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L’evoluzione delle dinamiche associative in ambito rurale nell’Africa subsahariana

RETI DI ORGANIZZAZIONI RURALI AFRICANE IL CASO DELLA PROPAC IN AFRICA CENTRALE

4.1 L’evoluzione delle dinamiche associative in ambito rurale nell’Africa subsahariana

L‘ultimo decennio dell‘era coloniale era stato caratterizzato dall‘attivazione di strutture per l‘inquadramento dei contadini. In molti Paesi era stato registrato un malfunzionamento di tali dispositivi, in quanto si rivelavano strutture incapaci di lavorare in sinergia e che funzionavano in modo quasi indipendente l‘una dall‘altra. È in parte per mettere ordine in questo amalgama difficile da coordinare e molto costoso da gestire, ma anche per rimediare alle insufficienze di alcune strutture, che nel periodo delle indipendenze furono intraprese delle riforme. Infatti, ritenendo insufficienti gli apparati ereditati dai coloni, gli Stati avevano iniziato a creare nuove strutture che avrebbero dovuto rafforzare quelle esistenti o prendere in carico l‘inquadramento di aspetti fino a quel momento ignorati (Sarr 2000).

Negli anni Sessanta, il vento dell‘indipendenza dava speranze di rinnovamento. Era il tempo delle promesse, in cui tutto sembrava possibile, e i governi africani intendevano sviluppare i loro rispettivi Paesi incentivando politiche di modernizzazione agricola al fine di incrementare la produzione delle colture di rendita. Grandi società straniere o statali proponevano, o piuttosto imponevano, i loro metodi a delle popolazioni totalmente estromesse dalle sfere decisionali. Nonostante qualche tentativo virtuoso da parte di alcuni

politici109, i Paesi africani avevano adottato una politica post-coloniale di sviluppo rurale da

realizzare tramite un dispositivo molto strutturato, che comportava nuovi servizi tecnici accanto a quelli lasciati dai coloni.

Gli Stati facevano affidamento su assistenti tecnici pagati dagli ex-colonizzatori che assumevano le funzioni di ―consiglieri numero uno‖, proponendo i loro modelli fondati su un sistema di produzione agricola orientata verso la grande distribuzione e l‘esportazione. I governi sviluppavano dei programmi agricoli che prevedevano che i contadini fossero organizzati in sistemi associativi di gestione comunitaria in seno a cooperative di approvvigionamento e commercializzazione. In questa fase lo Stato struttura e inquadra lo sviluppo rurale mettendo in piedi anche delle società parapubbliche di sviluppo che

109 Un esempio è la politica di Mamadou Dia, Presidente del Consiglio in Senegal dal 1960 al 1963, poi

condannato a 20 anni di prigione poiché accusato di un presunto colpo di stato ai danni del Presidente della Repubblica Senghor per ragioni di divergenze politiche sulla visione dello sviluppo del Paese. Sotto la responsabilità di Mamadou Dia furono elaborati i fondamenti della politica di sviluppo rurale post-coloniale che egli chiamava ―riconversione dell‘agricoltura coloniale‖, considerando quest‘ultima come un disastro.

inquadravano i contadini e promuovevano una produzione destinata all‘esportazione (Cissokho 2009).

I dirigenti africani avevano in pratica sostituito delle società di stato all‘apparato commerciale coloniale al fine di realizzare l‘accumulazione tramite la commercializzazione di prodotti di esportazione. Dopo la colonizzazione, che aveva integrato le popolazioni indigene in un modo di produzione dominante a vantaggio di gruppi d‘interesse esterni, le politiche nazionali di sviluppo agricolo si adattavano a loro volta a questo sistema privando i contadini della loro autonomia. Attraverso queste società di sviluppo specializzate in una produzione di rendita, lo Stato nasconde i processi di dominio ricorrendo all‘ideologia della modernizzazione che gioca il ruolo di un modello culturale integrato alle macchine del potere.

Sotto diverse forme, ogni regime inventa i suoi meccanismi di controllo delle popolazioni contadine. L‘intervento dello Stato passa anche dal partito dominante. Per inquadrare i contadini, i poteri li obbligano tramite diverse misure a comprare delle tessere del partito, ad assistere a delle riunioni e ad iscriversi nell‘area ideologica dominante. Ciò che importa è portare le persone ad interiorizzare l‘ideologia al potere: si tratta quindi di occupare anche lo spazio domestico, creando un clima sociale in cui nessuna riflessione irriverente può essere fatta contro il regime senza che un membro della stessa famiglia non esprima la sua disapprovazione. In altri termini, attraverso le reti di socialità proprie ai gruppi parentali, si tenta di neutralizzare ogni forma di opposizione (Ela 1990). Attorno alle nuove strutture di potere, il villaggio diventa un luogo di conflitto dove le lotte d‘influenza si giocano tra le gerarchie tradizionali, i giovani rurali scolarizzati, gli anziani funzionari in pensione, le élites originarie e i nuovi leaders politici.

Tutti gli sforzi dei governi non impedirono alla maggior parte delle nuove strutture di sprofondare in un letargo irreversibile di cui bisogna ricercare la causa principalmente nell‘esclusione dei contadini dalla concezione delle politiche che li riguardavano. Di fronte a questi fallimenti, furono tentate altre riforme – nominate in modo diverso da un Paese all‘altro, ma che in fondo presentavano le stesse caratteristiche peculiari – che consistevano invariabilmente in una riorganizzazione e una riduzione delle società di sviluppo. In molti Paesi si tenterà di camuffare questo fallimento con l‘espressione ―disimpegno dello Stato‖ o, per dirla con le parole di Cissokho (2009: 32), ―fuga dello Stato dallo sviluppo rurale‖ in seguito alle nuove politiche adottate negli anni Ottanta con i programmi di aggiustamento strutturale.

La potente macchina dell‘inquadramento del mondo rurale fu spesso rivista e riformata, ma unicamente dal punto di vista della struttura organizzativa. L‘approccio e i fini rimanevano invariati. Si è trattato, per tre decenni e sotto diverse etichette, di una promozione delle colture di rendita indirizzate al mercato estero. Parallelamente, gli Stati tentarono di mettere in piedi un sistema cooperativo per abbracciare il circuito agricolo, dalla produzione alla commercializzazione, tramite una serie di cooperative a monte e a valle della produzione delle colture di rendita, appoggiato da strutture mutualiste che dovevano facilitarne il funzionamento. Tuttavia, anche le cooperative sono rimaste ―estranee‖ al mondo rurale, a tal punto che si può parlare di ―cooperative senza cooperatori‖. Infatti, queste cooperative sono state realizzate da funzionari e notabili rurali; hanno inoltre servito gli interessi dei partiti politici come fonte di finanziamento e strumento di propaganda (Bosc et al. 2003: 151). Le forme d‘organizzazione ―importate‖, direttamente ispirate alle cooperative nate nei Paesi industrializzati alla fine del diciannovesimo secolo, sono state incollate su delle realtà la cui propensione alla ―cooperazione‖ era stata ampiamente sovrastimata sulla base di analisi imprecise che esaltavano i valori collettivi delle società africane.

A questa politica agricola fondata su un sistema d‘inquadramento soffocante, si accompagnavano altri strumenti che si proponevano, teoricamente, di creare una rottura netta tra l‘epoca coloniale e il tempo di una ritrovata sovranità. Uno di questi è il programma di Animazione Rurale, che pur avendo mosso i primi passi già negli anni Cinquanta in Senegal, troverà il suo pieno sviluppo dopo l‘indipendenza. L‘obiettivo principale era l‘educazione delle comunità contadine per renderle capaci di intrattenere relazioni di partenariato con lo Stato e le altre strutture che riguardavano il contesto rurale. L‘Animazione partiva dalla constatazione che l‘oscurantismo in cui il colonialismo aveva lasciato vegetare la popolazione e l‘assimilazione di alcuni intellettuali formati presso le scuole e le amministrazioni coloniali, erano il peggiore ostacolo alla costruzione di una nazione nuova, che richiedeva una mobilitazione di tutte le sue risorse umane. Occorreva dunque far uscire il popolo da questo stato di letargo e prepararlo ad analizzare il proprio ambiente socio-economico e politico-culturale per proporre un orientamento rispettoso della propria cultura e delle proprie ambizioni. Il ―risveglio delle popolazioni‖, al fine di portarle ad una presa di coscienza collettiva per partecipare in maniera responsabile ai compiti della costruzione nazionale, era infatti la filosofia dichiarata dell‘Animazione

Rurale. Rispetto a questi obiettivi, l‘Animazione adotterà l‘informazione e la formazione

come strategia per raggiungere il più gran numero di persone110.

Tuttavia, i risultati non sono stati all‘altezza delle speranze riposte in essa. Le cause sono diverse. In primo luogo si ritiene siano state bruciate le tappe e che l‘ambiente non fosse ancora pronto per un tale cambiamento. Infatti, in un periodo storico in cui i responsabili della maggior parte degli Stati africani si preoccupavano essenzialmente di indossare gli abiti dell‘ex-colonizzatore, questo orientamento poteva essere percepito come un atto quasi rivoluzionario, un impegno politico pericoloso. L‘Animazione Rurale conviveva, infatti, con un sistema politico che nei discorsi si definiva favorevole allo sviluppo comunitario, ma che nella pratica privilegiava un modello di sviluppo dirigista (Sarr 2000).

I vari interventi messi in opera dai governi hanno avuto il medesimo risultato: i contadini sono stati marginalizzati attraverso operazioni di ―sviluppo‖ da parte dello Stato tese a bloccare l‘emergere di gruppi autoctoni che rappresentassero realmente gli interessi dei contadini e del mondo rurale. Ad esempio, in Senegal i contadini avevano iniziato ad inventare delle forme di organizzazione a livello di villaggio. Ma, quando esse superavano il villaggio e rischiavano di porre problemi che toccavano la natura dello Stato, erano confrontate ad un problema di riconoscimento giuridico e l‘accusa di sovversione rimaneva una minaccia permanente. I poteri misuravano il peso di questo tipo di organizzazione in cui si poteva far sentire la voce dei contadini con i loro problemi reali. Una delle strategie dello Stato consisteva ad entrare in queste strutture per neutralizzarne il dinamismo.

È ciò che succedeva nei Paesi in cui le associazioni di villaggio erano trasformate in strumenti dello Stato allo stesso titolo delle istituzioni ufficiali. Si trattava sempre di costringere i contadini ad entrare in organizzazioni artificiali ed impedire loro di raggrupparsi secondo i loro criteri. Ogni tentativo che puntasse a dare ai contadini un inizio di autonomia si urtava al centralismo dei regimi che trovavano improponibili le iniziative prese al di fuori del loro spazio di dominio.

Dès lors qu‘on retire tout pouvoir au peuple et qu‘on limite sa mission à exécuter les décisions prises en son absence, on vide le discours sur le développement ―auto-centré‖ de toute

110 In tal senso andavano gli ―stage di primo livello‖ in cui i quadri dell‘Animazione insegnavano a dei delegati

di alcuni villaggi i concetti di base riguardo il funzionamento delle istituzioni. A questi seguivano degli ―stage di secondo livello‖ in cui venivano affrontate questioni più complesse di pianificazione, politiche agricole, sanitarie, economiche, etc. Altri stage ancora più specifici puntavano poi a permettere una migliore comprensione di alcune strutture come le cooperative, o alcuni programmi di dimensione nazionale. I delegati dei villaggi così formati, organizzati in cellule di animazione, divenivano a loro volta animatori e si

consistence. A travers les structures de développement rural, les interventions de l‘Etat n‘ont cessé de refuser une réelle participation aux paysans d‘Afrique (Ela 1990: 92).

Non c‘è Stato africano che non abbia solennemente e a più riprese proclamato l‘agricoltura ―priorità delle priorità‖. Ma confrontando il discorso positivo dello Stato sul posto primordiale del contadino e la sua condizione reale, si denota un profondo divario. Si chiede a tal proposito il sociologo camerunese Jean-Marc Ela (1990): ―Come credere al potere sulla parola quando accorda la priorità all‘agricoltura dimenticando i contadini che sono il vero motore dell‘economia rurale?‖.

Il malcontento dei contadini che covava da molto tempo, aveva raggiunto il suo punto massimo agli inizi degli anni Settanta, e il mondo rurale lo manifestò in maniera collettiva, mostrando il suo ―malaise paysan‖ e sollevandosi per rifiutare apertamente tutti quei

modelli insoddisfacenti che gli erano stati imposti (Sarr 2000)111. I contadini, visti i

numerosi insuccessi delle esperienze precedenti, erano giunti alla conclusione che i problemi che li riguardavano da vicino potevano essere risolti solo da loro stessi. Il leader contadino senegalese Samba Diaw aveva affermato a tal proposito:

―Si quelqu‘un te prete les yeux, tu es forcé de regarder dans la direction qu‘il desire. Nous avons assez regardé avec des yeux empruntés. A présent, nous allons regarder avec nos propres yeux pour regarder là où nous voulons‖ (Sarr 2000: 74).

Verso la fine degli anni Settanta, si assiste ad un rimodellamento delle vecchie organizzazioni comunitarie, molto settoriali nelle loro attività e selettive nella loro composizione, che vengono riorganizzate, abbandonate o rimpiazzate.

Appariva a poco a poco nello spazio rurale una nuova forma di raggruppamento popolare: le associazioni di villaggio per lo sviluppo, generalmente composte da individui di sesso, religione, etnia ed età diverse, che vivevano nello stesso villaggio e decidevano liberamente di unire le loro forze per raggiungere degli obbiettivi che si erano auto- assegnati.

Come ogni nuova attività, l‘emergere delle associazioni di villaggio per lo sviluppo aveva avuto i suoi precursori, ossia persone coscienti che lo sviluppo non poteva passare che attraverso organizzazioni locali e che si erano impegnate a creare gruppi popolari nei loro rispettivi villaggi. Le strutture pioniere hanno condotto varie attività che non erano mai state realizzate dai cosiddetti progetti di sviluppo. Visitate da numerosi rappresentanti

111 Come racconta Sarr (2000), i contadini tentavano di esprimere la loro frustrazione, soprattutto durante le

visite di diverse autorità amministrative, politiche o religiose, ma anche attraverso i media ―clandestini‖ o statali. Le radio rurali soprattutto facevano da eco alle rivendicazioni contadine, permettendo alle popolazioni di esprimere la loro collera attraverso le onde per sfogarsi e sentirsi ascoltate.

di altri villaggi, queste avevano anche influenzato le zone contigue, così altre associazioni si creavano in altre regioni e a loro volta influenzavano i territori vicini grazie ai risultati ottenuti. Come afferma un proverbio wolof: ―C‘est le bruit de ceux qui sont déjà debout qui a reveillé ceux qui dormaient encore‖ (Sarr 2000: 78).

L‘alba degli anni Ottanta è stata contraddistinta dalla nascita di numerose associazioni di villaggio. I successi rapidamente raggiunti dalle associazioni, laddove i modelli statali avevano fallito, suscitavano grandi speranze a livello delle popolazioni, che iniziavano a

chiedere molto112. Le nuove associazioni dovevano così rispondere ai bisogni più vari e

dovevano anche gestire le relazioni intrecciate durante il percorso. Sotto questa pressione, le associazioni conosceranno dei primi cambiamenti a metà degli anni Ottanta e molte di esse passeranno da uno stato di struttura poco organizzata verso un‘organizzazione più istituzionale con le sue regole, i suoi principi e i suoi orientamenti.

Ciò che aveva causato maggiormente il cambiamento era la constatazione da parte delle associazioni di villaggio circa la loro incapacità di apportare delle soluzioni alle diverse richieste delle popolazioni. Per far fronte alle crescenti sollecitazioni, le associazioni avevano deciso di rafforzarsi raggruppandosi, per formare a livello extra-villaggio delle Unioni di associazioni il cui raggio poteva andare da un gruppo di villaggi ad un‘intera comunità rurale o provincia. Tuttavia, questa ulteriore evoluzione iniziava a porre dei problemi di gestione dei gruppi diventati più grandi e complessi, ma permetteva al tempo stesso di rivolgersi a problemi più difficili e diversificati. Le varie Unioni sorte in quel periodo avevano bisogno di una reale presenza e azione da parte dei membri, i quali non dovevano limitarsi ad attendere aiuti esterni. Per esortare i membri ad una maggiore partecipazione, un leader contadino ha affermato: ―Noi dobbiamo sempre cercare di capire, altrimenti i nostri gruppi saranno numerosi e grandi senza essere forti. Infatti, se noi non sappiamo cosa succede, se ignoriamo ciò che si dice, se non riflettiamo abbastanza su ciò che è buono per noi e se non prepariamo i nostri argomenti per farli ascoltare a chi deve farlo, non saremo tra quelli che «danno il la». Allora si finisce col cantare il ritornello del

112 Le organizzazioni contadine venivano interpellate per le ragioni più disparate: i loro membri le

sollecitavano per dotare i villaggi di materiali di uso sociale (pozzi, mulini, etc.) o per beneficiare di crediti per far fronte ai vari problemi per acquisire semi, pesticidi e materiali agricoli; altre richieste riguardavano i problemi legati alla commercializzazione dei prodotti, alla gestione delle produzioni agricole o a questioni di ordine strategico, giuridico e socio-educativo; un problema molto sentito era anche quello dell‘alfabetizzazione, che veniva sempre più sollecitato; inoltre le popolazioni richiedevano informazioni circa l‘uso delle tasse che versavano allo Stato e chiamavano le associazioni anche rispetto alle riforme in corso e al funzionamento delle strutture decentralizzate dello Stato. A queste numerose questioni si aggiungevano tutti i

canto degli altri e rimarremo sempre, come dice il proverbio, la barba sotto il mento che non fa altro che seguire docilmente i movimenti della testa‖ (Sarr 2000: 175).

Sotto la guida dei leaders contadini più avveduti e sotto l‘impulso di alcuni quadri impegnati accanto ai contadini nella lotta per l‘autopromozione, in Senegal era stata creata a livello nazionale una Federazione nominata FONGS (Fédération des ONG du Sénégal) che raggruppava una parte importante delle Unioni di associazioni di tutto il Paese. La FONGS si proponeva di appoggiare i membri nella loro missione di sviluppo delle comunità di base, attraverso scambi di esperienze, di formazione e di ricerca di finanziamenti per i loro progetti. In un secondo momento, i leaders fondatori della FONGS e nuovi giovani leaders che nel frattempo si erano forgiati nella sfera delle associazioni, avevano pensato di allargare e incoraggiare la rappresentazione del mondo rurale, portando alla nascita del CNCR (Conseil National de Concertation et de Coopération des Ruraux), una struttura di livello nazionale che raggruppava la FONGS, le Federazioni delle associazioni femminili, le Unioni dei gruppi di pescatori, allevatori e cooperative.

La dinamica delle organizzazioni contadine non si è limitata al livello nazionale. Infatti, nella gestione delle nuove strutture, i rurali si erano resi conto del fatto che alcune grandi questioni superavano i limiti dei loro rispettivi Paesi, per assumere una dimensione sub- regionale o addirittura continentale e globale. Così come gli Stati, in merito ad altri aspetti, hanno creato diverse organizzazioni inter-statali o sub-regionali per cercare insieme delle soluzioni alle questioni più impegnative, anche le organizzazioni contadine si sono riunite a livello subregionale per affrontare problematiche condivise.

A prescindere dalle singole esperienze nei diversi Paesi, ognuno con il proprio ritmo e le proprie caratteristiche (come dimostra il caso della Repubblica Democratica del Congo, cfr. par. 4.3.2.1), Cissokho (2009) riconosce tre tattiche comuni che i fondatori e leaders delle associazioni che sono pervenute a federarsi in organizzazioni di livello nazionale e sub-regionale hanno adottato negli anni. La prima è quella del ―camaleonte‖: i leaders utilizzano i punti di riferimento abituali del contesto in cui vivono, senza attacchi frontali. Ne approfittano per identificare le falle del sistema e individuare le persone indipendenti e rispettate in virtù delle alleanze o delle responsabilità di cui beneficiano. I leaders si avvicinano ai responsabili tradizionali, politici, amministrativi senza frequentarli troppo. In questa fase iniziale, quella delle prime alleanze congiunturali, si individuano gli ostacoli, i punti di difesa, le minacce e le opportunità, e i primi incontri all‘esterno dei villaggi sono

organizzati attorno a discorsi e questioni generali sul futuro e le opportunità del momento. Si ripone fiducia nelle autorità amministrative e religiose che iniziano a parlare positivamente delle loro iniziative come azioni naturalmente complementari che emanano dalla buona riuscita degli obiettivi dello Stato. Ci si mobilita per trovare soluzioni ai problemi principali, ma raramente si fa riferimento alla ricerca delle cause per trovare le responsabilità. Così, per evitare di sparire prima ancora di nascere, i leaders pionieri hanno cercato di evitare di ―disturbare‖ troppo il sistema, negoziando con le autorità in un complesso statale molto strutturato.

La seconda tattica è quella del ―serpente‖: lottare senza farsi scoprire. Questa tappa è molto difficile per i fondatori e i leaders che devono continuamente evitare le trappole sul loro cammino e creare essi stessi dei contro-poteri. È anche in questo momento che cercano degli alleati esterni, per esempio dei quadri nazionali, responsabili politici e responsabili di ONG. Questi salvano spesso i leaders dando loro delle informazioni precise, organizzando delle visite nelle loro zone e apportando dei primi appoggi tecnici, materiali o finanziari. Questo secondo gruppo di alleati però ha avuto a volte atteggiamenti simili al primo gruppo, costituito dalle autorità tradizionali, politiche e religiose. In questo caso, i leaders si trovano tra l‘incudine e il martello e devono sviluppare altre strategie per sfuggire alle varie insidie del percorso.

Infine, i leaders diventano più forti e sono accompagnati da alcuni responsabili motivati, formati e informati. Questi pionieri mettono in atto la tattica dello ―scorpione‖. L‘impatto della nuova struttura non è più da nascondere e l‘organizzazione contadina inizia ad evolvere efficacemente. I diversi appoggi ottenuti rafforzano i leaders, ma li minacciano