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1.2 Manifestazioni visibili e spiegazioni ricorrenti della crisi agroalimentare globale Le dinamiche predatorie di accumulazione per espropriazione su cui si fonda il sistema

1.2.1 Crisi finanziaria, lo “tsunami gemello”

L‘attuale sistema mondiale vede una forte crescita delle transazioni finanziarie che spostano i capitali nella sfera speculativa in maniera parassitaria. Come ha affermato Ignacio Ramonet, ben il 95% dell‘attuale attività economica rientra nel campo finanziario.

Questo 95% esiste solo nel mondo virtuale degli ordini d‘acquisto e di vendita; si tratta di una pura comunicazione, che s‘incanala attraverso le autostrade dell‘informazione, mentre solo un 5% dell‘economia è economia reale. La produzione, il trasporto e la vendita di beni concreti occupano solo il 5% dell‘economia mondiale, mentre il resto si riferisce semplicemente all‘acquisto e alla vendita di valori o di valute (Harnecker 2001: 127).

Nella primavera del 2008 in borsa si è registrato un picco di scommesse sulle derrate agroalimentari dovuto ad un cospicuo scambio di titoli future. Questa compravendita era basata su una prospettiva di prossima scarsità e ha indotto ad un notevole incremento dei prezzi alimentari. Infatti, la speculazione sulle commodities è avvenuta sulla base di una presunta fragilità del sistema produttivo e sull‘erosione delle riserve alimentari ed energetiche, che hanno però causato una maggiore vulnerabilità rendendo i mercati sempre

più imprevedibili e facendo progressivamente aumentare i prezzi. Pertanto, il ruolo della finanza è stato decisivo per la fiammata dei prezzi dei prodotti agroalimentari, soprattutto di cereali e semi oleosi.

La finanza ha giocato sui prezzi delle derrate alimentari senza alcuna remora di tipo etico. Ad esempio, all‘inizio del 2008, il gruppo bancario e assicurativo belga KGB ha proposto ai suoi 12 milioni di clienti una pubblicità per invitare i risparmiatori ad investire su un prodotto finanziario indicizzato sul corso di sei materie prime agricole (cacao, caffè, zucchero, grano, mais e soia), con il cinico motto ―Approfittate dell‘aumento dei prezzi delle derrate alimentari‖; atto che, per lo meno, ha attirato molte critiche provenienti anche da Jean-Claude Juncker (Presidente dell‘Eurogruppo dal 2005) che ha definito questi operatori ―rapaci‖ e ―criminali‖ (Sivini 2009).

Ad alterare in maniera decisiva l‘andamento del mercato finanziario delle materie prime non sono stati i piccoli risparmiatori, quanto piuttosto i grandi fondi di investimento i quali hanno diversificato i propri impieghi di risorse allocando progressivamente maggiori liquidità sulle commodities agricole. Il loro valore, infatti, è passato da 13 miliardi di dollari nel 2003 a 260 miliardi nel marzo 2008. Il mercato delle materie prime non aveva mai visto fluire una tale mole di liquidità come negli ultimi mesi del 2007 e i primi del 2008: si stima che circa un miliardo di dollari al giorno siano affluiti su futures di commodities agricole tra febbraio e marzo del 2008, ―mesi epicentro dell‘impazzimento e della volatilità dei prezzi alimentari ed energetici‖ (Colombo, Onorati 2009: 110).

Ciò si è verificato in un contesto in cui è venuto meno il ruolo di controllo, regolazione ed orientamento del sistema finanziario da parte dei governi.

Finanza e cibo: l‘economia di carta e la base materiale della sopravvivenza collettiva si sono trovate a scontrarsi quando il crack finanziario figlio della new economy e dei subprime ha cercato riparo fra le derrate agricole. Una libertà di azione figlia della deregulation avviata negli anni Ottanta ha eliminato i preesistenti vincoli alla speculazione finanziaria esponendo il diritto al cibo ai capricci delle borse. Dal 2003 al marzo del 2008 gli investimenti finanziari sull‘agricoltura e l‘alimentazione sono moltiplicati di venti volte abbattendosi severamente sui prezzi dei beni alimentari: questo è quel che accade quando il cibo diventa una commodity e quando alla finanza e al mercato si lascia mano libera e solo apparentemente invisibile (Colombo, Onorati 2009: 109).

Al fine di comprendere il meccanismo di funzionamento della crisi finanziaria occorre far riferimento al sistema di compravendita di materie prime nel mercato finanziario (Sivini 2008). Generalmente le materie prime vengono scambiate sul mercato a pronti, vale a dire che le transazioni sono effettuate senza scarti temporali e avviene uno scambio fisico di merci tra venditore e compratore. Invece, sul mercato a termine (future) i contratti sono

acquistati e venduti ad una data futura che viene stabilita da un contratto standardizzato per quantità, qualità, data e luogo della consegna. In questo caso la transazione non ha luogo direttamente tra venditore e compratore, ma si fa riferimento ad un servizio di clearing che raggruppa domanda e offerta e diviene, pertanto, la controparte effettiva sia per il venditore che per il compratore. Generalmente le transazioni non sono regolate fisicamente, ma vengono concluse con un‘operazione di compensazione in borsa, acquistando e vendendo contratti. Stando alla teoria finanziaria, il mercato dei futures per le commodities avrebbe una duplice funzione: prevedere il prezzo di una materia prima; gestire il rischio generato dalle fluttuazioni dei prezzi. Tuttavia, nell‘attuale sistema, tali funzioni vengono meno a causa della manipolazione di investitori non direttamente interessati al mercato fisico, ma unicamente alla speculazione.

Il primo mercato statunitense per le commodities era stato costituito nel 1848 con la fondazione del Chicago Board of Trade (CBOT), che divenne la principale borsa di contrattazione per le derrate agricole insieme a quella di New York e di Londra, con l‘obiettivo di facilitare le transazioni e determinare dei meccanismi di gestione che alleggerissero il rischio commerciale e di stoccaggio delle merci. Per assolvere a questo compito, furono inventati i forward contracts, diversi dagli attuali futures perché la contrattazione era riservata ai partecipanti fisici (venditore e compratore); nel 1865 furono istituiti anche i primi futures, per i quali era prevista l‘eventuale partecipazione di altri soggetti. Attualmente il CBOT rappresenta ―il luogo più importante in cui si formano i prezzi mondiali dei principali prodotti alimentari, attraverso la negoziazione dei futures‖ (Sivini 2008: 65).

Come spiegato da Sivini (2008), normalmente il prezzo sarebbe determinato, per ogni data di consegna, dall‘incontro tra domanda e offerta. Questa sarebbe la funzione dei futures (detta price discovery) rispetto al mercato spot, ossia il mercato in cui le merci vengono fisicamente scambiate. Una seconda funzione dovrebbe essere quella di consentire a chi effettua la compravendita di coprirsi dal rischio (hedging) delle variazioni di prezzo rispetto a quello stabilito dal contratto. Nel mercato dei futures non rientrano solo gli hedgers, ossia gli operatori nel mercato fisico (quali agricoltori, commercianti, industrie di trasformazione), ma anche gli speculators, vale a dire gli operatori del mercato finanziario (investitori istituzionali o privati) che non hanno un rapporto concreto con la materia prima e non hanno alcun interesse a servirsene per trasformarla, commercializzarla o stoccarla

fisicamente. Infatti, gli speculatori tradizionali, e men che meno gli index investors34 (che

detengono contratti future per diversificare l‘allocazione delle risorse finanziarie), non prendono mai materialmente possesso delle derrate oggetto dei loro contratti. In tal modo, pur essendo indifferenti alla tipologia della merce scambiata, essi finiscono per influenzare drasticamente i prezzi nel mercato reale.

È ciò che è avvenuto, per l‘appunto, nella prima metà del 2008 quasi contemporaneamente per tutte le materie prime, senza un reale cambiamento sul mercato reale nel rapporto tra domanda e offerta.

Gli index speculators non erano interessati né alla compravendita delle materie prime né alle variazioni di breve periodo dei prezzi dei futures. La loro strategia era going long. Compravano contratti futures ad un determinato prezzo e, prima della scadenza, li vendevano ad un prezzo che nel frattempo era salito; poi reinvestivano tutto, utili compresi, in futures con scadenze più lontane. I venditori erano ben contenti di stare al gioco – inconsueto – di acquirenti disposti a pagare sempre di più. I prezzi lievitavano con l‘arrivo di nuovi speculatori, che alimentavano la domanda. Sul mercato reale, gli operatori, incentivati ad immagazzinare le merci in attesa di guadagnare di più, riducevano l‘offerta contribuendo a far aumentare i prezzi. Ma erano soprattutto gli analisti delle banche, con le loro previsioni, a spingerli sempre più in alto (Sivini 2009: 78).

Secondo un Rapporto presentato da Michael Masters35 al Congresso degli Stati Uniti nel

maggio 2008, il fenomeno della speculazione finanziaria da parte di operatori che non gestiscono i prodotti sul mercato reale è esploso negli ultimi anni. Mentre nel 1998 gli operatori commerciali gestivano il 79% dei futures di commodities agricole ed energetiche, gli speculatori tradizionali il 14% e gli speculatori istituzionali (index speculators) il restante 7%, nel 2008 la situazione si era ribaltata: gli operatori commerciali detenevano il 34% dei contratti a futuri, gli speculatori tradizionali il 26% e gli index speculators erano passati in testa con ben il 40%. In tal modo il meccanismo del price discovery si è inceppato.

I mercati a termine hanno dimensioni notevolmente ridotte rispetto ai mercati di investimento che caratterizzano la prevalente attività finanziaria […] Così, quando investitori esterni al mercato delle commodity vi entrano con disponibilità finanziarie enormi, le conseguenze sono (in)immaginabili: se gli investimenti degli index-found su mais, soia, frumento, bovini e suini è aumentato a 47 miliardi di dollari del 2007 dai 10 nel 2006, nei soli primi 55 giorni del 2008, gli speculatori hanno collocato 55 miliardi di dollari sul mercato a futuri che si sono abbattuti duramente sul fronte dei prezzi energetici e alimentari che regolano i mercati fisici (Colombo, Onorati 2009: 116).

34 Gli index investors, a differenza degli hedgers, non sono interessati alla compravendita delle materie prime.

Acquistano contratti future, che non danno diritto ad interessi, rendite, dividendi, ma solo a ricavi derivanti dall‘aumento del prezzo. Li tengono per lunghi periodi, rinnovandoli ad ogni scadenza.

35 Michael W. Masters è un hedge fund manager. Il 20 maggio 2008, dinanzi alla Commissione del Senato

statunitense su Homeland Security and Governmental Affair, Hearing on Financial Speculation in Commodity Markets:

Are Institutional Investors and Hedge Funds Contributing to Food and Energy Price Inflation?, Masters ha spiegato la

relazione tra l‘aumento dei prezzi delle materie prime e le Banche che agiscono sulla base di commodity index

Sempre secondo lo stesso Rapporto, l‘aumento dei prezzi sui mercati future è indotto dagli ordini di acquisto e ciò ha un impatto diretto sul reddito delle famiglie. Il prezzo dei futures sulle commodities rappresenta il prezzo di riferimento per i prezzi delle materie prime sul mercato fisico, pertanto quando gli speculatori portano ad un aumento del prezzo dei futures, gli effetti si ripercuotono immediatamente sull‘economia reale. Dopo aver a lungo taciuto sul legame tra finanza e cibo, nel marzo del 2009 anche l‘UNCTAD (United Nations Conference on Trade and Development) ha considerato la grande responsabilità delle attività speculative sui mercati dei futures nell‘impennata dei prezzi alimentari (Sivini 2009: 73).

La crisi finanziaria globale, che ha seguito a ruota quella alimentare, è il suo ―tsunami gemello‖ decisamente meno silenzioso, figlio della stessa espansione deregolamentata del capitale globale. La crisi finanziaria aggrava quella alimentare restringendo il credito alla produzione e consolidando ulteriormente il potere nelle mani delle poche grandi società tanto influenti da ottenere salvataggi finanziati dai contribuenti per i loro investimenti avventati. I due tsunami stanno trasformando i nostri sistemi alimentari e finanziari e provocando un‘ondata di accordi ad alto livello tra governi e società finanziarie, mentre tanto gli agricoltori quanto i consumatori sono schiacciati tra volatilità del mercato e riduzione drastica del credito (Holt-Giménez, Patel, Shattuck 2010: 17-8).

I problemi principali derivano dalla mancanza di sorveglianza e regolazione in un mercato esposto a notevoli eccessi, dal momento che non sono previsti chiari termini e limiti: ―qualunque sia il mandato degli organismi di vigilanza e l‘interpretazione che ne fanno, è evidente che la bolla speculativa su alimentari ed energetici si è manifestata in una condizione priva di governance e che a distanza di mesi dalla deflagrazione di questa bolla non sono state individuate cause circostanziate e strumenti regolatori‖ (Colombo, Onorati 2009: 117). Dopo la crisi del ‘29 negli Stati Uniti erano state approvate varie leggi per regolare il mercato ed evitare nuovi crolli. Una di queste, la Commodities Exchange Act del 1936, fu la prima a prevedere dei limiti per gli speculatori al fine di evitare che potessero manipolare i mercati future delle materie prime, ponendo severe barriere per gli investitori esterni alla filiera in merito alle modalità di allocazione dei loro investimenti finanziari nel settore delle materie prime. Questi vincoli furono mantenuti fino all‘Amministrazione Reagan – durante la quale i mercati finanziari furono deregolati e gli speculatori investirono in maniera illimitata nelle commodities – e la deregulation fu ulteriormente approfondita con l‘Amministrazione Clinton (Colombo, Onorati 2009). Durante la Presidenza Bush, poi, la CFTC (Commodity Futures Trading Commission) che ha il compito di controllare il mercato dei futures impedendo manipolazioni illegali, aveva consentito che gli index

speculators fossero classificati come operatori interessati al mercato delle merci, non sottoponendoli dunque ai limiti imposti agli altri speculatori (Sivini 2009: 79).

Il settore delle commodities agroalimentari era rimasto ancora al riparo dalle aperture senza limiti del mercato finanziario e dalle conseguenti speculazioni aggressive degli anni Novanta, dal momento che gli investimenti in questo ambito non erano ritenuti molto remunerativi visto il basso e decrescente valore delle derrate agricole sul mercato reale. I primi disequilibri si registrarono a partire dal 2000 con lo scoppio della ―bolla‖ della new economy. Gli investitori ritirarono importanti somme di denaro dal mercato azionario e riuscirono a ―sgonfiare‖ la bolla, ricollocando però gran parte di questo denaro nel settore immobiliare. Ne nacque una nuova bolla, anche a causa delle politiche di credito facile promosse dalla Federal Reserve caratterizzate da un incredibile abbassamento dei tassi. Con lo scoppio della cosiddetta ―crisi dei subprimes‖ negli Stati Uniti, gli investitori hanno cercato riparo nel settore delle commodities, in particolare alimentari ed energetiche, e vi hanno investito enormi capitali – agevolati dalla deregulation dei mercati future delle materie prime e anche dalla ulteriore diminuzione dei tassi (passati dal 5,25% nel settembre 2007 al 2% appena sei mesi dopo) – creando un‘ennesima bolla.

Ciò ha comportato un‘altra conseguenza: aumentando il prezzo del mais, i commercianti erano interessati a stoccarne maggiori quantità, limitando così la disponibilità sul mercato e la possibilità di soddisfare la domanda, facendo ulteriormente aumentare i prezzi. Come spiegano Colombo e Onorati (2009: 124), ―la speculazione può avvenire anche gestendo scorte e forniture: con una vorticosa ascesa dei prezzi, i detentori delle materie prime hanno l‘interesse a rallentarne l‘immissione nel sistema di trasformazione e commercializzazione, i bastimenti oceanici riducono la velocità di navigazione, si prolunga la conservazione delle derrate nei magazzini ad atmosfera controllata, si attende – magari – che anche la quotazione del dollaro lavori nella giusta direzione‖. Da ciò emerge che la speculazione non avviene solo ad opera degli scommettitori della finanza, ma anche delle corporations che manipolano il mercato, mantenendo i prezzi bassi al momento della raccolta e costringendo i produttori a svendere le loro derrate, e facendo poi drasticamente aumentare i prezzi dopo lo stoccaggio per avvantaggiarsi dello scarto così ottenuto.

Il profondo legame che intercorre tra crisi alimentare e finanziaria, viene espresso da Holt-Giménez, Patel e Shattuck (2010: 117) in questi termini:

Il cibo è diventato un‘altra merce soggetta a speculazione finanziaria. Il regime del commercio è al servizio di mercati predatori anziché delle necessità umane. L‘agricoltura è diventata un modo industriale di accumulazione per le società anziché la

base produttiva di un‘offerta sostenibile di cibo buono e sano. I sistemi alimentari locali e nazionali sono stati sradicati senza pietà per far spazio agli interessi di società globali. La terra, la manodopera, l‘acqua e il patrimonio genetico del pianeta sono stati privatizzati e mercificati. Perfino la dieta è stata colonizzata dalle industrie agroalimentari nell‘incessante caccia al profitto. Poiché sistema alimentare e sistema finanziario si sono sviluppati insieme, le due crisi sono inestricabilmente legate.