IN MOVIMENTO VERSO LA SOVRANITÀ ALIMENTARE
3.1.1 Dalla “libertà dalla fame” alla sicurezza alimentare
Con l‘affermarsi del secondo regime alimentare mercantile-industriale, per la prima volta si sostiene ufficialmente un discorso pubblico sull‘accesso al cibo. Il tema viene affrontato secondo due diverse accezioni, entrambe frutto del contesto politico-economico dell‘epoca: ―diritto al cibo‖, da un lato, e ―libertà dalla fame‖, dall‘altro. Il legame ideologico tra diritto al cibo e regime alimentare del secondo dopoguerra è riconducibile al ruolo politico centrale degli Stati-nazione i quali avevano anche il potere di intervenire nel mercato. Nel corso dei due conflitti mondiali, i governi europei avevano assunto grandi responsabilità nella regolazione dell‘offerta alimentare (ad esempio tramite una serie di interventi volti al razionamento del cibo), vista la forte scarsità sperimentata da molti Paesi dopo la seconda guerra mondiale. Questa situazione di crisi portò alla formulazione del diritto al cibo, il quale venne sancito per la prima volta nell‘Art. 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell‘Uomo, promulgata dalle Nazioni Unite nel 1948:
Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all‘alimentazione, al vestiario, all‘abitazione, alle cure mediche e ai servizi sociali necessari, ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà.
L‘ideologia della Guerra Fredda che ha strutturato il regime del dopoguerra, ha giocato un ruolo decisivo nello sviluppo dei concetti di ―diritto al cibo‖ e ―libertà dalla fame‖. Si venne a creare, infatti, una spaccatura tra due diverse classi di diritti: mentre gli Stati Uniti favorivano i diritti civili e politici, espressi in negativo (ciò da cui un individuo ha diritto ad
essere libero)85, l‘Unione Sovietica parteggiava per i diritti economici, sociali e culturali,
espressi in positivo (ciò a cui un individuo ha diritto). Pertanto, quando giunse il momento di elaborare un significato universale dei diritti umani, le Nazioni Unite si ritrovarono a delineare due diverse convenzioni. Il diritto ―positivo‖ al cibo si ritrovò nel Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali, adottato nel 1966 ed entrato in vigore dieci anni dopo con la ratifica da parte di 156 Stati vincolati alle sue disposizioni.
85 Prendendo come punto di riferimento il ―diritto ad essere liberi dalla fame‖, una Campagna delle FAO sul
A partire da questo Patto internazionale, il diritto al cibo viene utilizzato come strumento di rivendicazione sia nelle lotte locali che nelle negoziazioni internazionali concernenti il cibo poiché le disposizioni legalmente vincolanti contenute nel testo – seppure formulate in maniera piuttosto vaga – si combinavano con gli obblighi degli Stati, tra cui quelli di rispettare, proteggere e soddisfare i diritti umani.
In particolare, l‘Art. 1 riconosce chiaramente i diritti dei popoli sulle loro risorse, affermando che:
1. Tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione. In virtù di questo diritto, essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale.
2. Per raggiungere i loro fini, tutti i popoli possono disporre liberamente delle proprie ricchezze e delle proprie risorse naturali, senza pregiudizio degli obblighi derivanti dalla cooperazione economica internazionale, fondata sul principio del mutuo interesse, e dal diritto internazionale. In nessun caso un popolo può essere privato dei propri mezzi di sussistenza.
Le ―ricchezze e risorse naturali‖, di cui al Par. 2 dell‘Art. 1, sono intese nella loro più ampia accezione, ossia tutte quelle risorse che sono cruciali per l‘esercizio individuale dei diritti umani riconosciuti. Pertanto, l‘accesso a, e l‘uso delle risorse da parte di ogni popolo non deve essere impedito in alcun modo, includendo nella categoria dei ―mezzi di sussistenza‖ tutte le risorse direttamente collegate alla produzione del cibo, in primo luogo terra ed acqua.
Un altro articolo fondamentale di questo Patto (Art. 11) obbliga gli Stati ad adottare le misure necessarie affinché ogni individuo possa ritenersi ―libero dalla fame‖:
1. Gli Stati parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni individuo ad un livello di vita adeguato per sé e per la loro famiglia, che includa un‘alimentazione, un vestiario, ed un alloggio adeguati, nonché al miglioramento continuo delle proprie condizioni di vita. Gli Stati parti prenderanno misure idonee ad assicurare l‘attuazione di questo diritto, e riconoscono a tal fine l‘importanza essenziale della cooperazione internazionale, basata sul libero consenso.
2. Gli Stati parti del presente Patto, riconoscendo il diritto fondamentale di ogni individuo alla libertà dalla fame, adotteranno, individualmente e attraverso la cooperazione internazionale, tutte le misure, e fra queste anche programmi speciali, che siano necessarie:
a. per migliorare i metodi di produzione, di conservazione e di distribuzione delle derrate alimentari mediante la piena applicazione delle conoscenze tecniche e scientifiche, la diffusione di nozioni relative ai principi della nutrizione, e lo sviluppo o la riforma dei regimi agrari, in modo da conseguire l‘accrescimento e l‘utilizzazione più efficaci delle risorse naturali;
b. per assicurare un‘equa distribuzione delle risorse alimentari mondiali in relazione ai bisogni, tenendo conto dei problemi tanto dei paesi importatori quanto dei paesi esportatori di derrate alimentari.
Da questo articolo si può tuttavia dedurre che, se da un lato si riconosce che l‘equa distribuzione delle risorse alimentari sia un punto fondamentale del diritto al cibo, dall‘altro non si pone ancora attenzione alla sostenibilità e non viene fatta alcuna distinzione tra metodi di produzione diversi. Si parla in maniera indeterminata di ―miglioramento dei metodi di produzione, conservazione e distribuzione‖, di ―conoscenze tecniche e scientifiche‖ e di ―accrescimento e utilizzazione più efficaci delle risorse naturali‖, non accennando alla valorizzazione dei saperi contadini, alla specificità dei contesti locali o alle conseguenze negative della crescente industrializzazione dell‘agricoltura. Inoltre, sebbene non se ne parli esplicitamente, il punto b. del secondo paragrafo rimanda chiaramente all‘aiuto alimentare e al commercio internazionale, ritenuti dunque capaci di assicurare una distribuzione ―equa‖ del cibo su scala mondiale.
Il discorso pubblico sul cibo che si diffonde durante questo periodo di espansione del modello industriale dell‘agribusiness riflette numerose altre dimensioni del secondo regime alimentare e del ―progetto sviluppo‖, abbracciando la fiducia nello stile di sviluppo americano come un obiettivo universale da raggiungere attraverso l‘industrializzazione e la tecnologia (Fairbairn 2011).
L‘osservazione di Harriet Friedmann (2005: 232) secondo cui ―quando un nome viene sostituito da un altro, è un segnale che il regime è in crisi‖, è molto chiara se si guarda all‘emergere del concetto di sicurezza alimentare nel corso del Vertice Alimentare Mondiale, convocato dalla FAO a Roma nel 1974 e che vide la partecipazione di rappresentanti provenienti da 135 Paesi. Questo incontro internazionale era nato in seguito alla crisi alimentare mondiale iniziata due anni prima, quando, all‘indomani della scomparsa dei surplus statunitensi e dell‘impennata dei prezzi cerealicoli a livello mondiale, si iniziò a parlare di ―fame‖ e di ―persone bisognose di cibo‖, stabilendo l‘affermazione del diritto universale e inalienabile ad essere liberi dalla fame e dalla malnutrizione con l‘obiettivo di riuscirci entro il decennio successivo. La crisi mondiale non solo aveva posto fine al secondo regime alimentare, ma aveva anche costretto i leaders internazionali a rivalutare il loro approccio al cibo e alla fame. Utilizzando l‘espressione ―sicurezza alimentare‖ i delegati del Vertice stavano creando un nuovo frame per i problemi legati alla disponibilità di cibo nel mondo che poteva essere usato come strumento per forzare la nascita di un nuovo regime alimentare nel futuro. Da quel momento in poi, la sicurezza alimentare divenne il frame dominante per la questione del cibo a livello mondiale.
Come il diritto al cibo e alla libertà dalla fame, la sicurezza alimentare fu concettualizzata nei corridoi del potere globale e nel contesto delle agenzie specializzate dell‘ONU che trattano i temi legati all‘alimentazione. Così, mentre si tentava di rimediare ad un sistema difettoso, lo si faceva senza mettere in discussione l‘assetto politico- economico dominante (Fairbairn 2011).
In particolare si sosteneva che tutti i Paesi che mostravano difficoltà nell‘offerta nazionale di cibo dovessero potenzialmente avere sufficiente accesso all‘importazione del cibo di base. Le questioni connesse alle politiche commerciali volte a migliorare l‘accesso da parte dei Paesi con scarsità di cibo a prodotti in surplus, furono discusse sotto l‘ombrello della sicurezza alimentare globale. Inizialmente era chiaro che per assicurare un‘offerta di cibo adeguata fossero necessarie anche misure a livello nazionale. Il Piano d‘Azione per la Sicurezza Alimentare Mondiale, adottato nel 1979 dalla Conferenza della FAO, introdusse quindi l‘espressione ―sicurezza alimentare nazionale‖ con lo scopo di descrivere i modi per ottenere una migliore distribuzione nazionale di cibo. Nel frame della sicurezza alimentare nazionale furono discussi anche aspetti come le riserve di grano, le quote di importazione ed esportazione, le tecniche agricole per incrementare la produzione. Queste nozioni di sicurezza alimentare si concentravano sulla possibilità di disporre di una quantità sufficiente di cibo nei mercati nazionali sulla base del rapporto popolazione/disponibilità di cibo, e portarono a strategie politiche volte sostanzialmente ad incrementare la produzione (Windfhur, Jonsén 2005). Nella medesima ottica veniva ristrutturato il sistema degli aiuti, concessi anche dall‘Europa e dai Paesi OPEC attraverso i profitti derivanti dal petrolio, promuovendo anche delle istituzioni multilaterali specializzate. L‘aiuto alimentare venne così a configurarsi come ―umanitario‖ e strumento di politica estera (Friedmann 2005).
Il concetto di sicurezza alimentare, focalizzandosi in prevalenza sull‘accesso al cibo anche tramite relazioni di mercato e il meccanismo degli aiuti, rispondeva all‘obiettivo del progetto neoliberista di ―nutrire il mondo‖ attraverso i surplus alimentari generati nei Paesi del Nord, configurandosi come una global (trade) relation (McMichael 2009: 288).
Sebbene la sicurezza alimentare non sia chiaramente definita all‘interno del Rapporto sulla Conferenza del 1974, il termine è ampiamente utilizzato, come dimostra anche l‘Art. G della Dichiarazione Universale sullo Sradicamento della Fame e della Malnutrizione:
The well-being of the peoples of the world largely depends on the adequate production and distribution of food as well as the establishment of a world food security system which would ensure adequate availability of, and reasonable prices for, food at all times, irrespective of periodic fluctuations and vagaries of weather and free of political and
economic pressures, and should thus facilitate, amongst other things, the development process of developing countries.
Dunque, il primo discorso sulla sicurezza alimentare era radicato nell‘ideologia del regime alimentare del dopoguerra, ormai giunto al termine, che dava ampio spazio alla dimensione nazionale. Per cui il concetto di sicurezza alimentare originariamente era incentrato su come le nazioni avrebbero meglio controllato le loro offerte alimentari attraverso l‘intervento nel mercato, l‘aumento della produzione (tramite una crescente industrializzazione) e l‘aiuto alimentare. Piuttosto che essere determinati sul libero mercato, i ―prezzi ragionevoli‖ dovevano essere assicurati dai governi nazionali senza impedimenti di carattere naturale, politico o economico. E assicurare la disponibilità di cibo su larga scala costituiva parte integrante degli obiettivi di sviluppo nazionali. Nel Rapporto, infatti, la sicurezza alimentare è discussa nel contesto degli stock di cibo e dello sviluppo a carattere nazionale. Anche quando non è discusso a livello dello Stato nazionale, si parla di sicurezza alimentare in riferimento al mantenimento di sufficienti stock di cibo a livello internazionale, ma sempre attraverso forme di cooperazione tra governi nazionali sovrani (Fairbairn 2011).
Il primo approccio alla sicurezza alimentare individuava ed assegnava precise responsabilità ai poteri centrali dello Stato che erano chiamati a garantire una produzione interna capace di coprire il fabbisogno nazionale o a rendere disponibili le risorse necessarie per sanare il gap esistente attraverso l‘importazione di derrate alimentari, in modo da assicurare ampio accesso agli alimenti da parte dei cittadini (Colombo 2002: 40). Questa visione Stato-centrica della sicurezza alimentare è evidente anche nelle definizioni
adoperate tra gli anni Settanta e Ottanta. Nel 1981, un rapporto della FAO86 spiegava:
Food security in its broadest sense is the availability of adequate food supplies now and in the future. In the narrower sense, food security means food stocks and arrangements to govern their establishment and use as a protection against crop failures or shortfalls in imported food supplies.
Tuttavia, nuove strutture ed ideologie sarebbero presto emerse, riempiendo il vuoto lasciato dal collasso del regime e offrendo alla sicurezza alimentare un nuovo set di concetti con cui lavorare. Tra la fine degli anni Settanta e i primi degli anni Ottanta, ci si iniziò a chiedere se le politiche orientate alla produzione aiutassero concretamente a risolvere i problemi della fame e della malnutrizione. Il dibattito cambiò progressivamente dalla disponibilità di cibo all‘accesso individuale al cibo (Windfhur, Jonsén 2005).
Sotto il profilo dell‘articolazione e dell‘arricchimento dell‘analisi socio-economica sulla sicurezza alimentare in questa direzione, il lavoro probabilmente più importante è quello del Premio Nobel per l‘Economia Amartya Sen. Avendo introdotto il suo libro Poverty and Famine del 1981 con la frase ―la fame è il risultato del non avere abbastanza da mangiare, non è il risultato del non esserci abbastanza da mangiare‖, Sen propone un particolare approccio alla questione alimentare attraverso il concetto di entitlement, secondo il quale ogni individuo è titolare di un diritto al cibo sulla base della sua personale produzione (e dalla titolarità delle risorse produttive, come la terra), dal lavoro, dallo scambio – attraverso il baratto, il mercato o il lavoro profuso in attività non legate alla produzione di alimenti – e dal trasferimento del cibo dalla famiglia, dalla comunità o dallo Stato. Dopo un‘analisi delle grandi carestie dell‘ultimo secolo, Sen deduce che queste non erano state causate da una diminuzione della disponibilità di cibo pro-capite, ma da una rottura del meccanismo di acquisizione di quantità sufficienti di alimenti da parte di individui e famiglie, e proprio a questa errata interpretazione sarebbero dovuti gli errori politici nell‘affrontare il problema della fame. Sen definisce l‘entitlement come ―il legittimo controllo sul cibo e le altre materie prime esercitato da un individuo o nucleo familiare in considerazione della propria dotazione di risorse e delle proprie opportunità di produrre e commerciare‖, sottolineando che la disponibilità di cibo sul mercato nazionale non assicura automaticamente l‘accesso al suo consumo a livello individuale o familiare. Questa impostazione prevede, dunque, un‘analisi congiunta della produzione del cibo a livello locale o regionale e dell‘accesso reale da parte delle famiglie, ossia ―una verifica della disponibilità sociale che integri la disponibilità individuale‖. In sostanza, il lavoro di Amartya Sen suggerisce di non limitarsi alla domanda su quale sia la quantità disponibile di alimenti a livello mondiale, nazionale o locale, ma di mettere a fuoco quale sia il controllo sociale e individuale dell‘accesso al cibo.
I due principali cambiamenti teorici contenuti nel lavoro di Sen – il ridimensionamento della scala d‘analisi e il focus sull‘accesso economico al cibo – erano anche in corso presso le Nazioni Unite e la Banca Mondiale e appaiono nella loro nuova nozione di ―sicurezza alimentare familiare‖. In contrasto con il modo in cui la sicurezza alimentare era concettualizzata all‘indomani della crisi alimentare mondiale del 1972-3, la nuova impostazione si concentra sull‘accesso individuale piuttosto che sulla disponibilità a livello nazionale (Fairbairn 2011). Questa nuova concettualizzazione fa eco al discorso neoliberale del progetto globalizzazione che inizia a prendere forma negli anni Ottanta. Quello della sicurezza alimentare diventa quindi un frame incentrato sulle scelte micro-economiche da
parte degli individui in un libero mercato, piuttosto che decisioni politiche che spettano ai governi. Anche la FAO pone crescente enfasi sulla dimensione individuale, come emerge
esplicitamente in una pubblicazione del 199787:
Food security is as much about individual strategies for survival and wellbeing as about national programs and public investments in food production and income generation.
La principale manifestazione della logica neoliberale nel concetto della sicurezza alimentare familiare è che l‘accento posto sul potere d‘acquisto individuale viene automaticamente trasformato in un appello per le politiche commerciali neoliberali, ritenendo che solo il libero mercato possa produrre la crescita economica richiesta per incrementare sufficientemente i redditi familiari. La Banca Mondiale fu uno dei primi a convertirsi a questa scuola di pensiero, reinterpretando Sen il quale invece sosteneva una combinazione del mercato e dell‘azione pubblica per migliorare la sicurezza alimentare familiare. Successivamente, le politiche di libero commercio perseguite dalla WTO hanno giocato un ruolo fondamentale nella neoliberalizzazione della sicurezza alimentare.
Come parte del ―progetto globalizzazione‖, il nuovo frame si incentra su un‘incondizionata mercificazione del cibo. Nel rapporto della Banca Mondiale del 1993, Overcoming Global Hunger, si riassumono le implicazioni di questa nuova configurazione della sicurezza alimentare:
In practice, food is a commodity. Access to it is largely a function of income and asset distribution, as well as of the functioning (or malfunctioning) of food production and market systems. From this perspective, access to food is governed by the same factors that govern access to any other commodity. It is for this reason that hunger and poverty are so closely linked.
Come osserva McMichael (2005: 276), il cambiamento nel sito della sicurezza alimentare, cioè il passaggio dalla dimensione dello Stato nazionale a quella del mercato mondiale, è architettato durante l‘Uruguay Round e trova pieno compimento con l‘Agreement on Agriculture della WTO che impone a tutti i membri di importare una quantità di cibo pari almeno al 5% dei consumi domestici, portando di fatto ad abbandonare la strategia dell‘autosufficienza.
Anche l‘uso del concetto di sicurezza alimentare da parte della FAO, sebbene meno apertamente influenzato dalle dottrine neoliberali, ora enfatizza l‘orientamento di mercato sull‘intervento dello Stato. Ai governi nazionali è assegnato un ruolo profondamente diverso rispetto all‘epoca precedente: piuttosto che essere direttamente implicati nella
formazione dei mercati e nel controllo dell‘offerta alimentare, ―i governi hanno un ruolo chiave nella creazione, attraverso corrette politiche, di un ambiente che incoraggi l‘investimento che porta alla sicurezza alimentare. Questo ambiente è caratterizzato da stabilità politica, buone infrastrutture, politiche commerciali liberali, un‘efficace struttura
legale e reti sociali protettive nei confronti dei più poveri‖88.
La definizione più comunemente utilizzata per descrivere la sicurezza alimentare è stata elaborata durante il Vertice Alimentare Mondiale del 1996:
La sicurezza alimentare esiste quando ciascun individuo, in ogni momento, ha accesso ad una quantità di cibo sufficiente, sicuro e nutriente in modo da soddisfare i bisogni dietetici e le preferenze alimentari per garantire una vita sana e attiva.
Pertanto, sicurezza alimentare significa che ogni bambino, donna e uomo deve avere la certezza di avere abbastanza da mangiare ogni giorno; ma non ci si esprime a proposito della provenienza del cibo e dei metodi di produzione. Così, come afferma Rosset (2003: 1), ―Washington è capace di affermare che importare cibo economico dagli USA è il miglior modo per i Paesi poveri per raggiungere la sicurezza alimentare piuttosto che produrlo loro stessi. Ma importazioni massive di cibo economico e sussidiato battono sul prezzo i produttori locali, portandoli fuori dalla loro terra. Essi fanno crescere le fila della fame, e la loro sicurezza alimentare è messa nelle mani dell‘economia monetaria proprio nel momento in cui migrano verso gli slums urbani dove non trovano lavori remunerati per poter vivere‖. Infatti, la sicurezza alimentare, che non dà spazio all‘autosufficienza, si caratterizza come un ―modello aperto‖ nel quale lo scambio con l‘estero (importazioni, aiuto alimentare) è fonte aggiuntiva di disponibilità di prodotti. Le grandi potenze agricole che continuano a sovvenzionare le proprie esportazioni determinano effetti di dumping, e le grandi corporations dell’agribusiness sono gli attori che traggono i maggiori benefici dal sistema, mentre i produttori locali che operano su piccola scala sono sempre più schiacciati tra costi di produzione crescenti e prezzi sempre più bassi.
Inoltre, sempre in nome della sicurezza alimentare, vengono intraprese azioni volte a