genitori e ragazzi”, Progetto di ricerca finanziato dalla Regione Veneto, 2011. Vedi anche www.regione.veneto.it.

43 personalità e sul comportamento dei minori adottati confrontandoli con i non adottati60.

2.1.3 Studi epidemiologici

Questi studi hanno documentato che i bambini adottati sono spesso sovra rappresentati nei servizi psichiatrici. I dati evidenziano una maggiore fragilità e delicatezza degli adottati e la tendenza a manifestare problemi psichici. Tuttavia questi risultati possono essere letti anche diversamente e visti come una differente modalità di approccio ai servizi da parte delle famiglie adottive. Infatti, come riscontrato degli studiosi Brinich e, successivamente, Warren, i genitori adottivi sono maggiormente portati, rispetto agli altri, a rivolgersi ai servizi psichiatrici nel caso in cui il figlio adottivo presenti problematiche, anche non particolarmente gravi. Questa inclinazione potrebbe essere dovuta ad una abitudine, da parte delle famiglie adottive, a lavorare con i servizi sociali, ma anche al fatto che, di normA, i problemi manifestati dal figlio adottivo vengono immediatamente ricondotti al suo bagaglio ereditario, alle sue origini ed alle precoci esperienze di abbandono e deprivazione, rendendo necessario un intervento da parte dei professionisti61.

2.1.4 Studi clinici

Queste ricerche hanno messo a confronto campioni clinici di soggetti adottati e non adottati al fine di indicare se vi siano o meno sintomatologie simili fra i due gruppi.

I risultati sono concordi nel ritenere che i bambini adottati presentano più frequentemente sintomi di tipo “esternalizzante”, quali ad esempio: comportamenti aggressivi e/o oppositivi, bugie, fughe da casa, uso di sostanze stupefacenti, comportamenti antisociali. Sono stati inoltre rilevati, con maggiore frequenza nei soggetti adottati, difficoltà di apprendimento, deficit di attenzione, iperattività. Non sono state invece riscontrate differenze nell'incidenza di sintomi “internalizzanti” quali depressione, ansia, disturbi di carattere psicotico.

Questi studi hanno preso in considerazione le caratteristiche dei minori in terapia, tralasciando quelle delle loro famiglie, non approfondendo, quindi, se vi siano o meno differenze nelle dinamiche familiari rispetto alle famiglie biologiche. Unica eccezione è rappresentata dalla ricerca di Cohen (1993) la quale evidenzia che “i problemi dei bambini adottati sono

60 D. Bramanti, R. Rosnati, Il patto adottivo: l'adozione internazionale di fronte alla sfida dell'adolescenza, Franco

Angeli, Milano 1998, pag. 23.

44

associati con minore probabilità a disfunzioni familiari rispetto a quelli dei coetanei non adottati” (Cohen, 1993). Si può ipotizzare che i genitori adottivi abbiano più risorse di quelli

biologici, ma è anche vero che i genitori adottivi tendono a ridurre la spiegazione dei problemi del figlio a fattori biologici ereditari, senza prendere in considerazione il ruolo che le eventuali inefficienze nelle relazioni genitoriali possono aver giocato nell'insorgere di tali problematiche62.

2.1.5 Studi non clinici

Queste ricerche hanno confrontato campioni di bambini adottati e non adottati estratti dalla popolazione generale, soggetti che non presentassero sintomi di alcun genere. Questi studi propongono risultati piuttosto contraddittori.

Alcuni non hanno riscontrato differenze tra i due gruppi ad esempio per quanto riguarda la qualità dell'attaccamento nei confronti della madre nella prima infanzia, ed hanno rilevato come i genitori adottivi siano più protettivi e disponibili a fornire aiuto e consigli ai figli, rispetto ai genitori biologici.

In contrasto con questi dati, numerose ricerche evidenziano una maggiore frequenza, negli adottati rispetto ai non adottati, di problemi psicologici e comportamentali, un più basso livello di competenza sociale e un maggior numero di difficoltà scolastiche. Da questi studi si evince, però, che queste differenze tra adottati e non, sono rilevanti durante l'età scolare, ma si riducono sensibilmente durante l'adolescenza, fino a scomparire nella giovinezza.

Secondo Brodzinsky questi disturbi comportamentali ed emotivi “sono il risultato, e la

manifestazione, del processo di elaborazione del lutto per la perdita dei genitori biologici e delle proprie origini” (Brodzinsky, 1995). I bambini in età prescolare non percepiscono fino

in fondo la differenza tra “essere nati” ed “essere adottati”, iniziano a comprenderne il significato a partire dall'età scolare, rendendosi conto che essere adottati implica necessariamente anche essere stati abbandonati. Nasce in questa fase una maggiore consapevolezza dell'esistenza dei genitori naturali e sorgono le prime domande sui motivi che hanno portato all'abbandono.

Brozinsky e Schechter hanno elaborato un modello di superamento dello stress correlato all'adozione il cui assunto fondamentale è che l'adattamento all'adozione è mediato da vari processi e da strategie di superamento63.

62 D. Bramanti, R. Rosnati, Il patto adottivo: l'adozione internazionale di fronte alla sfida dell'adolescenza, Franco

Angeli, Milano 1998, pag. 25.

45 Le variabili che intervengono in questo processo sono:

• variabili legate al patrimonio biologico: corredo genetico ed esperienze prenatali e natali; • variabili legate alla persona: stima di sé, abilità cognitive, fiducia negli altri;

• variabili legate all'ambiente: vincoli e risorse familiari, culturali e sociali, supporto sociale, storia precedente l'adozione.

Le relazioni familiari costituiscono la variabile che influisce maggiormente sul processo di adattamento all'adozione64.

2.1.6 Ricerche italiane

Nel 2011 è stato pubblicato un interessante progetto di ricerca, finanziato dalla Regione Veneto, affidato all'Azienda Ulss n. 3 di Bassano del Grappa e realizzato dall'Università di Padova. La ricerca ha prestato attenzione a quei processi che possono portare:

• al rifiuto del bambino da parte della famiglia o al rifiuto reciproco; • a una irreversibile rottura dei rapporti familiari;

• a una forte e continua conflittualità familiare senza però la rottura dei legami.

“Lo scopo era quello di individuare eventuali cambiamenti e/o miglioramenti per percorsi di sostegno alla genitorialità e alla filiazione adottiva e per la riorganizzazione dei Servizi territoriali e della comunicazione tra le istituzioni coinvolte nel processo” (Tartari, 2011)65.

La ricerca è stata suddivisa in quattro fasi operative:

 la prima, avviata a marzo del 2002, è consistita in un'indagine telefonica alle strutture di accoglienza per i minori;

 la seconda, svoltasi nei mesi di aprile e maggio 2002, ha previsto la somministrazione dei questionari ai responsabili delle strutture;

 la terza, settembre 2002, concerneva l'integrazione dei dati con la consultazione dei fascicoli presenti al Tribunale per i Minorenni;

 la quarta fase era relativa agli approfondimenti sui minori allontanati.

64 D. Bramanti, R. Rosnati, “Il patto adottivo: l'adozione internazionale di fronte alla sfida dell'adolescenza”, Franco

Angeli, Milano 1998, pag. 23-26.

65 M. Tartari, “Le crisi dell'adozione: rappresentazioni ed esperienze di operatori, genitori e ragazzi”, Progetto di

46 I dati raccolti hanno evidenziato la presenza negli istituti di 164 minori provenienti da adozione internazionale. Tale dato, confrontato con il numero medio degli ingressi annuali in Italia dei minori stranieri adottati o in affido preadottivo, con il numero complessivo degli ingressi nel periodo 1986-2001, si attesterebbe al di sotto del 2%. La ricerca ha indicato come il numero dei minori restituiti nell'ambito delle adozioni internazionali sia, più o meno, pari a quello dei minori restituiti provenienti da adozioni nazionali. Mentre l'incidenza di restituzione risulta maggiormente significativa per quelle nazionali rispetto alle internazionali, in quanto i decreti annui di adozione internazionale sono superiori a quelli di adozione nazionale66.

Una seconda ricerca, realizzata in Emilia Romagna e pubblicata nel 2007 da Stefania Lorenzini e Maria Pia Mancini, ha preso in considerazione, in una prospettiva psico- pedagogica e interculturale, 15 casi significativi di adozione internazionale. Particolare attenzione è stata posta nei confronti dei conflitti di tipo culturale riconducibili a pregiudizi e stereotipi, di tipo razziale, nati all'interno della famiglia e del modo in cui questi vengono affrontati dagli operatori dei servizi.

Nel 2003, in Veneto, Galli e Viero hanno pubblicato un lavoro che raccoglie riflessioni cliniche di psicologi, assistenti sociali e psicoterapeuti a partire dalla ricostruzione di casi di fallimento adottivo narrati da ciascuna delle Équipe adozioni dei Servizi Sociali del Veneto. Sono stati evidenziati i fattori di rischio e le dinamiche che possono portare ad un fallimento adottivo. Questa ricerca fa riferimento ad un'indagine quantitativa svolta nell'autunno del 2000 la quale consisteva nell'intervistare telefonicamente i referenti di 45 strutture residenziali per minori in Veneto, che avevano ospitato nei primi dieci mesi di quell'anno complessivamente 425 minori, di cui 52 (cioè il 12,3%) risultava proveniente da esperienze di fallimento adottivo67.

2.1.7 Approfondimento sui dati

Ad oggi, in Veneto, non esiste una procedura di rilevazione della presa in carico delle famiglie adottive che presentano rilevanti problematiche nel processo adottivo.

Anche i fallimenti adottivi, intesi come interruzione transitoria o definitiva del rapporto tra

66 M. Tartari, “Le crisi dell'adozione: rappresentazioni ed esperienze di operatori, genitori e ragazzi”, Progetto di

ricerca finanziato dalla Regione Veneto, 2011, pag. 19-20. Vedi anche www.regione.veneto.it

47 genitori e figlio adottivo, non sono per ora oggetto di registrazione da parte dei servizi sociali, di conseguenza, sono di difficile individuazione.

L'unica procedura amministrativa che consente un primo avvicinamento al fenomeno dei fallimenti adottivi è rappresentata dall'analisi relativa alla rilevazione dei bambini e dei ragazzi accolti nelle comunità residenziali o presso una famiglia affidataria.

In base alla disponibilità dei dati raccolti presso l'Osservatorio Regionale, prendendo in considerazione il periodo 2006-2009, si può osservare che, nel triennio considerato, sono stati 43 i bambini/ragazzi allontanati dalla propria famiglia, che provengono da un'esperienza di adozione: 5 da adozione nazionale e 38 da adozione internazionale. I minori vengono accolti quasi esclusivamente da parte delle comunità residenziali (35 casi su 43), e in minima parte dalle famiglie affidatarie (8 casi su 43). Dai dati è possibile risalire all'età del primo allontanamento: in buona parte dei casi (26 casi su 43) l'allontanamento riguarda la fascia adolescenziale, quindi dai 14 ai 17 anni, mentre i rimanenti casi si concentrano nella fascia tra i 7 e i 13 anni (14 casi) e solo in 2 casi i bambini hanno meno di 7 anni.

Per quanto riguarda i 38 casi di adozione internazionale i ragazzi allontanati provengono maggiormente dal Brasile (9 casi), dalla Russia (5 casi) e dalla Romania (5 casi)68.

Tabella 1. Tassi di fallimenti nell'adozione nazionale (2006-2009)69

Anno Allontanamenti Decreti Tasso fallimenti

2006 2 68 2,94%

2007 2 54 3,70%

2008 1 62 1,61%

2009 0 61 0,00%

Totale 5 245 2,04%

Tabella 2. Tassi di fallimenti nell'adozione internazionale (2006-2009)

Anno Allontanamenti Decreti Tasso fallimenti

2006 13 281 4,36% 2007 8 228 3,51% 2008 11 217 5,07% 2009 6 327 1,38% Totale 38 1053 3,61%

68 M. Tartari, “Le crisi dell'adozione: rappresentazioni ed esperienze di operatori, genitori e ragazzi”, Progetto di

ricerca finanziato dalla Regione Veneto, 2011, pag 117-118. Vedi anche www.regione.veneto.it

48 Dopo questa breve panoramica relativa ai dati italiani, nei paragrafi seguenti andrò ad evidenziare quali possono essere i cosiddetti “fattori di rischio” che possono influire sull'andamento dell'adozione e sull'insorgere di particolari problematiche nel bambino adottato.