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CRITERI DI QUALITÀ APPLICATI AI CONTENUTI DIGITALI

Bambino, contenuto e contesto: prospettive plurali sulla pluralità

CRITERI DI QUALITÀ APPLICATI AI CONTENUTI DIGITALI

(LIVINGSTONE,  2008)    

Parametri  di  qualità     Indicazioni  normative     Strumenti  di  attuazione  

     

Promozione  della  sicurezza  

Installazione  di  software  di  sicurezza   (filtri  famiglia);  promozione  di   contenuti  positivi  e  di  percorsi  di   navigazione  che  a  essi  conducano    

 

Promozione  dell’accessibilità   dei   contenuti  

Promozione  di  contenuti  che   consentano  al  bambino  di  accedere   all'intera  scala  di  opportunità   digitali  

(dal  gaming  alla  partecipazione   civico-­‐politica)                    

Qualità  sistemica:  il  contenuto  non   è  pensato  in  quanto  elemento  

isolato  ma  come  parte  di  un   ambiente  comunicativo   più  ampio  

     

Scrittura  di  un  nuovo  patto   comunicativo   tra  fornitore  e   fruitore  di  servizi  e  contenuti  

Introduzione  di  sistemi  di   segnalazione  dei  contenuti  positivi  

(per  es.  indicatori  di  affidabilità  o   marchi  che  segnalino  autore,   editore  e  fonte  di  finanziamento);  

gestione  trasparente  delle   opportunità   di  interazione  e  

partecipazione    

canto loro, possono intervenire attivamente, stimolando la riflessività dell’esperienza mediale e arricchendo le informazioni già contenute nei media. Tuttavia, la fruizione congiunta, attorno alla quale si generano più di frequente tali scambi comunicativi, sembrerebbe non essere facilitata dai media digitali. Se in passato, la presenza di un unico apparecchio televisivo agevolava gli incontri e le negoziazioni familiari, l’attuale moltiplicazione di device mobili o della connessione wireless ha incentivato la priva- tizzazione della fruizione mediale e la sua estensione spaziale e temporale. Sebbene sia sempre più difficile per i genitori monitorare a distanza i consumi mediali dei figli o regolare l’utilizzo dei device mobili, Livingstone e Helsper (2008) sottolineano come la vicinanza fisica dei genitori durante l’utilizzo di computer, cellulari o videogame fa- vorisca le conversazioni sulle attività svolte online e l’espressione di commenti, giudizi o riflessioni da parte dei figli. Aarsand (2007) ha descritto le «relazioni asimmetriche» che si creano tra genitori e bambini a causa delle differenze di alfabetizzazione tecnolo- gica che vedono gli adulti in una posizione più svantaggiata rispetto ai bambini. Proprio questa diversità – molto spesso sopravvalutata sulla scia della retorica che circola attor- no alla categoria di “nativi digitali” (Das e Beckett, 2009) – può essere un ostacolo alla condivisione della fruizione mediale o, viceversa, una rinnovata occasione di dialogo e scambio di ruoli nella quale gli adulti possono dismettere i panni degli esperti auto- revoli e i bambini possono trasformarsi in guide competenti. Alcuni prodotti mediali si prestano più di altri a fare da spunto per ulteriori giochi collettivi con amici o fratelli. La ricerca realizzata dal Digital Youth Project (Ito et al. 2009) ha delineato tre generi di attività mediali caratterizzate da una forte componente partecipativa – hanging out (bighellonare), messing around (svagarsi), geeking out (smanettare con le nuove tec- nologie) – ciascuna delle quali implica diverse forme di condivisione tra pari. Se nel primo caso l’ascolto congiunto di musica o la visione condivisa di film o programmi televisivi è casuale e nel geeking out l’intensità e l’elevato investimento nelle attività creative porta la condivisione a sfociare in una vera e propria collaborazione quasi-pro- fessionale, è soprattutto nel messing around che le opportunità di apprendimento infor- male tra pari si moltiplicano, gli amici diventano mentori che introducono all’utilizzo di nuovi device tecnologici, che trainano il coinvolgimento in community di utenti già consolidate e offrono supporto in caso di problemi tecnici. Nonostante l’enfasi diffusa sul rischio di privatizzazione o individualizzazione dei consumi, le ricerche più recenti hanno dunque portato alla luce una dimensione sociale e relazionale che, non solo è essenziale alle pratiche di consumo mediale contemporanee, ma che appare anche sensibilmente intrecciata con importanti dinamiche di apprendimento informale e spontaneo. Proprio da questa constatazione nasce il progetto “The New Co- Viewing. Designing for Learning through Joint Media Engagement” (Takeuchi e Stevens, 2011) realizzato congiuntamente dal Cooney Center, un’organizzazione indipendente nata in seno al Sesame Worskhop7 che fa ricerca e sviluppo sulle opportunità educative dei me-

dia digitali, e dal Life Center, una istituzione di ricerca statunitense finanziata dalla Na- tional Science Foundation e fondata su una partnership tra l’Università di Washington 7 http://www.joanganzcooneycenter.org/

e l’Università di Stanford8. L’obiettivo di ricerca è consistito nell’individuazione di una

serie di indicazioni relative al design delle interfacce, delle piattaforme o dell’ideazione dei contenuti che potessero garantire un rilancio e un potenziamento delle opportunità sociali e relazionali implicate dai media digitali. A guidare la ricerca, il concetto di Joint Media Engagement (JME) che indica quelle esperienze spontanee e/o pianificate durante le quali le persone usano i media in compagnia. Il JME può dunque avere luogo in qualsiasi momento e ovunque ci siano persone che interagiscono insieme attorno ai media. Può trattarsi di visione, gioco, ricerca, lettura, creazione, e può riguardare sia i media tradizionali che quelli digitali. La ricerca si è concentrata in particolar modo su quelle dinamiche che possono ostacolare o favorire l’evoluzione del JME in un’occa- sione di apprendimento cooperativo e condiviso. Non tutte le esperienze mediali sono infatti identiche; solo in alcuni casi sono accompagnate da una comprensione più ap- profondita dei contenuti o della realtà a essi legata, da uno stimolo che offre ispirazione per ulteriori ricerche o che semplicemente stimola il benessere intellettuale ed emotivo di chi vi partecipa. La ricerca indica sei condizioni ideali che sarebbero in grado di trasformare il JME in un incontro culturale e relazionale proficuo:

• La reciprocità del coinvolgimento. Indipendentemente dall’età o dalla conoscenza pregressa, tutti i partner dell’esperienza mediale dovrebbero avere la stessa motiva- zione a partecipare, nessuno di loro dovrebbe annoiarsi o collaborare perché obbli- gato dagli altri.

• Il carattere dialogico della ricerca del significato. Che si tratti di una conversazione o di altre forme comunicative, la fruizione condivisa del testo porta i lettori a riflette- re sulle parole e a elaborare insieme il contenuto testuale, cercando di decodificarlo e comprenderlo.

• Co-creazione. Non si tratta solo di usare insieme un medium ma di costruire una comprensione condivisa, di tessere una trama di intersoggettività in cui le interazio- ni comunicative consentano la maturazione di interpretazioni comuni.

• Attraversamento di confini. L’esperienza di JME può dirsi proficua se attraversa confini spaziali e temporali. Non consiste mai in un evento isolato ma si nutre di in- terazioni ripetute, attinge alla memoria di esperienze passate e ispira attività future. • Intenzione di progredire. La fruizione mediale congiunta dovrebbe sempre essere inserita in una dinamica più ampia che può consistere, per esempio, nell’alimentare l’interesse per la lettura o nel perfezionare la padronanza di un videogame. In tutti i casi, l’intenzionalità si basa sulla consapevolezza dei propri bisogni e interessi. • Focus sul contenuto, senza sforzi di controllo. L’attenzione deve interamente fo-

calizzarsi sul contenuto trasmesso e le caratteristiche tecniche o l’interfaccia non devono distrarre o richiedere alcuno sforzo di controllo e di gestione da parte dell’u- tente.

Tenendo conto di tutti gli ostacoli che possono frapporsi alla realizzazione di tali 8 http://life-slc.org/about/about.html

condizioni ideali (genitori troppo impegnati o inconsapevoli degli interessi e delle esi- genze dei bambini, differenze di gusti, scarsa connessione tra la fruizione mediale e le altre attività familiari) i ricercatori hanno messo a punto un elenco di sette principi (si veda la tabella seguente per una sintesi) che dovrebbe guidare il design di un me- dium affinché siano massimizzate le opportunità di socializzazione che attorno a essi si creano. Più nello specifico, l’attenzione si è orientata verso il modo in cui specifiche caratteristiche del medium, inteso nella sua duplice dimensione simbolica e materiale, sono in grado di riattivare un dialogo significativo tra genitori e figli.

Il primo principio consiste nell’assicurare che le attività di apprendimento congiun- to nascano sempre dalla libera iniziativa dei bambini, per esempio da alcune loro cu- riosità rispetto a un programma televisivo o a un qualche hobby legato alle tecnologie digitali. Gli adulti possono intervenire per aiutarli a realizzare obiettivi che sono stati già scelti e individuati dai bambini stessi. A questo scopo, è fondamentale che i produt- tori pianifichino dei meccanismi che rendano visibili gli interessi dei bambini al fine di accrescere la loro consapevolezza e quella degli adulti che li affiancano.

La seconda indicazione suggerisce di inserire molteplici livelli di coinvolgimento del- lo spettatore. L’idea è quella di riuscire a concepire un prodotto che sappia interpellare contemporaneamente più persone, entrando in sintonia con diverse abilità cognitive e diverse gamme di interessi o esigenze. Un esempio molto comune di questa strategia consiste nell’inserire nei cartoni animati per bambini riferimenti all’immaginario mediale dei più adulti così da lusingare l’interesse di entrambi e favorire lo scambio dialogico.

Il terzo suggerimento chiama in gioco l’importanza di assegnare e differenziare i ruoli di ciascun partecipante in modo tale che gli obiettivi e i contenuti possano essere in sintonia con la maturità personale di ciascuno. La strutturazione della situazione co- municativa dovrebbe raggiungere un livello tale per cui il dialogo organizzativo possa essere stimolato senza però sfociare nella messa in discussione delle responsabilità e della credibilità riconosciuta a ciascun partecipante.

Il quarto principio prevede l’inserimento di piccole strategie educative che, senza trasformare il piacere della fruizione in un compito, supportino gli adulti nella concre- tizzazione delle potenzialità educative insite nell’esperienza mediale condivisa.

La quinta indicazione segnala come prioritaria la costruzione di narrazioni che con- nettano le esperienze precedenti dei bambini, le loro curiosità pregresse con l’ispirazione o lo stimolo per futuri approfondimenti. In altre parole, una caratteristica chiave della di- mensione narrativa del contenuto deve essere la sua trasversalità, rispetto a diversi conte- sti di fruizione (scuola, casa, amici, parenti, nonni) ma anche rispetto alle piattaforme (dal libro alla televisione, passando per i videogame). Proprio l’acquisizione della capacità di trasferire le competenze da un contesto (fisico, sociale o mediale) a un altro è indicata come uno degli obiettivi essenziali di qualsiasi dinamica di apprendimento.

La creazione di opportunità di creazione condivisa costituisce il sesto spunto per i produttori e ideatori di contenuti mediali. É importante che già nella fase di ideazione il prodotto sia concepito non solo per una mera attività di consumo ma affinché possa utilmente funzionare da stimolo iniziale per attività creative complementari, come l’in-

venzione di una storia o la progettazione di un prodotto audiovisivo.

Infine, e siamo al settimo punto, non bisogna dimenticare le abitudini, i valori e le regole di gestione ordinaria di una famiglia. Il medium deve necessariamente inserirsi all’interno di un quadro di attività che ha già una sua logica, deve scendere a patti con questa logica creando nuovi appuntamenti o, viceversa, valorizzando e corredando di risorse simboliche e spunti relazionali le finestre temporali obbligate, come per esem- pio quelle degli spostamenti in macchina.

In sintesi, questi sette principi sono da intendere come bussole utili a orientare la fase dell’ideazione e della progettazione. Ancora più interessante è il fatto che i ricer- catori non si siano limitati a delineare un orizzonte normativo, ma abbiano segnalato i fattori e i componenti di cui tener conto nell’attuazione pratica di tali principi orien- tativi. Distinguendo tra fattori relativi al medium – “in-medium” – e fattori relativi al contesto sociale – “in-room factors” -, i ricercatori hanno pre-selezionato una serie di dilemmi che possono accompagnare la fase di ideazione e produzione e che costituisco- no luoghi di attuazione pratica dei suggerimenti sopraesposti. Per esempio, tra i fattori “in-medium”, alcune questioni riguardano il contenuto, in particolare il grado di coe- renza narrativa che si preserva nella trasversalità di contesti e piattaforme o l’intensità di rimandi all’esperienza personale. Altre invece sono relative all’interfaccia, alla sua interattività, ai punti d’accesso che garantisce; altre ancora si riferiscono all’attrattività del medium, per esempio mediante la leva del merchandising o della personalizza- zione. I fattori “in-room” riguardano invece: i partecipanti e l’eventuale relazione che esiste tra essi; il contesto e le possibilità di spostamento e incontro che offre; il tipo di interazione che si stabilisce tra coloro che condividono l’esperienza mediale, i turni di parola, l’intercambiabilità dei ruoli, la prossimità fisica.