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Se da una parte il potenziamento del capitale umano è condizione indispensabile per lo sviluppo delle attività ad alta tecnologia e science-based, allo stesso tempo tale potenziamento è urgente nei settori tradizionali del sistema economico. In tali settori, infatti, la crescente concorrenza dei Paesi emergenti rende necessario consolidare il processo di costruzione di vantaggi comparati per mantenere un adeguato divario di qualità ed innovazione. Inevitabilmente, questo risultato potrà essere raggiunto attraverso processi di decentramento internazionale al fine di utilizzare convenientemente i differenziali dei costi di produzione; ma al tempo stesso si rende necessaria la creazione di reti di relazioni stabili e continue con knowledge-provider in Italia e fuori dall’Italia: si tratta di imprese e centri di ricerca e formazione, comprese ovviamente le università, in grado di facilitare l’introduzione di innovazioni tecnologiche ed organizzative. In assenza del perseguimento congiunto di entrambe le strategie, cioè riduzione dei costi e rinnovamento sul piano tecnologico ed organizzativo, appare difficile che il comparto produttivo “tradizionale” riesca a sviluppare e gestire vantaggi competitivi nelle fasi a maggiore valore aggiunto.

Una più intensa enfasi sulle lavorazioni e i processi più innovativi si rende quanto mai necessaria, anche alla luce del crescente potenziamento di molti settori

186 Si tratta di un elemento costante del sistema imprenditoriale italiano, anche se alcune indagini

recenti sembrano attestare un parziale cambiamento di rotta da parte delle medie imprese ed anche di una quota crescente di piccole. Su questo aspetto cfr. Gobbo e Morelli, 2002.

187 Per la verità, in tempi recenti le università hanno avviato misure tese a valorizzare e diffondere i

risultati della ricerca e le conoscenze acquisite attraverso la creazione di spin-off e la collaborazione organica con imprese e territorio (cfr. a questo proposito Cancogni e Orsenigo, 1999; Piccaluga, 2001). Ancora non si può dire se si tratti di tentativi organici, né quali effetti concreti potrebbero avere, certamente si tratta della strada da battere.

industriali dei Paesi emergenti, che peraltro avviene tramite il contributo non secondario delle tecnologie e del know-how delle imprese italiane produttrici di macchine utensili. Questo processo di trasferimento tecnologico internazionale è un fenomeno praticamente invitabile: in effetti, la storia dello sviluppo economico è stata

(…) costruita su generazione e diffusione delle conoscenze e dell’innovazione e nel continuo evolversi dei vantaggi comparati in un mondo fatto di old-comer e new-comer tra loro competitori ma anche clienti.188

Se vuole restare competitivo e non perdere mercati a vantaggio delle economie dei Paesi emergenti, il variegato comparto delle attività “tradizionali” dovrebbe porsi l’obiettivo di un upgrading delle competenze e capacità tecnologico-professionali, spostando progressivamente l’accento su prodotti e fasi produttive a più alto valore aggiunto e knowledge-intensive. Questo obiettivo può essere raggiunto solo a condizione che il tema della formazione e valorizzazione del capitale umano diventi una componente fondamentale sia delle politiche economiche nazionali e locali, sia delle strategie delle imprese.

In Italia esiste in effetti un “nodo strutturale della carenza di capitale umano”189 che non permette di posizionarsi con facilità nelle fasi produttive, nei prodotti e nei comparti a maggiore valore aggiunto nella divisione internazionale del lavoro. Perché questo avvenga è necessario che venga implementato un modello di policy in grado di assicurare una qualità del capitale umano adeguata alle innovazioni tecnologiche ed organizzative rese necessarie dalla competizione internazionale. L’esigenza di assumere istruzione e formazione come una priorità emerge osservando prima di tutto le criticità espresse dai settori tradizionali, tra l’altro causate dalla progressiva scomparse di personale dotato di capacità manuali eccellenti, che in passato hanno costituito il successo di una parte cospicua del Made in Italy: il successo di molte imprese, anche di piccole o piccolissime dimensioni, è stato infatti legato in passato alla presenza di capacità tecniche distintive accumulatesi nel tempo ed incorporate nelle persone e negli impianti coinvolti nel processo di lavorazione. I meccanismi virtuosi di formazione e trasmissione del sapere e del saper fare che fino a poco tempo fa avevano garantito il successo dei sistemi produttivi locali e delle produzioni di tipo artigianale sembrano oggi entrati in crisi: crescenti difficoltà sul piano delle disponibilità delle competenze tecnico- produttive sono presenti nelle imprese appartenenti ai settori del Made in Italy, dove si è assistito ad un generale calo di capacità nella riproduzione di competenze fortemente legate all’ambito del lavoro manuale ed artigianale e all’apprendimento

on-the-job, in passato assicurate da forme di apprendistato, con il coinvolgimento di

giovani tecnici ed operai. In effetti, mentre in passato l’inserimento precoce nel mondo lavorativo artigianale avveniva in giovane età, favorendo l’apprendimento e la riproduzione di abilità manuali e tecniche, con la progressiva estensione della scolarizzazione fino al livello ISCED 3 che ormai interessa la quasi generalità di giovani delle coorti di età di riferimento si assiste ad una “dissociazione competitiva” tra scolarizzazione e manualità.

Infatti, con l’innalzamento dell’obbligo scolastico e della scolarizzazione in generale sono venute meno le condizioni per il training on-the-job di tipo tradizionale, il quale per molto tempo aveva alimentato le filiere fondamentali dei comparti tradizionali. L’entrata in crisi dell’istituto dell’apprendistato ha a sua volta inferto un duro colpo alle imprese del Made in Italy, attente alla perfezione e all’eccellenza nelle lavorazioni, nelle finiture e nell’impreziosimento dei prodotti tramite l’impiego di

188 Così Onida, 1999, p. 611

forza lavoro con elevate capacità manuali di tipo artigianale190.

Come è noto191, il sistema distrettuale italiano è ricco di competenze tacite, incorporate nei saperi individuali degli addetti che direttamente creano valore per i prodotti italiani in termini di originalità e di differenziabilità. Peraltro, finora hanno stentato a svilupparsi sistemi e strumenti di knowledge management in grado di far emergere e rendere concrete le competenze, che così rischiano di andare perdute. Infatti, rispetto al passato in cui la trasmissione del sapere avveniva in modo tendenzialmente spontaneo ed informale, attraverso l’apprendimento on-the-job nelle piccole imprese artigiane, oggi questa essenziale cinghia di trasmissione è venuta meno, mentre il sistema formale dell’istruzione professionale è lontano dall’essere in grado di sopperire a questa mancanza.

L’Italia sembra scontare una sorta di isolamento del sistema produttivo da quello della formazione tecnico-professionale che non è riuscito a far crescere le proprie capacità formative dello stock delle conoscenze tecniche necessarie. La conseguenza di questo è rappresentata da un grave, e probabilmente crescente, deficit nel patrimonio degli skill professionali propri del Made in Italy. Questo deficit rischia di minare alla base il vantaggio competitivo che le imprese del Made in Italy avevano faticosamente conquistato nel corso dei decenni successivi alla seconda guerra mondiale e in particolare a partire dagli anni sessanta192. Per evitarlo occorre ripensare dalla base il sistema della formazione professionale, che come è noto fa capo alle Regioni: non è questa la sede per fornire risposte in termini di policy, ma certamente è necessario adottare misure in grado di rivalutare il lavoro manuale e il saper fare da parte del sistema scolastico in generale, e al tempo stesso introdurre misure adeguate per facilitare la formazione e l’inserimento di lavoratori immigrati, grazie ai quali sarebbe forse possibile ridurre la mancanza di risorse umane con le abilità manuali richieste dalle attività tradizionali.

L’interazione del capitale umano con l’ambiente