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Le critiche alla teoria di Walton

Nel documento Immagine (pagine 49-53)

Fingere di vedere qualcosa

3. Le critiche alla teoria di Walton

Come il lettore attento avrà notato, nella sua formulazione finale Walton fornisce, come condizione necessaria di raffigurazione volta a catturare la pittorialità, una condizione che comporta il ricorso a due stati mentali: la percezione del veicolo dell’immagine e l’immaginazione, sulla base di tale percezione, non solo che si percepisca la scena rappresentata dall’immagine, ma anche che la prima percezione sia questa seconda percezione, cioè abbia come contenuto il contenuto della seconda. Messe così le cose, risulta evidente l’analogia della teoria di Walton con la teoria del vedere-in di Richard Wollheim: laddove Wollheim propone come condizione necessaria di raffigurazione un’esperienza duplice di vedere-in composta dalla percezione diretta del veicolo dell’immagine, l’aspetto configurativo, e dall’esperienza indiretta del soggetto di tale immagine, l’aspetto ricognitivo, in Walton abbiamo nuovamente la percezione diretta di tale veicolo insieme all’immaginazione che tale percezione sia la percezione di quel soggetto. Quest’analogia è del tutto esplicita. Secondo Walton, uno dei principali problemi della teoria di Wollheim – che abbiamo qui già ricordato – è che essa non

spiega chiaramente in che cosa consista il lato propriamente di ‘vedere in’ dell’esperienza duplice, cioè l’aspetto ricognitivo. Walton propone pertanto di concepire tale aspetto come l’immaginazione, sulla base della percezione del veicolo dell’immagine, che proprio tale percezione sia la percezione del soggetto dell’immagine170.

Wollheim ha però più volte obiettato a Walton che una tale congiunzione di percezione e immaginazione non dà all’esperienza pittorica un genuino carattere percettivo, come per lui l’esperienza duplice di vedere-in deve avere171. Non è

effettivamente chiaro come l’immaginazione che la percezione del veicolo di un’immagine sia la percezione del suo soggetto possa avere un genuino carattere percettivo. L’unico tipo di immaginazione che potrebbe avere una sorta di carattere percettivo potrebbe essere la visualizzazione che la prima percezione abbia il contenuto della seconda percezione. Ora in teoria, si possono visualizzare oggetti così come si possono visualizzare esperienze; si pensi a quando ritorniamo con la mente a un dolore vissuto nel passato e ci sembra di riviverlo, sia pure in forma attenuata. Quindi si dovrebbero poter visualizzare anche proprie percezioni. Alcuni hanno però sostenuto che la visualizzazione che proporrebbe Walton, la visualizzazione che la percezione del veicolo dell’immagine sia la percezione del soggetto dell’immagine stessa, è concettualmente impossibile. Prima di tutto, è discutibile che la visualizzazione della percezione del veicolo come identica in contenuto alla percezione del soggetto dell’immagine possa avere per l’individuo che la sta provando un effetto fenomenologico radicalmente diverso da quello che tale individuo sta provando nell’avere contemporaneamente, come Walton sostiene, proprio quella percezione del veicolo. Eppure proprio questo carattere fenomenico radicalmente diverso è ciò che la visualizzazione in questione dovrebbe possedere, se essa è la visualizzazione che la percezione in questione sia la percezione del soggetto rappresentato e non, come di fatto è, la percezione del veicolo dell’immagine172. Inoltre, anche se questa visualizzazione

con un siffatto carattere fenomenico fosse possibile, essa comporterebbe comunque due cose. In primo luogo, occorrerebbe ascrivere alla percezione che tale visualizzazione ha per oggetto, cioè la percezione del veicolo, un contenuto del tutto diverso rispetto a quello che essa ha: invece che essere percezione del veicolo, la percezione visualizzata dovrebbe essere percezione del soggetto dell’immagine. In secondo luogo, e di conseguenza, occorrerebbe attribuire ulteriormente a quella medesima percezione un carattere fenomenico del tutto diverso rispetto a quello che essa di fatto ha: in quanto considerata come percezione del soggetto, essa dovrebbe avere un effetto del tutto diverso da quello che di fatto ha in quanto percezione del veicolo. In altri termini, se una certa percezione può essere la percezione di una cosa così diversa da quella di cui di fatto è percezione – del soggetto invece che del veicolo dell’immagine – allora essa può avere anche un effetto del tutto diverso rispetto a quello che di fatto ha. Ma il fatto che una certa percezione ha un certo contenuto, e ancora di più un certo carattere fenomenico, può essere solo un carattere contingente di tale percezione? Ovvero, per

visualizzare che qualcosa non sia come di fatto è, occorre che tale eventualità

visualizzata sia realmente possibile. Ma potrebbe l’oggetto della visualizzazione nel nostro caso, cioè una certa percezione, avere un contenuto (così) diverso da quello che

di fatto ha, e quindi avere altresì un carattere fenomenico (così) diverso da quello che di fatto ha173?

Recentemente, Walton ha lasciato intendere che ciò che dà all’esperienza pittorica così come da lui concepita il suo squisito carattere percettivo non è tanto, come da lui stesso precedentemente teorizzato174, l’immaginazione che la percezione del

veicolo dell’immagine sia la percezione del soggetto dell’immagine, quanto proprio l’immaginazione, meramente indotta dalla percezione del veicolo, della percezione del soggetto175. Quest’ultima è per Walton sicuramente una forma di visualizzazione: è

l’immaginazione ‘dall’interno’, come egli dice, di quest’ultima percezione176.

Poiché questa visualizzazione coinvolge direttamente soltanto la seconda percezione, la percezione del soggetto, e non la percezione del veicolo, quest’ultima rimane intatta nel suo contenuto e quindi anche nel suo carattere fenomenico. Dunque i problemi appena visti non si presentano più. Ma resta un ulteriore problema. Walton vorrebbe che, in virtù dell’essere questa visualizzazione determinata dalla prima percezione, si produca un’esperienza dal carattere percettivo unitario:

Un percipiente che vede un cavallo in un’immagine […] dev’essere considerato non come uno che vede l’immagine e che inoltre si impegna anche nell’immaginare spontaneamente [di vedere quel cavallo], bensì come uno che intrattiene una singola esperienza che al tempo stesso è percettiva e immaginativa, una percezione dell’immagine che è colorata da un siffatto immaginare177.

Ma come si può garantire che si produca una siffatta esperienza? Come abbiamo visto in precedenza, anche nel caso di una rappresentazione verbale la lettura del testo rilevante può indurre l’immaginazione di percepire il soggetto rappresentato da quel testo, che siamo legittimati adesso a trattare a sua volta come una forma di visualizzazione. Ora ovviamente l’induzione, da parte della percezione di un testo, della visualizzazione della percezione del soggetto da esso rappresentato, non determina la formazione di alcuna

singola peculiare esperienza percettiva. Un individuo semplicemente intrattiene due

distinti stati mentali in contemporanea: la percezione del testo e la visualizzazione della percezione del soggetto rappresentato dal testo. Ma allora perché nel caso in cui questa induzione venga realizzata dalla percezione del veicolo di un’immagine le cose dovrebbero andare diversamente?

Alla fine, ci ritroviamo in realtà con la teoria di Walton nella stessa situazione in cui secondo alcuni, come abbiamo ricordato proprio all’inizio di questo capitolo, siamo con la teoria di Wollheim. Come Wollheim non è riuscito a mostrare che esperire indirettamente il soggetto di un’immagine sia qualcosa di più che affiancare alla percezione di tale veicolo un’immaginazione, esattamente la stessa cosa vale coll’immaginare visivamente di percepire il soggetto178. Ma se si rinuncia all’idea che

percepire il veicolo dell’immagine e immaginare di percepire il soggetto dell’immagine formino un’esperienza integrata, anche Walton deve rinunciare alla pretesa che la sua teoria presenti un resoconto più adeguato dell’esperienza di vedere-in, giustificandone il preteso carattere fenomenologico, sia pur sui generis.

Naturalmente, le cose cambierebbero se Walton, esattamente come Wollheim, ammettesse che vi sia una qualche somiglianza, se non direttamente tra il veicolo e il soggetto dell’immagine, tra la percezione del primo e la percezione del secondo179. Si

spiegherebbe allora facilmente perché la prima percezione induca (in un modo che la percezione di una rappresentazione verbale non fa) l’immaginazione della seconda percezione. È a teorie che mobilitano una somiglianza del genere che volgeremo adesso il nostro sguardo.

V capitolo

Nel documento Immagine (pagine 49-53)