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Anche se ogni generalizzazione riguardo a questo tema può apparire non del tutto giustificata, è probabilmente possibile azzardare l’ipotesi che i distretti industriali si siano affermati ed abbiano costruito il proprio vantaggio competitivo grazie ad alcuni elementi distintivi quali la flessibilità, la forte propensione al rischio e all’imprenditorialità e la contestuale presenza di un capitale sociale in grado di agire come riduttore dei costi di transazione, e quindi attivatore di economie esterne di scala. Oggi, alla luce del difficilissimo passaggio che ha avuto inizio con l’undici settembre e che trova un significativo quanto drammatico snodo nella crisi apertasi intitolato Investors See Room for Profit in the Demand for Education nel quale veniva raccontato l’incontro dell’anno precedente fra Arthur Levine, presidente del collegio docenti della Columbia University, con Michael Milken, l’ex re delle obbligazioni spazzatura e finito in carcere negli anni ottanta, trasformatosi in imprenditore dell’istruzione. L’articolo riportava il racconto del colloquio fra i due: secondo l’autore dell’articolo, E. Wyatt, le parole di Milken rivolte a Levine suonavano più o meno in questo modo: “Siete in difficoltà, ragazzi, e noi vi mangeremo in un boccone”. Non è certo che Milken abbia davvero pronunciato una frase del genere, sta di fatto che la Knowledge Universe da lui fondata è stata una delle prime società a fini di lucro direttamente rivolta all’istruzione postsecondaria. D’altra parte, almeno negli USA, molti osservatori sono convinti che i prossimi anni vedranno un crescente impegno, privato e for profit, nel settore dell’istruzione terziaria (riportato da Taylor 2005: 301 e segg.)

nell’agosto 2007, la disponibilità di una base di competenze e conoscenze distintive diffuse appare come il fattore decisivo per il rilancio della competitività dei distretti. Peraltro, la conoscenza è nelle persone, ma rappresenta al tempo stesso un capitale collettivo dal quale si attinge e al quale contribuisce attraverso la continua trama di scambi, contatti, sforzi di innovazione, tutti elementi tipici dei sistemi produttivi locali nella declinazione fin qui costruita attraverso la modalità distrettuale. È da tutto questo che si generano le economie esterne distrettuali più importanti per le imprese.

Nelle economie contemporanee vincoli di costo fino a poco tempo fa rilevanti come quelli della logistica e del trasporto tendono ad essere abbattuti e i capitali circolano ormai liberamente su scala mondiale; la conoscenza, fattore produttivo assolutamente immateriale risulta essere la risorsa più fortemente radicata in un territorio, al punto che molte imprese scelgono dove localizzare i propri siti anche in base alla dotazione di conoscenza che caratterizza i diversi territori107.

Per poter creare e mantenere vantaggi competitivi duraturi, i distretti industriali non possono limitarsi a riprodurre conoscenza ma devono costantemente ampliarla al fine di sostenere la generazione di continua innovazione di processo e di prodotto. Ma la “chimica della nuova conoscenza e dell’innovazione”108 si caratterizza per la sua grande complessità: una complessità che richiede la disponibilità e il coordinamento nel medio-lungo periodo di molti fattori, quali i comportamenti delle imprese, le scelte di famiglie e giovani (indirizzarsi verso un tipo di studio e poi di lavoro rappresenta una scelta di vita), la capacità e il rigore nei presidi formativi, la visione consolidata e la cooperazione degli attori della governance locale e infine, più complessivamente, dal giusto clima sociale. Il dosaggio di tutti questi fattori è auspicabilmente assistito, nel breve termine, dai meccanismi automatici propri del mercato del lavoro, ma nel medio-lungo termine richiede condizioni decisamente più stringenti e complesse.

Molti distretti industriali già da tempo denunciano una progressiva erosione dei propri vantaggi competitivi basati sulla conoscenza e una forte difficoltà a ricostruirli su basi nuove. Si tratta di un problema di difficile soluzione, a maggior ragione in quanto si pone, non a caso, in una fase storica di notevole difficoltà. La “chimica della conoscenza”, date certe condizioni esterne, ha garantito fino a tutti gli anni settanta del novecento la creazione ed il mantenimento di alcuni rilevanti vantaggi competitivi dei distretti. In effetti, fino a quel momento:

i. buona parte della ri-produzione delle competenze specialistiche poteva considerarsi endogena al sistema, appresa on the job, propagata dai meccanismi della vicinanza e dell’imitazione, trasmessa in famiglia; ii. i giovani si indirizzavano senza problemi verso il lavoro manuale e verso

“la fabbrica”, considerati da molti di loro come l’orizzonte naturale, ed auspicabile, rispetto agli sbocchi lavorativi, veicolo di emancipazione e, spesso, di mobilità ascendente;

iii. la frequenza di scuole tecniche locali consentiva di acquisire un bagaglio di competenze distintive certe, un relativamente elevato status economico-sociale e in casi non infrequenti la probabilità di diventare imprenditori.

107 Si pensi ad esempio agli investimenti e alle acquisizioni operati da alcune multinazionali che

operano nel settore dell’abbigliamento e delle calzature sportive nel distretto dello sport system di Montebelluna al fine di acquisire le importanti attività di ricerca e conoscenza che caratterizzano tale distretto.

Con la fine degli anni settanta hanno iniziato a manifestarsi problemi che si sono progressivamente acuiti nei due decenni successivi. Tra questi, giova ricordare ai fini del presente lavoro:

i. i giovani e le loro famiglie hanno iniziato a manifestare minore interesse nei confronti dell’istruzione tecnica e per il lavoro “di fabbrica”; l’istruzione liceale e, conseguentemente, quella universitaria sono apparse come uno sbocco molto competitivo ed attrattivo, anche a ragione del forte assorbimento del settore terziario professionale pubblico e privato; ii. questo ha creato rarefazione di offerta in anni molto positivi per il

secondario ed ha sottratto intelligenze allo stesso in un periodo di congiuntura favorevole che avrebbe reso necessario un afflusso di competenze al fine di mantenere competitività;

iii. contemporaneamente, le imprese hanno espresso una domanda modestissima di laureati sia sul versante tecnico che su quello manageriale.

I distretti non hanno quindi, in generale, compiuto i passi evolutivi che si sarebbero poi rivelati necessari, rimanendo ancorati ad orbite consuete di riproduzione della conoscenza che però risultano inadeguate a rinnovare in forma dinamica ed originale la base contestuale/tacita consueta attraverso l’incorporazione e la conversione di dosi sempre maggiori di nuova conoscenza codificata esterna.

Date certe condizioni esterne (una competizione ancora modesta da parte dei Paesi emergenti sui segmenti di domanda presidiati dai distretti e una competitività agevolata da ricorrenti svalutazioni109), non era emersa, del resto, una particolare necessità di supportare processi innovativi più robusti rispetto a quelli che i distretti stessi avevano tradizionalmente dimostrato di saper attivare con estrema efficacia110. Il convergere di molti fattori di crisi all’inizio del millennio ha fatto emergere all’improvviso problemi latenti che erano peraltro in nuce anche nel periodo precedente. Il quadro attuale appare decisamente più complesso, con problemi che si presentano su più livelli e che in molti casi appaiono fittamente intrecciati; si pensi alle problematiche relative all’inserimento dei laureati in azienda: i laureati sono poco richiesti dalle imprese perché non hanno le competenze che ad esse servono; al tempo stesso le imprese non sono interessanti per i laureati perché non offrono prospettive adeguate. Ancora: il sistema universitario non produce laureati interessanti per il sistema distrettuale perché le imprese in esso presenti non li assorbono: si genera così un micidiale circolo vizioso dal quale sembra difficile uscire.

Come detto, la capacità di produrre innovazione ha rappresentato per molti anni uno, e forse il più importante, vantaggio competitivo dei distretti industriali. E, d’altra parte, il sapere nelle sue varie forme (il saper fare degli uomini e la conoscenza scientifica e tecnica) gioca un ruolo fondamentale nei processi di innovazione sia dei prodotti che dei processi. Fino a poco tempo fa, i distretti industriali si erano dimostrati come un ambiente molto favorevole all’accumulazione di conoscenza tacita, cioè una forma di conoscenza generata essenzialmente attraverso l’esperienza e i processi del tipo learning by doing; tale tipo di conoscenza, una volta prodottasi, viene conservata dagli individui e può essere trasferita solo attraverso una relazione

109 Due condizioni che, drammaticamente, sono venute meno a partire dagli ultimi anni del novecento

e primi anni duemila

110 Vanno sottolineate a questo proposito alcune caratteristiche competitive dei distretti quali la

continua ridefinizione del design, l’innovazione tecnica incrementale su prodotti e processi, i grandi livelli di servizio

diretta fra le persone, attraverso processi di apprendimento fondati sulla condivisione di esperienze.

Questo tipo di interazione sociale contribuisce a produrre il sapere locale, che è incorporato nell’intelligenza, nella fantasia e nell’abilità delle persone che lavorano insieme e che vivono vicine, che si scambiano esperienze e notizie. I distretti industriali hanno costituito nel passato un terreno fertile in questo senso e hanno rappresentato probabilmente il più efficace mezzo di produzione , diffusione e rinnovamento dei saperi locali. Ma in contesti caratterizzati dalla competizione globale, come quelli in cui si trovano ad operare molti distretti, la conoscenza tacita non è più sufficiente ad alimentare i processi di innovazione e garantire la competitività delle imprese.

In effetti, la conoscenza tacita rappresenta una delle possibili forme di conoscenza; a questa va aggiunta la conoscenza codificata, che ha come caratteristica quella di essere formalizzata e che quindi è possibile trasmettere attraverso simboli e linguaggi riconosciuti. La conoscenza codificata dipende da fattori esterni al sistema delle imprese quali il buon funzionamento del sistema di istruzione e della formazione professionale. Il successo dei sistemi economici dipende sempre più dalla capacità di far lavorare insieme le due sfere di conoscenza; in altre parole, il bagaglio di fantasia, intelligenza ed abilità di cui dispongono le imprese non è più sufficiente e va integrato con un ventaglio di competenze nuove la cui produzione è affidata al sistema di istruzione. Si pensi per esempio alle capacità necessarie per gestire catene del valore che si fanno progressivamente più complesse e che richiedono alle imprese di ottimizzare e sincronizzare flussi di informazione e di merci molto articolati che richiedono conoscenze legate alla gestione dei sistemi informativi, a quelli della logistica, a quelli dei rapporti di fornitura internazionale ed infine a quelli delle reti distributive.

Per tornare a produrre innovazione, ammesso che non sia tardi e che si possano riguadagnare i vantaggi competitivi erosi negli ultimi anni, è quindi necessario investire in capitale umano, attivando meccanismi dinamici che interessano

i. le caratteristiche formative del lavoratore (conoscenza tacita ma anche conoscenza codificata),

ii. quelle organizzative dell’impresa (meccanismi di trasferimento/diffusione della conoscenza tacita, ma anche domanda di conoscenza codificata), iii. quelle strutturali del sistema produttivo locale di riferimento (offerta di

Le competenze necessarie nella società della