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La qualità come criterio applicabile a tutti i prodotti televis

Le riflessioni intorno alla qualità della televisione per bambini si inscrivono all’in- terno di un dibattito più ampio sui criteri di eccellenza e desiderabilità sociale applicati all’intera offerta televisiva. Anche all’interno di una cornice così ampia, la definizione di qualità continua a essere contraddistinta da una opacità semantica che è direttamente proporzionale alla pluralità di soggetti e prospettive che la inquadrano.

Raccogliendo le tracce di un dibattito che ha radici negli albori multidisciplina- ri della media research, Nico Carpentier (2011) individua cinque concettualizzazioni di qualità, ciascuna delle quali risulta contraddistinta da una specifica definizione di produttore, artefatto e processo di ricezione: qualità estetico-artistica, qualità audien- ce-based, qualità professionale, qualità sociale e qualità tecnologica. La prima rimanda all’eccellenza estetica e artistica; è sempre generata da un creatore-artista capace di maneggiare sapientemente i codici culturali e di combinarli in modo originale nell’og- getto d’arte che produce. La fruizione è pensata come un momento di arricchimento del capitale culturale dei pubblici per il tramite di una forma civilizzata di estasi. In questo modello di qualità, una catena di equivalenza discorsiva lega indissolubilmente l’eccellenza estetica alla civiltà e alla cultura, con ricadute dirette sulla legittimazione della differenza sociale. Studiosi come Bourdieu (1984) hanno mostrato a quali con- dizioni il discorso sull’estetica si traduca in un “monopolio dell’umano”, ovvero nel tentativo di imporre un canone per valutare ciò che debba essere legittimamente rite- nuto come genuinamente umano. Funzionale a questo processo di egemonizzazione è la normalizzazione della qualità come una caratteristica intrinseca al prodotto e la sua presunta estraneità ai processi di canonizzazione o di istituzionalizzazione propri delle convenzioni sociali (Carpentier, 2011; p. 312). Un simile meccanismo di attribuzione dell’eccellenza richiede la presenza di un critico che stabilisca le gerarchie di gusto e i significati legittimamente attribuibili a un testo. A queste tendenze universalizzanti, Fiske (1989) contrappone un modello di qualità audience-based che, senza negare la centralità del testo, coglie l’importanza della intertestualità e della apertura strutturale della popular culture nella sollecitazione di un contributo attivo e creativo da parte del pubblico. Su questa scia, Schrøder (1992) ribadisce che il testo non esiste prima che un qualsiasi individuo lo decodifichi attraverso i suoi significati personali. Senza sovrasti- mare il potere interpretativo dei pubblici, Schrøder reintroduce la dimensione estatica

della fruizione riconoscendo come la popolarità di un testo coincida con la sua capacità di sollecitare il piacere e stimolare l’immaginazione in chi lo riceve.

Nei contributi scientifici più recenti, è abituale imbattersi in approcci più cauti che sorvolano sulla definizione di qualità rimandando invece ai processi culturali, rela- zionali e istituzionali che la definiscono. Un’eccezione si ritrova in Cardwell (2007, p. 26) secondo cui la qualità sarebbe riconducibile ad alcune caratteristiche testuali di contenuto, struttura e registro. Concentrandosi in particolare sulla televisione statuni- tense, scrive che i programmi che possono essere ritenuti di qualità sono contraddistinti da valori produttivi “superiori”, tra i quali annovera la spontaneità della performance, la presenza di attori riconosciuti e stimati, uno stile visivo che è il frutto di un lavoro di editing accorto e innovativo, l’utilizzo consapevole della musica più adatta e più originale. Riferendosi alle serie televisive, Bignell e Lacey (2005, p. 72) enfatizzano l’importanza delle interpretazioni dei pubblici, riprendendo dunque le argomentazioni di Fiske, ma contemporaneamente citano l’eccellenza di alcuni programmi in quanto ri- sultato della creatività autoriale o perché capaci di promuovere il cambiamento sociale.

Accanto alle definizioni riferite all’eccellenza artistica o estetica e a quelle che in- vece valorizzano il coinvolgimento dei pubblici, è possibile trovare una concezione di qualità professionale, che enfatizza la maestria e le competenze dei produttori culturali. Da questa prospettiva, la qualità dell’artefatto discende direttamente dalle qualità del suo produttore. C’è una parziale sovrapposizione con la qualità concepita come eccel- lenza estetica e artistica nella misura in cui il produttore e l’artista sono in entrambi i casi pensati come autori capaci di padroneggiare abilmente i codici culturali di riferi- mento. Ma si tratta, appunto, di una convergenza parziale che rimanda alle differenze tra arte e artigianato. Secondo Bignell e Lacey, in ambito televisivo la qualità sarebbe interamente riconducibile alle capacità dei produttori: «nell’ambito dell’industria te- levisiva, la qualità si riferisce alla sfarzo dei budget, alle capacità degli autori e dei performer, al prestigio conquistato dai programmi grazie al profilo del pubblico e alla serietà dell’obiettivo» (2005, p. 71).

Questa specifica costruzione dell’identità professionale è stata messa pesantemente in discussione prima dai media alternativi e poi dalla produttività user-generated che abbonda nei media digitali; in entrambi i casi, le competenze artigianali dei non profes- sionisti sembrano eccedere le abilità codificate e legittimate nell’ambito di un percorso professionale standardizzato.

Esistono poi altre definizioni di qualità in seno alle quali i valori legati alle compe- tenze e all’etica produttiva sono disconnessi dai loro produttori e riferiti alla rilevanza sociale del prodotto culturale. In questo caso, la qualità si radica nell’impatto sociale positivo prodotto dall’artefatto e riconducibile a diverse dimensioni. Per esempio, la “dimensione etica” di cui parla Schrøder (1992) può essere inclusa in questa categoria nella misura in cui enfatizza il ruolo giocato dagli artefatti culturali nell’ampliare la percezione che lo spettatore individuale ha della condizione umana, nelle sue molte- plici manifestazioni relative allo status socio- economico, all’appartenenza etnica o generazionale. Il compito di un prodotto culturale di qualità coinciderebbe con l’at-

tualizzazione dei significati potenziali che sono nell’immaginario dello spettatore così da esplorare alternative possibili ai preesistenti e potenzialmente oppressivi schemi di osservazione. Spesso tale qualità è attribuita all’intero sistema mediale più che al sin- golo prodotto culturale, per esempio in relazione alla pluralità e alla varietà dell’offerta. Tuttavia non è infrequente che specifiche tipologie di contenuto mediale siano conside- rate come luoghi privilegiati per produrre questo tipo di impatto sociale. Per esempio, la valutazione delle news fa spesso appello alla capacità di sostenere una cittadinanza informata e consapevole; il riferimento è dunque a un concetto di qualità sociale, intesa come sollecitazione di ricadute sociali rilevanti.

In altre concettualizzazioni della qualità è, invece, la dimensione tecnologica a essere chiamata in causa. Più che alla qualità professionale, il riferimento va alle tecnologie abitualmente utilizzate per produrre i prodotti culturali, per distribuirli e renderli visibili o udibili. Mentre la qualità professionale è radicata nelle caratteristiche degli individui (o delle organizzazioni), la qualità tecnologica si focalizza sulle caratteristiche di specifici device e su come il loro utilizzo possa generare, distribuire o visualizzare oggetti culturali mediante tecniche considerate all’avanguardia rispetto agli standard prevalenti.

Il principale merito di questa classificazione consiste nell’aver ordinato le diverse concettualizzazioni di qualità a seconda di dove essa venga collocata. Se la qualità estetica/artistica si riferisce al contenuto o prodotto culturale, esaltandone le qualità intrinseche e le caratteristiche stilistiche, la qualità tecnologica e professionale si fo- calizza rispettivamente sul device utilizzato e sulla professionalità del produttore. Nel caso della qualità sociale, l’attenzione si sposta sulla ricezione, e in particolare sulle dinamiche sociali e culturali che si sviluppano attorno al prodotto culturale e sul cam- biamento che esso è in grado di sollecitare nell’ambiente circostante.

MODELLI    DI   QUALITÀ  

  Produttore   Prodotto   Ricezione  

 

ESTETICO-­‐ARTISTICA    

Produttore-­‐artista  che  ha   padronanza  dei  codici  

culturali  

 

Artefatto  culturale  con  un   valore  culturale  intrinseco  

Capacità  di  coinvolgere  un   pubblico  competente,   propenso  alla  fruizione  

estatica       PROFESSIONALE     Artigianato   e   competenze   professionali  

Eccellenza  e  sofisticazione   della  produzione,  valutata   secondo  criteri  interni  al  

campo  professionale    

Conoscenza  del   pubblico  e  capacità  di   sollecitarne  il  piacere  

   

AUDIENCE-­‐BASED    

Sistema  di  produzione   che  è  capace  di   intercettare  un  vasto  

pubblico    

Prodotto  culturale   capace  di  stare  sul  

mercato  

Successo  di  pubblico   inteso  come  capacità  di  

stimolare  processi   interpretativi  e  di   rielaborazione  simbolica     SOCIALE     Produttore  socialmente   responsabile  

Prodotto  culturale  che  ha   rilevanza  rispetto  ai   processi  sociali  e  culturali  

 

Capacità  di  generare  un   impatto  positivo  sulla  

società    

TECNOLOGICA   Capacità  di  generare  un  impatto  positivo  sulla   società  

  Device  tecnologico  

all'avanguardia  

Capacità  di  rivoluzionare   modalità  e  schemi  d'azione    

Un ulteriore raffinamento analitico di questa prima tassonomia si ritrova nella nozione di “qualità relazionale” proposta da Rosengren, Carlsson e Tagerud (1996) nell’ambito di una ricerca finanziata dal servizio pubblico radiotelevisivo giapponese (Ishikawa, 1996) con l’obiettivo di recensire e comparare i sistemi di valutazione della qualità televisiva pre- senti in cinque paesi (Canada, Giappone, Uk, Svezia, USA). Se è vero che nella pratica e nella teoria dei media possono convivere diverse definizioni di qualità, ciascuna delle quali presuppone una specifica idea di prodotto, di pubblico e di ideatore/produttore, il passo ana- litico successivo consisterà allora nell’individuazione di come ciascuna di esse sia legata a un preciso gruppo sociale e alle rispettive dinamiche relazionali. Pensare la qualità in questa chiave significa non limitarsi a indagare le caratteristiche stilistiche, produttive, autoriali o sociali che la denotano, ma spingersi oltre fino a individuare la relazione tra tali proprietà o standard e il loro ancoraggio – più o meno istituzionalizzato o ritualizzato – a un quadro di norme e valori propri di una società o di un particolare contesto culturale. Tra le norme sociali che definiscono il ruolo dei media, un peso essenziale è attribuito alla responsabilità sociale intesa come dovere di evitare una programmazione che induca alla violenza o ai crimini o che offenda le minoranze.

La differenza che corre tra “qualità artistica/tecnologica/professionale” e “qualità sociale” è in parte coincidente con ciò che secondo Cardwell (2007) distingue la “tele- visione di qualità” dalla “buona televisione”. Se la prima valutazione si basa sulla con- statazione della presenza o dell’assenza di determinate caratteristiche testuali o produt- tive, o di convenzioni legate al genere, la seconda è frutto di giudizi di valore orientati da criteri espliciti che consentano di distinguere tra ciò che è buono e auspicabile e ciò che non lo è. Secondo questa distinzione, la definizione di qualità sembrerebbe dunque basarsi su criteri di valutazione che emergono autonomamente dal campo mediale a cui si applicano e a cui si riferiscono in modo esclusivo; al contrario, la valutazione sulla buona televisione sembrerebbe attingere a criteri che si radicano nelle relazioni di inter- dipendenza tra il campo mediale e gli ambienti sociali e culturali in cui esso è inserito e dai quali ricava legittimazione.