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La leva del capitale umano per la nascita di imprese high-tech

Il rafforzamento del capitale umano nei settori science-based rappresenta un passaggio obbligato per garantire la crescita e la competitività di un Paese, a maggior ragione se esso si trova in una condizione di svantaggio strutturale in fatto di produzioni ad alto e medio contenuto tecnologico, come nel caso italiano.

L’Italia, oltre ad avere una quota di occupati in settori ad alta intensità di conoscenza inferiore rispetto ad altri Paesi OECD ed una quota limitata di core-human resources

in science and technology200 sul totale della forza lavoro, mostra perfomance di crescita di questo tipo di risorse umane inferiori rispetto a molti altri Paesi, in particolare nei confronti di quelli che, pur partendo da situazioni più arretrate, hanno praticato politiche più aggressive per lo sviluppo di settori ad alta tecnologia e per la formazione di personale altamente qualificato. La tabella che segue dà conto di questa situazione per alcuni Paesi campione.

200 Cioè le persone dotate di un livello di studio ISCED 5 o superiore e che operano nei campi delle

Tabella 1 – Core-human resources in science and technology: percentuale sulla forza lavoro complessiva 1995 2005 Differenza Francia 14,6 15 +0,4 Germania 12,3 14,4 +2,1 Spagna 8,9 12,7 +3,8 Regno Unito 13,0 14,8 +1,8 Svezia 19,5 20,9 +1,4 Italia 6,8 8,1 +1,3 Fonte: Eurostat, 2006

all’utilizzo di ICT: si tratta di campi che registrano una forte crescita del fabbisogno di capitale umano soprattutto a causa della pervasività dell’utilizzo delle ICT e la conseguente necessità di formare ex novo tale capitale umano e di qualificare ed aggiornare quello già esistente. L’elevato gap di competenze non può essere coperto soltanto con il potenziamento dell’offerta formativa da parte del sistema universitario, che resta comunque insostituibile: il raggiungimento di un equilibrio fra offerta e domanda di capitale umano specializzato nelle ICT, non soltanto dal punto di vista tecnico ma anche organizzativo e relazionale201, richiede uno sforzo comune fra sistema universitario, imprese e altri attori associativi.

Il ritardo registrato dall’Italia nei settori produttivi a più alto contenuto tecnologico e di conoscenza rappresenta indubbiamente un vincolo sotto il profilo delle infrastrutture e delle risorse umane disponibili per mettere in atto strategie di recupero. D’altra parte, l’esperienza di altri Paesi come Corea del Sud, India, Taiwan e Irlanda dimostra come sia possibile, pur partendo da posizioni di ritardo, creare le condizioni per riuscire ad attrarre investimenti esteri e sviluppare un sistema di imprese locali ad alta tecnologia, facendo leva essenzialmente sul potenziamento del sistema della formazione e della ricerca202.

Lo sviluppo di sistemi di imprese high-tech e knowledge-intensive, dotate necessariamente di capitale umano adeguato, può seguire molteplici dinamiche, alcune delle quali sembrano caratterizzare lo scenario italiano, almeno nel caso di alcune best practices: un primo percorso è costituito dalla promozione dal basso dell’imprenditorialità high-tech, collegata a processi di formazione e qualificazione del capitale umano. In periodi di intenso cambiamento tecnologico ed organizzativo come quello attuale, tendono a prodursi elevati tassi di natalità di impresa in quanto idee e strategie nuove possono manifestarsi ed affermarsi sui mercati con prodotti e servizi innovativi203. La nascita e lo sviluppo di nuove imprese innovative rappresenta quindi uno dei meccanismi principali per rinnovare il tessuto industriale e per attivare circoli virtuosi di cooperazione tra imprese e centri di ricerca.

Peraltro, l’Italia sembra essere caratterizzata da due elementi tra loro contrastanti:

i. un livello di imprenditorialità medio, dietro USA, Canada, Israele, allo stesso livello del Regno Unito, ma prima di Paesi come Francia e Germania204;

ii. un’alta propensione all’imprenditorialità da parte dei giovani fra i diciotto e i venticinque anni, che risulta seconda soltanto agli USA205.

È dunque presente in Italia un livello di imprenditorialità non molto alto, ma anche una propensione al rischio imprenditoriale da parte delle coorti di età più giovani. Proprio considerati questi due elementi occorrerebbe che la potenziale vivacità imprenditoriale venisse coltivata e canalizzata verso settori science-based e knowledge-intensive e non verso settori tradizionali, al contrario di quanto sembra che accada oggi.

Il modello di nascita di imprese high-tech che si è affermato in Paesi come gli USA, che hanno alle

201 Per questo aspetto fra i molti contributi recenti cfr. Zucchermaglio e Alby, 2005

202 C’è inoltre da sottolineare come si stia lentamente delineando un processo di specializzazione, all’interno dei settori

science-based, in grado di aprire promettenti opportunità, consentendo fra l’altro l’inserimento di imprese di piccole e medie dimensioni grazie all’assenza di elevate barriere tecnologiche all’entrata e il prodursi di un forte dinamismo delle conoscenze che sembra in grado di creare nuovi spazi per l’innovazione.

203 I contesti con un forte potenziale innovativo come la Silicon Valley sono caratterizzati da un elevato tasso di natalità

imprenditoriale e dalla contestuale nascita di nuovi modelli di business, con nuove soluzioni tecnologiche e nuove forme organizzative. Peraltro, anche in Italia alcuni territori sembrano caratterizzati da una dinamica analoga, come attesta il caso più noto di Catania. Ancora poco studiato è il ruolo che possono giocare per l’innovazione i parchi scientifico-tecnologici.

204 Cfr. GEM, 1999

205 Il carattere positivo di questo dato potrebbe essere ridimensionato rammentando le tradizionali difficoltà che

caratterizzano l’Italia nella ricerca di un’occupazione, per cui la creazione di una nuova imprese, spesso caratterizzata da piccole o piccolissime dimensioni, potrebbe essere considerata una modalità di auto-impiego.

tecnologico, si caratterizza per configurazioni imprenditoriali dotate di altissime competenze tecnologiche e manageriali. In questa ottica vengono perseguite con decisione strategie di crescita rapida per avere accesso ai mercati finanziari e borsistici, in modo da reperire le risorse necessarie per divenire in tempi rapidi player di livello internazionale. Questo modello di crescita non è quello tipico delle nuove imprese italiane, che soffrono per la mancanza delle condizioni di contesto, come ad esempio un maggior apporto di venture capital e di business angel, al contrario elementi necessari per processi di crescita rapida.

In Italia, soprattutto al Nord e al Centro, si sta assistendo in effetti alla formazione di imprese spin-

off operanti nei settori high-tech. Spesso si tratta di imprese di estrazione accademica o con una

forte presenza di ricercatori; queste formazioni imprenditoriali possono tendenzialmente contribuire a dar vita, quando si raggiunga un elevato addensamento e un’alta specializzazione di filiera, a

cluster tecnologici, caratterizzati da un elevato interscambio con il mondo della ricerca e della

formazione avanzata (universitaria e, soprattutto, post-universitaria). Si tratta di esperienze interessanti che non trovano ancora sufficiente sostegno, ma soprattutto sembrano essere caratterizzate da una costante: la tendenza a rimanere stabilmente “piccole”: le nuove imprese nascono, si consolidano e, spesso, si affermano, in nicchie ristrette di mercato. Questo determina un percorso di vita imprenditoriale nel quale, inizialmente, riescono a conquistare una certa visibilità e ad esprimere una buona capacità di innovazione; spesso però, a questa fase iniziale non segue il potenziamento esplicito e consapevole delle capacità organizzative, tecnologiche e di mercato che in genere accompagnano i passaggi di crescita dimensionale delle imprese. In sostanza, manca a molte imprese spin-off la propensione alla crescita per raggiungere dimensioni operative tali da esprimere un maggior potenziale tecnologico, produttivo e manageriale, in modo da uscire dal contesto locale per proiettarsi verso mercati più estesi e dinamici206.

L’attivazione di policy dotate di adeguate risorse e strumentazioni, focalizzate nel campo delle nuove filiere tecnologiche, dovrebbe essere considerata un’assoluta priorità, come dimostrano le esperienze di altri Paesi207. Lo sviluppo di un nucleo di centri di ricerca e di imprese ad alta tecnologia , ma soprattutto la creazione di una stabile rete di relazioni fra gli uni e le altre, è una condizione indispensabile per evitare che l’Italia si trovi progressivamente esclusa dai processi globali di esplorazione, valorizzazione e circolazione di nuove conoscenze scientifiche e tecnologiche.

L’elevato tasso di cambiamento che caratterizza sia le conoscenze di base sia quelle applicate, pone le condizioni per far s che in molti settori si aprano prospettive di sviluppo non previste. In questo ambito risulta cruciale il contributo che possono fornire le università e gli altri centri di ricerca ad esse collegati208; il mondo della ricerca e quello imprenditoriale devono trovare meccanismi adeguati di collegamento, che peraltro tuttora mancano, per monitorare i processi di cambiamento tecnologico e prevederne i possibili esiti. Ma devono anche individuare concrete possibilità di

206 Occorre aggiungere che le difficoltà per le nuove imprese knowledge-intensive che sorgono in Italia di intraprendere

rapidi percorsi di crescita dimensionale e manageriale trova ragione non soltanto nella assenza di un efficiente e dinamico mercato di venture capital, ma anche nell’assenza di un consolidato tessuto di medie e, soprattutto, grandi imprese ad alta tecnologia. Tali tipi di imprese, in effetti, sono le uniche in grado di svolgere un ruolo di driver per la crescita delle piccole imprese; con la crisi del sistema delle grandi imprese dotate di alte capacità tecnologiche, il processo di crescita del sistema industriale italiano sembra essersi inceppato. Si tratta di un elemento strutturale, che può portare ad un rapido declino socio-economico dovuto, anche, all’indebolimento delle capacità di innovazione e di competitività dell’economia italiana.

207 I casi di scuola spesso citati, rappresentando in effetti esperienze particolarmente interessanti sono quello irlandese

(cfr. Daveri, 2004), quello finlandese (cfr. Castells e …, …) e quello israeliano (cfr. …). Vale la pena sottolineare due elementi: a) in genere si tratta di Paesi di piccole dimensioni e b) si tratta di Paesi che, fra gli altri elementi, hanno saputo sviluppare coraggiose politiche meritocratiche.

208 Nella elaborazione di strategie che tengano conto della rapidità dei processi di innovazione e della loro pervasività,

ma più in generale degli alti gradi complessità che caratterizzano lo sviluppo presente e futuro, anche le discipline non appartenenti all’area scientifico-tecnologica, possono fornire un contributo notevole. Si pensi al ruolo che possono avere le facoltà di economia e quelle dell’area linguistico-comunicazionale.

fondati su Scuole di Dottorato di rango internazionale e su corsi di Industrial Ph.D, come esistono in altri Paesi209.

Una maggiore interazione tra imprese ad alta tecnologia ed università/centri di ricerca, qualora avvenisse, sarebbe destinata a creare anche nuove opportunità nella misura in cui il mondo accademico fosse messo in grado di preparare laureati nei campi scientifico-tecnologici, dotandoli al tempo stesso di capacità imprenditoriali, nonché delle attitudini necessarie per mettere a frutto le conoscenze acquisite, dando vita ad applicazioni, spin-off e start-up, oppure entrando a lavorare presso imprese high-tech localmente radicate210. Se si attuasse un legame fra due mondi che tuttora sembrano avere notevoli difficoltà a comunicare ed interagire, si potrebbe sperare nella nascita e nello sviluppo di circuiti virtuosi in grado, in prospettiva, di ridurre il gap scientifico e tecnologico di cui soffre l’Italia.

Una ulteriore conseguenza del rafforzamento dei settori ad alta tecnologia attraverso la formazione di capitale umano qualificato, potrebbe essere lo sviluppo di interazioni virtuose tra comparti high-

tech e comparti tradizionali: i primi potrebbero fornire ai secondi le tecnologie e le competenze

necessarie a rendere competitivi i prodotti del Made in Italy. In questo modo si potrebbero favorire le innovazioni di prodotto necessarie per entrare i nuovi mercati e presidiare al meglio quelli dove le imprese sono già presenti. In effetti, molti studi attestano che l’introduzione di ICT nei settori tradizionali produce effetti largamente positivi, sia in termini di produttività sia in termini di creazione di nuovi prodotti211.

Essere innovativi comporta comunque un notevole sforzo organizzativo (oltre che di natura tecnologica) soprattutto per effetto dell’adozione delle ICT, la cui conseguenza è lo sviluppo di modelli organizzativi snelli, flessibili e complementari rispetto alle caratteristiche di tali tecnologie212. Da questo punto di vista un possibile intangibles asset da utilizzare in tal senso è rappresentato dall’organizzazione reticolare diffusa nel sistema produttivo italiano: in un simile contesto la possibilità di far dialogare efficacemente i settori ad alta tecnologia con quelli tradizionali è senza dubbio facilitata. È però al tempo stesso possibile prevedere una certa resistenza nell’utilizzo di tecnologie di rete all’interno dei distretti industriali a causa delle imprese distrettuali a mantenere la routine consolidata nei rapporti commerciali e produttivi, fondata soprattutto su rapporti personali, scambi informali di informazioni e conoscenze, ridotto livello di creazione e di condivisione di conoscenze codificate213. Queste difficoltà possono considerarsi la conseguenza inevitabile delle modalità con cui si è andato costituendo nel tempo il processo di distrettualizzazione in Italia; d’altra parte, negli ultimi anni i distretti mostrano alcune difficoltà a mantenere le quote di mercato di fronte all’aggressività dei nuovi competitors. Si rende dunque necessario favorire il processo di cambiamento organizzativo attraverso l’inserimento di capitale umano qualificato in grado di avviare processi virtuosi di sviluppo di capacità relazionali che permettano di utilizzare appieno le potenzialità offerte dalle ICT.