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Questa accezione di sistemi di attività ad alta densità tecnologica permette di ridefinire, tra l’altro, cosa debba considerarsi come compito lavorativo (“task”). Innanzitutto in questi contesti risulta impossibile, o comunque estremamente difficile ed in definitiva artificioso, distinguere fra azione collettiva ed azione individuale: se non tutte,almeno una gran parte delle attività sono infatti socialmente condivise e coordinate in modo da produrre corsi di azione congiunti. Anche attività apparentemente individuali, come leggere o scrivere una relazione al proprio p.c., sono, in modo continuo e finalizzato, pubblicamente visibili proprio per permettere di costruire e mantenere quelle forme di coordinamento reciproco necessarie alla gestione delle attività lavorative115.

Si tratta di contesti lavorativi in continuo equilibrio fra improvvisazione e stabilità, nei quali una delle funzioni principali delle tecnologie è quella di aiutare a ripristinare socialmente l’ordine, la “tracciabilità” e l’accountability del lavoro stesso. È evidente che in contesti lavorativi di questo tipo, estremamente frequenti nelle attuali organizzazioni contemporanee, un’analisi del compito individuale risulterebbe un’unità di analisi estremamente inadeguata ad indagare e comprendere la complessità delle pratiche lavorative che vi si realizzano. Per definire e spiegare tale complessità è necessario considerare come unità di indagine non il singolo lavoratore e la sua mansione, ma il complessivo sistema di attività lavorative, comprendente le interazioni fra persone, gli strumenti e le attività coordinate all’interno e “attraverso” le comunità lavorative.

Naturalmente le interazioni che qui vengono descritte non sono tipiche soltanto della

knowlwdge society, ma con ogni probabilità i legami fra attività cognitive, crescita 114 Sull’importanza delle ICT nella creazione di comunità virtuali e sulla rilevanza di queste ultime sui

processi organizzativi si sofferma il lavoro di Miceli (2000). A questo proposito si veda anche Evans e Wurster (2000). Sull’uso di tecnologie interattive a scopo di apprendimento si può consultare Biolghini e Cengarle (2000), o anche Di Nicola e Comunello (2003) e il più recente Favaretto (2008), che concentra la sua attenzione sull’uso didattico delle chat.

115 Il mantenimento della reciproca visibilità è fondato sulla capacità di saper ascoltare in modo

diffuso e periferico, di commentare ad alta voce le proprie azioni, sulla capacità di rendere il proprio compito visibile anche ad altri, sui vari modi con cui si struttura la propria attenzione e si orienta quella degli altri, sulla struttura frammentata dei discorsi, che hanno luogo spesso su più canali contemporaneamente, ed infine sull’uso flessibile di diversi strumenti e tecnologie. In questo senso l’open space, prima che una modalità organizzativa degli uffici, può essere considerata una pratica lavorativa e sociale

del capitale umano individuale ed esperienza pratica risultano in essa particolarmente sviluppati e cogenti. D’altra parte è stato da tempo dimostrato116 che l’esperienza pratica, entro cui si iscrive l’attività lavorativa sia tutt’altro che priva di componenti cognitive e soprattutto non sia neutra nel sostenere lo sviluppo e la realizzazione di competenze individuali.

In effetti, ogni attività cognitiva, proprio perché nei contesti di vita reali è mediata culturalmente e finalizzata al perseguimento di specifici obiettivi, può essere definita come pensiero in azione che necessita di conoscenza pratica. Da questo punto di vista un’analisi che consideri solo il soggetto e la sua attività cognitiva come indipendente dai vincoli e dalle peculiarità del compito che sta affrontando e dagli strumenti che utilizza è senza significato117.

In questo senso pratiche come le attività lavorative, invece che essere considerate un elemento secondario o addirittura disturbante dell’attività cognitiva devono diventare anch’esse oggetto di considerazione analitica. In particolare è stata già da tempo dedicata attenzione alle forme di “everyday cognition”118 che caratterizzano la vita quotidiana delle persone all’interno di specifici sistemi di attività lavorativa e che spesso costituiscono l’ossatura delle comunità di pratiche.

Una comunità di pratiche è caratterizzata principalmente da tre dimensioni119: i. un impegno reciproco,

ii. un’impresa comune, iii. un repertorio condiviso.

La dimensione dell’impegno reciproco sottolinea come le pratiche non esistano in astratto, ma “perché gli individui sono impegnati in azioni i cui significati vengono tra loro negoziati”120. Questo significa che il criterio di appartenenza ad una comunità non è dato dal condividere con altri una stessa attività lavorativa (o d’altro genere) o dalla vicinanza spaziale o geografica, ma dal condividere con altri uno stesso impegno, anche emotivo verso le cose da fare ed organizzare le proprie interazioni pratiche e comunicative intorno a questo impegno comune, al mantenimento del quale le comunità che funzionano dedicano gran parte delle loro energie121.

Che significato ha tutto questo? Cercando di tirare le fila dei ragionamenti fin qui fatti, in modo da rendere visibile il cammino logico intrapreso è possibile affermare quanto segue:

i. le modalità di lavoro contemporanee basate su quella che sinteticamente si definiscono lean production, sono fondamentalmente diverse da quelle fordiste;

ii. la lean production esige una qualità di capitale umano le cui caratteristiche sono tali da esaltare il ruolo della socialità;

iii. la massificazione dei processi di globalizzazione comporta che si renda

116 Cfr. Scribner 1984

117 Cfr. Vygotskij 1990. Come afferma Mecacci (2000, p. 236): “L’azione della mente umana non

esiste senza compiti che a loro volta non esistono senza strumenti, come gli strumenti non esistono senza compiti e questi senza una mente che li progetti e li esegua”

118 Cfr Rogoff e Lave 1984 119 Cfr. Wenger 1998 120 Cfr. ivi, 73

121 La reciprocità dell’impegno non significa uguaglianza nelle forme di partecipazione alle pratiche

che caratterizzano una certa comunità: al contrario, gran parte delle comunità richiedono proprio forme complementari ed ineguali di contributo all’impresa comune, come accade in particolare nelle attività che caratterizzano i gruppi lavorativi

necessario e conveniente delocalizzare verso aree terze le attività labour

intensive, mantenendo il controllo delle attività capital intensive;

iv. nelle attività capital intensive le risorse umane in grado di fornire un reale valore aggiunto a tali attività devono essere caratterizzate da alti livelli di istruzione;

v. i livelli di istruzione richiesti nelle attività capital intensive devono essere tali da garantire al sistema produttivo lavoratori dotati della flessibilità necessaria ad affrontare sempre più compiti di problem solving e sempre meno attività di routine;

vi. benché non sia trascurabile il ruolo della formazione on the job, i compiti di un sistema pubblico di istruzione non soltanto restano importanti, ma probabilmente sono destinati ad aumentare di importanza;

vii. il sistema di istruzione non deve concepire sé stesso come un’entità separata dal resto della società perché le abilità cognitive tipiche della

knowledge society si acquisiscono sia all’interno del sistema stesso che

nelle attività lavorative e nelle comunità di pratiche.