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IN MOVIMENTO VERSO LA SOVRANITÀ ALIMENTARE

3.3 Nuovi movimenti sociali, “segni e profeti del presente”

Indossare le lenti della food regime analysis (McMichael, Friedmann 1989) ha permesso di interpretare la condizione di crisi che attraversa l‘attuale sistema agroalimentare – causata dalle stesse dinamiche di accumulazione ed espropriazione che sono alla base del corporate food regime – come momentum per riformulare le politiche in direzione della sovranità alimentare. Un ruolo fondamentale in tal senso è riconosciuto ai movimenti sociali (Friedmann 2005), grazie alla loro capacità di esplicitare e sovvertire le regole che stanno alla base delle relazioni di potere. In effetti, la proposta di un nuovo paradigma incentrato sulla sovranità alimentare è partita dal movimento contadino internazionale Via Campesina (cfr. par 3.2) che non solo ha denunciato le iniquità del modello fondato sull‘agribusiness, ma ha anche proposto delle valide alternative da contrapporre ai principi della modernizzazione che sorreggono l‘attuale regime alimentare.

Al fine di comprendere le dinamiche che permettono ai movimenti di divenire attori di cambiamento, in quanto ―motori della crisi e della formazione dei regimi‖ (Friedmann 2005), è opportuno far riferimento al dibattito teorico sui movimenti sociali, con particolare riguardo ai ―nuovi movimenti sociali‖.

Come ricorda Neveu (2001), ―occorre fare qualche distinzione tra i fenomeni che il linguaggio corrente associa ai movimenti sociali‖ al fine di non incorrere in interpretazioni teoriche eccessivamente omogeneizzanti. Alcuni studiosi propongono, invece, delle

definizioni molto generiche che non riescono a coglierne la complessità. Gurr96, ad

esempio, parla di movimento sociale nei termini di ―convergenza di un vasto numero di persone che coordinano i loro sforzi per risolvere un insieme di problemi comuni‖, applicando dunque tale concetto ad ogni azione di gruppo orientata ad uno scopo ed includendo tutte quelle forme di associazione caratterizzate da una solidarietà organica.

96 Gurr T.R. (1973), ―The Revolution-Social Chage Nexus. Some Old Theories and New Hypothesis‖,

Gusfield97 ritiene che i movimenti sociali siano ―attività e credenze socialmente condivise

rivolte alla richiesta di mutamenti in qualche aspetto dell‘ordine sociale‖, e Wilson98 ne

offre una definizione altrettanto generica riferendosi ad un ―tentativo collettivo, cosciente e organizzato, per realizzare o per resistere a mutamenti su larga scala nell‘ordine sociale, attraverso mezzi non istituzionalizzati‖. D‘accordo con quanto affermato da Melucci (1976: 11), si potrebbe asserire che ―in mancanza di criteri analitici precisi, definizioni di questo tipo affondano nell‘indeterminatezza e non sono di alcuna utilità; la loro funzione finisce per essere di copertura alle ovvietà del senso comune e l‘espressione movimento sociale si esaurisce in una banale tautologia, includendo tutto ciò che si muove nella società‖.

L‘incipit teorico degli attuali dibattiti in tema di movimenti sociali può essere rintracciato negli anni Sessanta, periodo in cui il dispiegarsi di nuove forme di azione collettiva rendeva difficile applicare i due principali modelli teorici di riferimento sul conflitto sociale (da un lato l‘interpretazione struttural-funzionalista e dell‘altro quella marxista). A partire dagli anni Sessanta si svilupparono due differenti approcci allo studio dei movimenti: quello americano che criticava lo struttural-funzionalismo attraverso tre prospettive principali (comportamento collettivo, mobilitazione delle risorse e processo politico) interrogandosi sul ―come‖ dell‘azione collettiva; quello europeo che criticava il marxismo con la prospettiva dei ―nuovi movimenti sociali‖, interrogandosi sul ―perché‖ dell‘azione collettiva.

Nonostante non sia possibile parlare di una ―teoria integrata dei movimenti sociali‖, Della Porta e Diani (1997) hanno rintracciato alcuni aspetti che sembrano mettere d‘accordo gli esponenti di vari approcci teorici. Il primo elemento comune riguarda le reti di relazioni informali: si tratta di ―sistemi di rapporti non formalizzati tra una pluralità di individui, gruppi e/o organizzazioni‖ che permettono la ―circolazione di risorse fondamentali per l‘azione (informazioni, competenze, risorse materiali) e l‘elaborazione di interpretazioni condivise della realtà‖. Un secondo fattore concerne le credenze condivise e la solidarietà: ―i movimenti influenzano, e in parte determinano, sia lo sviluppo di nuovi modi di interpretare problemi già presenti in una data società, sia il sorgere di nuove tematiche‖, contribuendo alla ―formazione di un vocabolario e all‘emergere di idee e opportunità d‘azione che erano prima sconosciute o inconcepibili‖. In terzo luogo, è riconosciuto che si

97 Gusfield J.R. (1970), Protest, Reform and Revolt: a Reader in Social Movements, J. Wiley, New York; cit. in Melucci

(1976: 11)

tratti di azioni collettive di tipo conflittuale: conflitti99 di natura politica e/o culturale volti a

promuovere o ostacolare il mutamento sociale. Infine, perché si parli di movimento sociale, occorre che si abbia un ricorso alla protesta come forma di pressione politica.

La specificità dei movimenti sociali sta nel fatto che sebbene esistano delle organizzazioni che fanno riferimento ai movimenti, i movimenti non sono

organizzazioni100. Essi sono, piuttosto, reti di relazioni tra attori diversi che possono

includere o meno, a seconda delle condizioni, anche organizzazioni dotate di una struttura formale […] Perché si possa parlare di movimenti sociali è necessario che singoli episodi siano percepiti come componenti di un‘azione di più lunga durata, piuttosto che come eventi a sé stanti, e che chi è impegnato in essi si senta legato da vincoli di solidarietà e di comunione ideale ai protagonisti di altre mobilitazioni analoghe (Della Porta, Diani 1997: 30-34).

Per comprendere le caratteristiche dei movimenti sociali, occorre inizialmente far riferimento al loro ruolo di elaborazione simbolica ed interpretazione della realtà nella trasformazione di un potenziale di conflitto in azione. Infatti, da un lato si potrebbe affermare che i comportamenti dei movimenti sociali siano profondamente legati ai valori con cui gli attori si identificano. Tuttavia, non sono unicamente questi principi-guida ad influenzare la definizione degli obiettivi, delle strategie e dei contenuti specifici dell‘azione. In un movimento, i valori individuali si trasformano in valori collettivi e si traducono a loro volta in obiettivi specifici e modalità d‘azione, e ciò può permettere di identificare quegli elementi di convergenza e solidarietà che esistono tra coloro che condividono gli stessi

principi. Ma a giocare un ruolo fondamentale è soprattutto la cultura101, dal momento che

fornisce agli attori quell‘apparato cognitivo che consente loro di orientarsi nel mondo. Ciò permette di comprendere perché sistemi di valori analoghi siano capaci di sostenere l‘azione collettiva in alcuni contesti, mentre non in altri.

L‘esperienza dei movimenti è allora sempre interpretabile anche in quanto prassi cognitiva che comporta un‘incessante attività di produzione e riproduzione di codici culturali (Della Porta, Diani 1997: 83).

Dunque, la mobilitazione dipende soprattutto dal processo di interpretazione della realtà che fa apparire l‘azione collettiva come la risposta adeguata e fattibile ad una

99 Con ―conflitto‖ si intende una ―relazione di opposizione tra attori che si riferiscono al controllo di una

medesima posta‖ (Della Porta, Diani 1997: 29).

100 Tilly C. (1978), From Mobilization to Revolution, Addison-Wesley, Reading; Tilly C. (1984), Social Movements

and National Politics, in C. Bright, S. Harding, State-making and Social Movements: Essays in History and Theory,

University of Michigan Press, Ann Arbor; Oliver P. (1989), Bringing the Crowd back in: The Nonorganizational

Elements of Social Movements, in L. Kriesberg, Research in Social Movements, Conflict and Change, II, JAI Press,

Greenwich; cit. in Della Porta, Diani 1997: 31.

101 Della Porta e Diani (1997: 82) assumono una visione della cultura come ―complesso di strumenti tramite i

condizione percepita come ingiusta. Nell‘interpretazione di Melucci, i movimenti, attraverso un ―antagonismo comunicativo‖, sono capaci di offrire codici simbolici contrapposti a quelli dominanti. In particolare vengono individuati tre modelli: la profezia, cioè ―l‘annuncio attraverso esperienze vissute che alternative di senso sono possibili‖; il paradosso, ossia il ―rovesciamento dei codici dominanti attraverso la loro esasperazione‖; la rappresentazione, vale a dire che l‘―isolamento della forma dal contenuto permette di rinviare al sistema, attraverso un gioco di specchi, le sue contraddizioni (Daher 2002: 83). Nell‘introduzione al suo Invenzione del presente (1982), i movimenti vengono definiti da Melucci come segni e profeti del presente:

I movimenti non sono fenomeni residuali dello sviluppo o manifestazioni di scontento da parte di categorie marginali. Non sono solo il prodotto della crisi, gli ultimi effetti di una società che muore. Sono al contrario il segno di ciò che sta nascendo. Come i profeti essi ―parlano avanti‖, annunciano ciò che si sta formando senza che ancora ne sia chiara la direzione e lucida la coscienza […] I movimenti contemporanei sono profeti del presente. Poveri e dispersi come lo sono sempre i profeti, non hanno la forza degli apparati, ma la forza della parola. Annunciano il mutamento possibile, non per un futuro lontano ma per il presente di cui è tessuta la nostra vita. Essi costringono il potere a rendersi visibile e gli danno così forma e volto. Parlano una lingua che sembra solo loro, ma dicono qualcosa che li trascende e così parlano per tutti (Melucci 1982: 7-8).

Touraine li definisce, a tal proposito, come attori collettivi con un ruolo attivo nella storicità, cioè nella ―produzione della società‖, e costruiti, di conseguenza, come Soggetti storici (Daher

2002: 77)102. Con particolare riferimento a quelli che sono stati designati come ―nuovi

movimenti sociali‖ – cioè forme e tipi originali di mobilitazione nati a partire dagli anni Sessanta – viene posto l‘accento sui nuovi modi di produrre la società e i movimenti si inseriscono nella nuova produzione simbolica che caratterizza il passaggio ad una fase successiva rispetto a quella industriale. Nella nuova fase, il funzionamento e l‘efficienza dei meccanismi economici e degli apparati tecnologici è affidata alla gestione e al controllo di sistemi in cui ―le dimensioni culturali, simboliche, relazionali, diventano preponderanti rispetto alle variabili tecniche‖ e anche il mercato non funziona semplicemente come luogo di circolazione delle merci, ma sempre più come sistema in cui si scambiano simboli (Melucci 1982: 76).

102 Come sottolinea Touraine, i soggetti storici non sono ―personaggi‖, ma l‘insieme degli orientamenti

culturali e conflittuali per mezzo dei quali ogni società si realizza come agente di storicità. Il soggetto storico andrebbe così considerato come una ―capacità collettiva di interpretare l‘insieme della situazione storica completa‖ e i movimenti sociali in questo contesto avrebbero il ruolo di definire l‘attore e di farlo intervenire a livello della società (Daher 2002: 78).

In tale dimensione è opportuno leggere i primi due fattori identificati da Alberto Melucci quali caratteristiche primarie dei movimenti sociali: la solidarietà, vale a dire il sistema di relazioni che lega e identifica coloro che vi partecipano, e la presenza del conflitto. Un movimento sociale è parte di un rapporto che, esplicitandosi nel conflitto, comprende anche l‘identificazione di un avversario. Approfondendo l‘analisi, Melucci (1976: 17) definisce con maggior chiarezza il significato assunto dall‘insieme delle condotte conflittuali all‘interno di un sistema sociale: ―implica la lotta di due attori collettivi, ciascuno dei quali è caratterizzato da una specifica solidarietà e che si oppongono per l‘appropriazione e la destinazione di valori o risorse sociali‖. Attraverso questa definizione, emerge già una prima condizione dell‘azione collettiva. Ma ne esiste anche una seconda: ―l‘azione collettiva include anche tutte le condotte conflittuali che infrangono le norme istituzionalizzate nei ruoli, debordano le regole del sistema politico e/o attaccano la struttura dei rapporti di classe di una certa società‖. Una volta descritti i due livelli, Melucci propone una distinzione che risulta fondamentale per comprendere il ruolo e la capacità dei movimenti sociali. Quel tipo di azione collettiva che assolve solo la prima condizione viene infatti considerata semplicemente nei termini di un‘azione conflittuale. Per avere un movimento sociale occorre che una particolare condotta collettiva assolva sia la prima che la seconda condizione.

Esiste secondo me una categoria di condotte collettive che si possono definire analiticamente movimenti sociali ed esse rispondono a due condizioni. Sono anzitutto l‘espressione di un conflitto sociale, cioè dell‘opposizione tra due attori per l‘appropriazione o il controllo di risorse che entrambi valorizzano. Ma questo non è sufficiente. Perché ci sia un movimento occorre che l‘azione collettiva provochi una

rottura dei limiti di compatibilità del sistema nel quale si situa, regole e procedure nel caso di

un sistema organizzativo o di un sistema politico, forme di appropriazione e di investimento nel caso di un modo di produzione (Melucci 1982: 15-6).

Il concetto di azione collettiva richiama due criteri: in primo luogo si tratta di un ―agire insieme intenzionale, caratterizzato dal progetto esplicito dei protagonisti di mobilitarsi di concerto‖; in secondo luogo, questo agire comune ―si sviluppa in una logica di rivendicazione, di difesa di un insieme materiale o di una causa‖ (Neveu 2001). La mobilitazione si riferisce dunque a quel processo che, partendo da alcune condizioni strutturali, permette il costituirsi di un movimento sociale concreto che persegue determinati obiettivi comuni attraverso un‘azione collettiva. In via generale, Melucci (1976: 42) afferma che ―la mobilitazione di un movimento sociale è il processo attraverso cui un attore collettivo raccoglie e focalizza le proprie risorse per il perseguimento di un obiettivo

condiviso‖. Ma ciò non è ancora sufficiente per comprendere i meccanismi che guidano le azioni collettive dei movimenti sociali.

L‘azione collettiva potrebbe essere definita nei termini di un ―sistema d‘azione multipolare‖. Non è, infatti, un fenomeno empirico unitario. L‘unità, quando esiste, va spiegata, interpretata come un risultato e non come un punto di partenza. Nella produzione dell‘evento collettivo, gli attori sono centrali poiché ―si definiscono e definiscono la loro relazione con l‘ambiente‖. Il prodotto finale sarà un ―noi‖ che accomuna orientamenti relativi ai fini, ai mezzi ed ai rapporti con il campo dell‘azione collettiva (Daher 2002: 84).

Approfondendo la sua analisi, Melucci parla dell‘agire collettivo nei termini di una risultante di scopi, risorse e limiti; un orientamento finalizzato che si costruisce per mezzo di relazioni sociali all‘interno di un sistema di opportunità e vincoli. Per cui non è né il semplice effetto di pre-condizioni strutturali, né l‘espressione di valori e credenze. Gli individui che agiscono collettivamente costruiscono la loro azione attraverso investimenti organizzati, pertanto ―definiscono in termini cognitivi il campo delle possibilità e dei limiti che percepiscono mentre contemporaneamente attivano le loro relazioni per poter dare senso al loro essere insieme e agli scopi che perseguono‖ (Daher 2002).

Una serie di azioni diverse convergono a formare un repertorio di azione collettiva, vale a dire ―l‘intero insieme di mezzi a disposizione di un gruppo per presentare rivendicazioni di

diverso tipo a individui differenti‖103. Tilly afferma anche che i gruppi mobilitati attingono

ai repertori disponibili ciò che questi offrono in fatto di generi e melodie e precisa la sua metafora richiamando il jazz, in cui l‘esistenza di un repertorio di standards non esclude mai l‘improvvisazione sui temi disponibili. Infatti, ogni movimento sociale si confronta con una sorta di campionario pre-esistente di forme di protesta più o meno codificate e accessibili in maniera diversa, secondo l‘identità dei gruppi mobilitati (Neveu 2001: 32).

La logica che in ogni caso è comune a tutte le forme di protesta è la rottura del consenso, che tuttavia si declina in maniera diversa: la logica dei numeri, basata sulla volontà di diffondere quanto più possibile le convinzioni che stanno alla base dell‘azione in modo da evidenziare l‘ammontare del sostegno per il movimento (come nel caso di cortei, petizioni, referendum); la logica del danno, in termini di capacità di apportare perdite materiali interrompendo la routine quotidiana (ad esempio, attraverso scioperi e boicottaggi); la logica di testimonianza, per dimostrare tramite il proprio esempio la

103 Tilly C. (1986), The Contentious French, Harvard University Press, Cambridge; cit. in Della Porta, Diani

possibilità di agire e quindi dar prova del coinvolgimento anche emotivo di chi protesta (come nelle tattiche di disobbedienza civile o nelle azioni non-violente) (Della Porta, Diani 1997).

Numerose manifestazioni d‘azione collettiva rientrano in quella che può essere definita ―azione diretta‖ (marce, dimostrazioni, petizioni, sit-in, picchetti, boicottaggi, scioperi selvaggi, occupazioni, il rifiuto di pagare le tasse, atti di disobbedienza civile, etc.). Chiedendosi quale sia il fattore comune tra le diverse forme d‘azione collettiva diretta, Melucci scrive:

Definirei l‘azione diretta come una forma di resistenza o di intervento collettivo, che ha un minimo di organizzazione; che rompe le regole del gioco politico e/o le norme dell‘organizzazione, senza attaccare i fondamenti della dominazione di classe; che non implica l‘uso deliberato della violenza; che tende a modificare le regole del gioco politico e/o ottenere un intervento del sistema politico (Melucci 1976: 57).

Altro elemento essenziale per poter parlare di movimenti sociali è il ricorso alla protesta. La principale caratteristica riconosciuta alla protesta è la capacità di mobilitare, attraverso forme d‘azione non convenzionali, l‘attenzione dell‘opinione pubblica facendo pressione sui decision makers per intervenire sulle decisioni politiche. Nella protesta si mobilitano diversi attori, tra cui in particolare la protest constituency (la base direttamente interessata alle politiche pubbliche) ed i mezzi di comunicazione di massa, i quali hanno il

ruolo fondamentale di diffondere i messaggi al pubblico di riferimento dei decision makers104.

Una componente essenziale dell‘azione collettiva in tutte le sue forme, è la produzione di identità poiché è attraverso questo fondamentale passaggio che è possibile individuare gli attori in conflitto e attivare relazioni di fiducia. Infatti, è tramite l‘azione che determinati sentimenti di appartenenza vengono di volta in volta rafforzati o indeboliti, producendo e incoraggiando – dunque costituendo – continue ridefinizioni dell‘identità.

Della Porta e Diani (1997), si riferiscono all‘identità non come ad una proprietà immutabile degli attori, ma come al ―processo tramite il quale gli attori sociali si riconoscono – e sono riconosciuti da altri – come parte di collettività più ampie, e sulla base di tali appartenenze attribuiscono significato alle proprie esperienze e alle loro evoluzioni nel tempo‖. Le rappresentazioni che gli attori propongono di sé stessi sono continuamente esposte al confronto con le immagini che di loro producono altri attori

104 È stata riscontrata una crescente capacità dei media di affiancarsi alle relazioni dirette tra le persone e alle

istituzioni culturali in quanto fonti di interpretazione della realtà. I media, disponendo di una notevole capacità di orientamento dell‘opinione pubblica, possono avere un ruolo centrale anche nell‘ampliare e modificare gli ambiti dell‘esperienza individuale.

sociali, quindi per avere un‘identità collettiva riconosciuta occorre che determinate rappresentazioni di sé trovino un riscontro nell‘immagine che altri attori hanno del soggetto. Ciò non significa che l‘identificazione collettiva si esprima in identità integrate ed omogenee. Al contrario, essendo l‘identità un processo sociale e non un‘identità statica, i sentimenti di appartenenza sono anch‘essi fluidi.

Vengono riconosciuti tre meccanismi fondamentali attraverso cui l‘azione costituisce l‘identità: innanzi tutto la definizione dei confini tra gli attori impegnati in un conflitto (dunque l‘individuazione di un ―noi‖, di un ―altro‖ e di soggetti neutrali); poi l‘emergere di nuove reti di rapporti di fiducia tra gli attori di movimenti operanti all‘interno di ambienti sociali complessi, vale a dire sentimenti di solidarietà collettiva all‘interno di una comunità allargata di cui non si conoscono personalmente tutti i componenti ma di cui si condividono aspirazioni e valori; infine, viene garantita una certa continuità nel tempo alle esperienze di azione collettiva, alternando fasi di visibilità (in cui prevale la dimensione pubblica dell‘azione) e fasi di latenza (in cui a predominare sono le attività di organizzazione

interna e di elaborazione culturale)105.

Un‘importante scelta strategica per gli attori collettivi riguarda il modello organizzativo che essi assumono. Ogni movimento sociale che faccia conto sulla durata per conseguire i propri obiettivi deve misurarsi con il problema dell‘organizzazione. L‘esistenza di un‘organizzazione che coordini le azioni, raccolga le risorse, conduca un lavoro di propaganda per la causa appare come una necessità per la sopravvivenza stessa del movimento e per il suo successo (Neveu 2001).

Dal punto di vista organizzativo, i nuovi movimenti sociali generalmente: presentano strutture segmentate, policefale e reticolari; puntano sulla partecipazione e la democrazia diretta, tendendo a distribuire il potere fra molti; mostrano una forte solidarietà interna; hanno una leadership ad hoc, che dura per brevi periodi, in relazione a obiettivi specifici e con un potere concentrato su segmenti limitati; presentano un certo grado di organizzazione, che fa leva su alcune variabili quali la strutturazione interna, le dimensioni, la distribuzione interna del potere, l‘impegno richiesto ai partecipanti (Della Porta, Diani 1997).

Il movimento è composto di unità diversificate e autonome, che dedicano alla loro