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Intervenire nelle situazioni a rischio

In seguito alle modifiche al Titolo V della Parte Seconda della Costituzione, l'adozione internazionale costituisce materia di competenza esclusiva dello Stato, poiché riguarda settor

4.3 Intervenire nelle situazioni a rischio

4.3.1 Quali situazioni di rischio?

Per le particolari situazioni di rischio devono essere predisposte modalità di lavoro adeguate che sappiano rispondere alle specifiche difficoltà che la famiglia adottiva si trova ad affrontare. Pertanto non esiste un modello valido in assoluto, viste le specificità dei singoli casi, ma esistono dei modelli teorici ai quali l’operatore può fare riferimento. Tra i più importanti ricordiamo: “il modello teorico che si rifà all’approccio sistemico e alla teoria

dell’attaccamento ma anche altri paradigmi come quello cognitivista” (Liotti, 2005) e quello “psicodinamico i quali sottolineano l’importanza della storia passata del soggetto, delle relazioni, delle componenti verbali e non verbali e dei sentimenti percepiti dal paziente”

(Wallin, 2009).

L’operatore che si avvicina ad una situazione problematica di una famiglia adottiva deve innanzitutto considerare la tipologia di difficoltà che sta vivendo. Possiamo distinguere tra problematicità fisiologica e situazioni di difficoltà e di sofferenza marcata di uno o più componenti della famiglia:

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 Difficoltà fisiologiche: con questo termine ci si riferisce alle condizioni di difficoltà, non

particolarmente gravi, relative solitamente alla trattazione dei TSA (temi sensibili dell’adozione). Queste situazioni possono essere affrontate attraverso percorsi di consulenza e di sostegno rivolti alla coppia, e/o al figlio e/o all’intero nucleo familiare. Si tratta di casi in cui i consueti temi relativi all’adozione hanno assunto una particolare rilevanza e problematicità per diverse cause: impreparazione di fondo dei genitori adottivi, oggettiva complessità della storia del minore, specifiche caratteristiche del bambino. Nel trattare queste situazioni l’operatore dovrà fare molta attenzione a comprendere se le difficoltà presentate possono costituire un segnale di disagio più profondo e difficile da individuare211.

 Situazioni di sofferenza e di difficoltà: la gravità di questi casi può essere variabile ma è

comunque consistente e riguarda delle significative disfunzioni nelle relazioni familiari e/o nell’inserimento del minore nel nuovo contesto.

Le situazioni si possono così sintetizzare:

- situazioni in cui le problematiche del bambino sono attribuibili prevalentemente alle difficoltà relazionali ed emotive dei genitori;

- situazioni in cui le problematiche del bambino sono dovute prevalentemente alla sua storia passata precedente all’evento adottivo;

- situazioni in cui le problematiche del bambino sono riconducibili all’incontro tra le difficoltà emotive/relazionali dei genitori e il suo vissuto212.

4.3.2 Lavorare con i genitori adottivi

Molto spesso i genitori adottivi oscillano dalla convinzione che la sofferenza del figlio dipenda dal suo passato e dalle esperienze da lui vissute alla convinzione di aver fallito come genitori. Se da una parte sappiamo che i genitori possono avere più o meno responsabilità nel causare il disagio del figlio dall’altra siamo certi che essi hanno sempre un ruolo fondamentale per poterlo rimuovere.

Per un operatore, nel lavoro con i genitori adottivi, è importante:

- costruire il genogramma familiare con informazioni anagrafiche e anamnestiche; - comprendere le motivazioni che li hanno spinti a chiedere aiuto ai servizi;

- rassicurare i genitori e renderli consapevoli di essere la risorsa più importante sulla quale il bambino può contare;

211 M. Chistolini, La famiglia adottiva: come accompagnarla e sostenerla, Franco Angeli, Milano 2010, pag. 194-196. 212 ibidem

128 - far sentire ai genitori di essere dalla loro parte e pronti ad aiutarli.

Alcuni aspetti inoltre meritano di essere tenuti in specifica considerazione nel lavoro con la coppia adottiva. Il primo è sicuramente il ruolo dei genitori: nelle situazioni di difficoltà i genitori adottivi possono provare sentimenti di forte inadeguatezza in quanto gli sembra di non essere capaci di rispondere adeguatamente ai bisogno del figlio. Il timore di essere un cattivo genitore può rimanere latente per poi emergere a fronte di problematiche con il bambino. È importante che i genitori vengano aiutati ad esprimere i propri timori e ad acquisire un sentimento di maggiore legittimità del proprio ruolo genitoriale. I professionisti devono assicurare un supporto emotivo ed uno spazio di riflessione che aiuti ad interiorizzare questi sentimenti213.

Altro aspetto da tenere in considerazione sono le aspettative dei genitori nei confronti del figlio tanto desiderato. Quando il figlio non corrisponde a queste aspettative può nascere un sentimento di delusione che inevitabilmente verrà percepito e si ripercuoterà sul bambino. Questo non vuol dire che esso sia la causa dei problemi del minore ma può rappresentare un fattore di disturbo nella costruzione della relazione genitori-figlio e nel sentimento di reciproca appartenenza. Non è facile per un operatore intervenire di fronte a queste situazioni anche perché, molto spesso, i genitori stessi non vogliono ammettere questo sentimento di delusione. Gli operatori dovranno lavorare con molta cautela e non cadere nell’errore di accusare e stigmatizzare i genitori, bensì cercare di cogliere le loro sofferenze e lavorare con loro. L’intervento dovrà essere svolto con empatia e comprensione cercando di far capire alla coppia che non è facile relazionarsi con un bambino che presenta delle problematiche ma allo stesso tempo cercando di far accettare loro il bambino con le sue caratteristiche e con la sua storia personale. Una volta costruita l’alleanza con i genitori il professionista dovrà concentrarsi sul minore riflettendo sulle motivazioni che stanno alla base del suo comportamento, restituendo poi agli adulti la sofferenza del bambino ed il suo estremo bisogno di essere amato da loro. Successivamente si dovrà lavorare su due livelli: quello

affettivo, approfondendo le ragioni delle difficoltà nella relazione genitori-figlio e facendo

emergere lo stato di disagio e sofferenza che caratterizza questo rapporto, e quello educativo/relazionale, individuando delle strategie da applicare (regole, divieti, spazi privilegiati, ecc.)214.

Un ulteriore aspetto da considerare è quello della relazione di coppia. Nel lavorare con le famiglie adottive spesso si tende a considerare la coppia come un unico individuo, ma

213 M. Chistolini, La famiglia adottiva: come accompagnarla e sostenerla, Franco Angeli, Milano 2010, pag. 196-201. 214 ibidem

129 sappiamo che i coniugi sono diversi per aspettative, vissuti, sentimenti, caratteristiche personali. Di conseguenza ciascuno dei coniugi vivrà l’essere genitore in modo diverso e potrà reagire in modo specifico di fronte ai comportamenti del figlio. Nelle situazioni di crisi la relazione di coppia può diventare uno spazio protettivo di comprensione, all’interno del quale i coniugi possono confrontarsi e sentirsi capiti, all’estremo opposto può diventare invece un altro fattore di rischio che complica ulteriormente le relazioni familiari. Questo può dipendere da alcuni fattori come: la qualità del rapporto di coppia prima della vicenda adottiva, i cambiamenti che l’adozione ha comportato nella vita di coppia e la relazione che ciascuno dei due genitori ha stabilito con il bambino. L’operatore deve saper cogliere e lavorare sugli aspetti che emergeranno, ben sapendo che, spesso, i coniugi tendo a negare l’esistenza di problemi di coppia per concentrarsi maggiormente sulle difficoltà connesse al ruolo genitoriale215.

4.3.3 Lavorare con il minore

Anche la tipologia di intervento da adottare con i minori adottati deve essere valutata di volta in volta in base alle problematiche, all’età del bambino ed alle sue caratteristiche, però si possono individuare alcune aree comuni su cui è opportuno lavorare. Queste sono:

1. Gli eventi traumatici: capire le situazioni difficili a cui il bambino è stato sottoposto prima

dell’adozione risulta importante per comprendere e dare un significato più chiaro ai suoi comportamenti e poter così orientare nel modo più opportuno il lavoro. Gli operatori hanno a disposizione alcuni strumenti specifici utili per rilevare queste situazioni come ad esempio il Trauma Symptom Checklist for Young Children (TSCYC) (Briere, 2005) o il Traumatic Attachment Induction Test (TAIT) (De Zulueta, 2008). Tutti gli operatori che lavorano nel post-adozione dovrebbero avere un minimo di conoscenza sul trauma, in quanto spesso presente nelle vicende adottive. Se si dovessero evidenziare dei disturbi post-traumatici “gli

operatori dovranno avviare un intervento finalizzato alla rielaborazione delle situazioni traumatiche anche attraverso l’utilizzo di apposite tecniche come l’holding216 (Keck, Kupecky, 1995) o l’EMDR”217 (Williams, 2009; Dworkin, 2010).

215 M. Chistolini, La famiglia adottiva: come accompagnarla e sostenerla, Franco Angeli, Milano 2010, pag. 206. 216 Holding è la tecnica dell’abbraccio contenitivo per affrontare le crisi di rabbia del bambino e consiste appunto

nell’abbracciare il figlio e parlargli in modo tranquillo, guardandolo negli occhi, con lo scopo di far sentire il bambino accettato ed amato.

217 EMDR è la tecnica della Desensibilizzazione e Rielaborazione attraverso i movimenti oculari, è stato scoperto che i

movimenti oculari opportunamente pilotati sono in grado di ridurre l’intensità emotiva negativa degli eventi traumatici.

130 2. La storia passata: il compito di sostenere il bambino nel percorso di conoscenza e

rielaborazione del proprio vissuto appartiene ai genitori adottivi ma, a volte, può non essere sufficiente a causa delle ferite profonde portate dal minore, quindi può essere necessario un aiuto esterno. L’intervento varia molto a seconda dell’età del minore. Ad esempio se ci si trova in età adolescenziale è possibile riservare uno spazio individuale, lasciando al di fuori i genitori. L’intervento sarà strutturato partendo dalla ricostruzione degli episodi conosciuti relativi alla storia pregressa per poi passare all’analisi dei significati attribuiti dal ragazzo e ai sentimenti che il proprio vissuto suscita in lui. Nel caso di soggetti non ancora adolescenti, invece, ci sarà un’alternanza di sedute individuali, con i genitori e familiari (con l’interi nucleo). Alcune tecniche che possono essere utilizzate nel rievocare il passato del minore sono: la drammatizzazione, nella quale si propone al minore di impersonificare una rappresentazione di qualche aspetto della propria storia personale; oppure la scrittura attraverso la quale il minore può riflettere sul proprio passato (magari scrivendo una lettera ad una persona importante della sua vita); oppure ancora il disegno, utilizzato per bambini più piccoli per far scaturire le emozioni connesse a particolari episodi.

3. Immagine di Sé e identità etnica: gli operatori dovranno lavorare con il minore sulle proprie

caratteristiche percepite aiutandolo a riflettere sui meccanismi che guidano, in modo consapevole o inconsapevole, i suoi comportamenti. Si tratta di aiutarlo a riconoscere e integrare parti di sé che vengono ignorate o svalutate. Inoltre è importate osservare come la questione etnica viene vissuta dal minore, dai suoi genitori e dal contesto in cui vive, a prescindere dal fatto che venga portata come problema specifico o meno218.